Il comitato di cittadini della zona da tempo è impegnato volontariamente in attività di pulizia dell'alveo ma chiede alle istituzioni un aiuto concreto in termini di competenze, capacità e mezzi
A distanza di vent’anni dalla tragica alluvione che nel settembre 1993 colpì la Val Varenna – ambiente di pregio del ponente genovese, sia per valori naturalistici (geologici, idrici, vegetazionali e faunistici), sia insediativi (ambiente di villa del nucleo di Granara, antiche cartiere e mulini) e infrastrutturali (viadotti della linea ferroviaria Genova-Ovada, ponti stradali in pietra) – l’omonimo torrente fa ancora paura. «Negli ultimi tempi siamo stati fortunati soltanto perché le grandi calamità, quali le ormai tristemente note “bombe d’acqua”, non hanno colpito il nostro territorio – racconta Elio Bottaro, presidente del locale comitato di cittadini – Sennò ci saremmo ritrovati nella medesima situazione del 1993».
Nell’ottobre 1999 venne approvato un dettagliato Piano di bacino – successivamente modificato a partile dall’aprile 2002 (l’ultima modifica risale al maggio 2012)- che prevedeva la messa in sicurezza dell’alveo, dei versanti e degli impluvi che insistevano sull’intero bacino del Varenna, compresi i propri affluenti.
Sulla rete web sono reperibili alcuni documenti che confermano la realizzazione di una serie di interventi di messa in sicurezza e consolidamento di frane e paleo frane. Tuttavia, i problemi di instabilità ed erosione restano un nodo tuttora aperto, vedi l’evento franoso che nel 2010 colpì l’ex sito di compostaggio dell’Amiu in località Carpenara, da allora mai più ripristinato.
Inoltre, le risorse individuate hanno consentito di liberare i fornici laterali del ponte ferroviario, prima ostruiti da orti e baracche abusive, recuperando cosi spazio al letto naturale del torrente e di risistemare ampi tratti degli argini e dell’alveo, anche attraverso la demolizione di vecchi edifici.
Infine, in questi anni si è proceduto alla progressiva dismissione delle attività di coltivazione delle attività estrattive delle cave denominate Coleol e Pian di Carlo, quest’ultima trasformata in discarica di materiali inerti.
Ma l’azione più importante, portata finalmente a termine nell’autunno del 2011, è stato lo spostamento della sottostazione Enel, una piastra in calcestruzzo costruita sopra il letto del corso d’acqua, che fin dagli anni ’60 ha costituito una pericolosissima barriera per il deflusso dell’acqua, giocando un ruolo decisivo nell’alluvione del 1993.
Attualmente, però, a destare preoccupazione è l’assenza di manutenzione costante, con particolare riguardo alla pulizia dell’alveo del Varenna e dei suoi affluenti. Oltretutto con la consapevolezza che gli enti locali hanno sempre meno denaro in cassa per approntare soluzioni adeguate. «Oggi gli alberi ad alto fusto, che rappresentano la criticità maggiore, stanno infestando gli alvei del Varenna e dei suoi affluenti», sottolinea Bottaro. Nel torrente principale della vallata ponentina, infatti, confluiscono le acque di numerosi rivi – tra gli altri rio Gandolfi, rio Vaccarezza, rio Cantalupo, rio Pomà, rio del Grillo, ecc. – che, nel caso di piogge persistenti, rendono la portata del primo assai impetuosa. Vista la presenza di numerosi ponti stradali (alcuni dei quali di antica fattura) «Tronchi e ramaglie di vario genere vengono trascinate verso valle dalla forza dell’acqua e possono facilmente incastrarsi sotto queste strutture con il conseguente rischio di un effetto diga», aggiunge il presidente del Comitato Val Varenna.
La tragica alluvione del 1993
La Val Varenna, nel settembre del 1993, fu sconvolta da un evento meteorologico di carattere estremamente intenso. Le località più colpite furono la strada per Lencisa, Camposilvano, S. Carlo di Cese, Carpenara, Chiesino, Novagette, Tre Ponti, Cantalupo e la foce del Varenna, con parte dell’abitato di Pegli. La furia dell’acqua causò il crollo della casa abitata da una coppia di anziani che così persero la vita.
Il centro abitato di S. Carlo di Cese ed altre frazioni rimasero isolate per diversi giorni. Il bilancio finale dell’alluvione ammontò a diversi miliardi di lire di allora.
Nel settembre di quest’anno il comitato di cittadini ha voluto rendere omaggio alle vittime con una mostra fotografica presso il chiesino della Val Varenna «L’iniziativa è sorta anche con l’intento di sensibilizzare le istituzioni – ricorda Bottaro – Insomma, in mezzo a tante emergenze, non vogliamo che il nostro territorio venga dimenticato».
Il volontariato: una risorsa preziosa
Negli ultimi anni gli abitanti hanno instaurato una proficua collaborazione con l’Amiu, soprattutto in merito alla pulizia della strada principale, una via stretta e ripida dalla quale continuano a transitare parecchi camion e mezzi pesanti, con inevitabili disagi per l’intera zona. «Ci siamo occupati di eliminare la vegetazione ingombrante – racconta il presidente del comitato – E adesso stiamo trattando affinché alcuni fondi siano messi a disposizione per continuare l’opera e migliorare le sinergie anche sul fronte della raccolta dei rifiuti».
Per quanto riguarda il torrente Varenna, i cittadini non sono stati con le mani in mano, anzi «Siamo intervenuti da maggio a settembre, ogni week-end, per pulire la parte alta, tra Campo Silvan e Cian de Vì, in pratica fino al confine con Ceranesi – continua Bottaro – È una situazione molto critica. Ma stiamo già organizzando un’ulteriore fase di lavori».
Altra significativa criticità è quella relativa al rio Pomà, uno degli affluenti del Varenna. «Anche qui recentemente abbiamo realizzato una pulizia dell’alveo – aggiunge Bottaro – E ancora sul rio Cantalupo che è il maggiore affluente. L’anno scorso siamo intervenuti in particolare alla confluenza del Cantalupo con il Varenna. Gli alberi, però, crescono fin troppo velocemente e noi, solo con i nostri mezzi, di più non riusciamo a fare».
Va dato atto alle istituzioni locali di aver eliminato la famigerata piastra Enel a valle del torrente ma, nello stesso tempo, va anche detto che ciò è stato fatto con un notevole ritardo «Sanando una situazione di estremo pericolo generata da scelte scellerate compiute anni addietro dai rappresentanti politici dell’epoca», sottolinea Bottaro. Nei pressi della Foce del Varenna «In effetti qualche intervento è stato eseguito – continua Bottaro – a monte, invece, ricordiamo soltanto un’operazione di pulizia del greto, realizzata qualche anno fa dalla Provincia».
Secondo il comitato, in questa parte del ponente genovese, le tematiche della sicurezza idraulica e della prevenzione dal rischio idrogeologico, sono state pressoché abbandonate. «Noi rappresentiamo un presidio del territorio e vogliamo svolgere un’azione preventiva – spiega il presidente – Impegnandoci in prima persona ma soprattutto sensibilizzando gli enti locali. Perché non basta la buona volontà dei cittadini se al loro fianco non si schiera una guida pubblica in grado di fornire un aiuto concreto in termini di competenze, capacità e mezzi».
L’assessorato comunale ai Lavori pubblici «Ci ha confermato che, a breve, svolgerà un sopralluogo in vallata – aggiunge Bottaro – per vedere da vicino lo stato del torrente». Staremo a vedere se tale promessa avrà un seguito positivo. «Nella parte a monte noi abbiamo iniziato l’opera che adesso, però, va completata – conclude Bottaro – Sappiamo bene che, per un’adeguata messa in sicurezza, sarebbero necessarie risorse sostanziose finalizzate a interventi strutturali. Ma i soldi non ci sono. Quindi, almeno cerchiamo di monitorare attentamente gli alvei del Varenna e dei suoi affluenti. Perché è altrettanto vero che è meglio spendere prima in prevenzione, piuttosto che spendere dopo, magari pure il doppio, per ripristinare gli eventuali danni generati da una carente manutenzione».
Matteo Quadrone
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