Con i New Trolls ha scritto la storia della musica non solo genovese ma anche italiana, ora la nuova stagione da cantautore con l'album in dialetto "Mandilli"
Partiamo da “Mandilli“, un album in dialetto genovese. Per te, tra l’altro, non e’ la prima esperienza con i testi dialettali, gia’ agli inizi della carriera avevi collaborato e scritto per i “Trilli”… In un contesto in cui il dialetto fa sempre piu’ fatica a conservarsi fra le nuove generazioni, che significato pensi possa avere la tua nuova avventura musicale?
Eh gia’, ma ancora prima dei Trilli scrissi “Come sei bella Zena“, una canzone che oggi viene spesso considerata senza autore e fatta risalire alla tradizione popolare genovese… Per carita’ ormai ha quarantanni quel pezzo, pero’ l’ho scritto io!!! Scherzi a parte… Ho intrapreso l’avventura musicale di “Mandilli” innanzitutto per amore, un amore fortissimo per la mia citta’. Poi, come dici bene te, il dialetto e’ una scelta importante… Perche’ considero la nostra lingua l’arma piu’ preziosa che abbiamo per combattere l’omologazione generale verso cui il mondo di oggi ci spinge. I giovani che non conoscono il genovese purtroppo perdono contatto con la loro terra, perche’ le parole sono l’espressione dei nostri pensieri ed e’ un po’ triste che oggi, davanti alla tv, un marchigiano, un valdostano ed un ligure possano avere gli stessi identici pensieri…
Amore per la tua citta’… Quanto ricambiato secondo te?
Beh, devo dire che percepisco e ho percepito in tutti questi anni davvero tanto amore dalla mia citta’. Quando giro per Genova la citta’ sembra piccolissima, un paese… Perche’ tutti mi salutano e mi parlano e a me sembra di conoscere tutti… e’ bellissimo, magico. Non avendo mai nascosto la mia fede blucerchiata, inoltre, i tifosi si fermano e mi parlano spesso di calcio, genoani e sampdoriani. Si sa quanto sentiamo la fede calcistica noi liguri…
La scelta del dialetto genovese fu anche di Fabrizio De Andre’ in occasione dell’album Creuza de ma. Forse, considerando soprattutto il tuo lungo rapporto professionale e di amicizia con Fabrizio, quell’album puo’ essere considerato “il padre” del tuo “Mandilli”?
Il padre non credo… sicuramente, pero’, la strada che percorre il mio disco e’ la stessa che Fabrizio spiano’ a tutti noi cantautori genovesi nel 1984 con “Creuza de ma”. La lingua genovese grazie a lui varco’ nuovamente i confini del porto, per tornare ad insinuarsi in tutto il mediterraneo.
Stiamo vivendo giorni “furibondi”, come probabilmente lui stesso avrebbe scritto. Tutta Italia parla di lui, ahime’, tante volte anche a sproposito. Tu che insieme a lui hai trascorso tantissimi momenti chitarra alla mano, cosa pensi di questa “De Andre’ mania”?
Sono d’accordo con te, io penso con tutta sincerita’ che Fabrizio si stia facendo tante grasse risate da lassu’. In molti casi ho assistito ad una vera e propria mercificazione della sua poesia e non credo ce ne fosse bisogno. Lui per me era un magnifico mosaicista e cesellatore di parole, scriveva sempre la parola giusta al momento giusto e questo era un grande dono. Ricordo che avevo sedici anni quando gli davo la caccia le rare volte che veniva ai bagni Lido. Lo cercavo e quando lo trovavo facevo tanto che riuscivo a entrare con lui nella sua cabina. Gli facevo ascoltare le mie primissime cose, con una chitarra di plastica, un suono orribile. Era il 64 se non ricordo male, Fabrizio era gia’ Fabrizio De Andre’, ma non diceva nulla e mi ascoltava paziente… Io avevo l’abitudine di cantare parole a caso in inglese senza significato perche’ non avevo dei veri e propri testi: “Evita di dire ste stronzate in inglese – mi disse una volta – scrivi subito i testi quando hai la musica, esprimi quello che senti in italiano…” Qualche anno dopo lui si occupo’ di tutti i testi di “Senza Orario Senza Bandiera”, il primo album dei New Trolls, adattando le poesie del poeta genovese Riccardo Mannerini che tanto lo aveva ispirato. Fu l’inizio di una bellissima amicizia e di tante collaborazioni…
Veniamo ai “New Trolls“, una delle pagine piu’ importanti della storia del rock italiano. Dal Giappone alle Americhe, un successo planetario. Dal primo album con testi di Mannerini e De Andre’, passando per il celebre “Concerto Grosso“… Ripensando a quegli anni e’ piu’ la malinconia o l’orgoglio? Quale e’, se c’e’, il rimpianto di Vittorio De Scalzi? E la chiave di tanti successi?
La chiave del successo se uno sapesse trovarla sarebbe tutto piu’ semplice… Non lo so, non ne ho idea. Sicuramente sono una persona molto caparbia e questo mi ha aiutato molto, poi credo serva anche un po’ di presunzione… Bisogna andare controcorrente senza aver paura di farlo, cercare il “nuovo” che ovviamente all’inizio non piacera’ a nessuno… Ma se pensi che siano loro a non capirci nulla e tu ad avere fra le mani qualcosa di forte, allora continui ad andare dritto per la tua strada e da qualche parte arriverai. Malinconia nessuna, davvero, un po’ di orgoglio invece si, sono sincero, soprattutto quando vado all’estero… in Giappone mi dimostrano sempre moltissimo affetto. Un rimpianto… ti diro’, a dirla tutta un rimpianto c’e’: non aver iniziato prima a fare il cantautore. Da bambino volevo una band a tutti i costi, i Beatles e i Rolling Stones erano un mito per me. Poi con Nico Di Palo fondammo i New Trolls e i miei sogni si realizzarono… Ci ritrovammo ad aprire i concerti degli stessi Stones e a conoscerli di persona, facevamo rock progressivo, che era quello che ci piaceva fare, e guadagnavamo molti soldi… I tempi pero’ cambiarono e, desiderosi di mantenere il successo che avevamo raggiunto, ci buttammo nella musica piu’ leggera, il pop. Ebbene, quella scelta oggi la soffro un po’, avrei preferito forse concentrarmi subito su una strada simile a quella che sto percorrendo ora…
I fan della vostra generazione spesso affermano che se i New Trolls non avessero avuto problemi di convivenza all’interno del gruppo, caratteriali ed artistici, avrebbero potuto dare ancora molto di piu’ di quello che hanno dato alla musica italiana. Quanto c’e’ di vero in tutto questo? O forse furono proprio queste divergenze la forza del vostro sound…
Non lo so cosa avrebbero potuto dare i New Trolls senza i problemi che ci sono stati… So pero’ che eravamo quattro ragazzini sostanzialmente molto diversi, come estrazione sociale, studi e soprattutto preparazione musicale. Piano piano, crescendo e maturando, certi problemi era normale che uscissero. Abbiamo avuto la fortuna di non fare gavetta, il che significa che a ventanni avevamo soldi, successo e a quell’eta’ certe cose ti danno alla testa. Tanti manager ci hanno poi mangiato sopra e noi, da parte nostra, abbiamo sperperato tanto… Diciamo che in un certo senso i problemi ce li siamo anche un po’ cercati, ma suonavamo bene, eravamo forti e questo veniva prima di ogni altra cosa.
Te e Nico Di Palo (i “Lennon-McCartney” di casa nostra…), avete avuto la fortuna di muovere i primi passi in un terreno gia’ incredibilmente fertile. In quegli anni erano emersi e stavano emergendo dai nostri vicoli grandi talenti… Che ricordi hai di quegli anni?
Negli anni sessanta a Genova e in Liguria c’era un fermento creativo oggi impensabile. Prendiamo ad esempio il Festival di Sanremo… Noi suonavamo in un locale a Sanremo in quel periodo, il Club 64. Gli artisti in gara al Festival venivano a sentire noi dopo essersi esibiti, noi che eravamo agli inizi. Si passava la notte a suonare, ricordo una lunga jam session con Stevie Wonder… oggi queste cose non accadono piu’. Alla Foce, in fondo a via Cecchi, c’era un bar frequentato da tutti gli artisti della citta’. C’era il poeta Riccardo Mannerini, lo stesso Fabrizio, poi Tenco, Lauzi, i fratelli Reverberi… io ero ancora un ragazzino. Poi mio padre apri’ un ristorante a Sturla sul mare, nella zona di via del Tritone, da “Gianni”, si chiamava… e li’ iniziarono a venire tutti loro. Avevo allestito nel retro una sala con gli strumenti e li’ rimanevamo la notte ore e ore a suonare, provare, parlare… Tutti gli artisti genovesi, ma ricordo ad esempio anche la P.F.M. e i Rokes di Shel Shapiro. C’era un’atmosfera davvero fantastica. Ricordo la prima volta che mi presentarono Tenco, lui era un appassionato di baseball e venne a mangiare da mio padre con tutta la squadra. Mi fece l’autografo su una pallina da baseball…
Una domanda un po’ particolare… Dal rock progressivo al pop passando per la musica classica con i New Trolls, poi la tua vasta produzione cantautorale sino all’ odierno “Mandilli” e infine le canzoni scritte per la Sampdoria… Insomma, una carriera lunghissima che ha saputo toccare con maestria tanti generi cosi’ diversi fra loro. Se Vittorio De Scalzi non fosse gia’ conosciuto… e dovesse farsi conoscere con una canzone per ognuno di questi mondi musicali che poi rappresentano probabilmente anche stagioni diverse della tua vita… cosa farebbe ascoltare di se’??
“Signore io sono Irish“, con il testo di Fabrizio De Andre’… quelli erano i primi New Trolls. Poi “La nuova predica di padre O’Brian”, per quanto riguarda il rock progressivo… La stagione del pop e’ invece caratterizzata senza dubbio da “Quella carezza della sera“, mentre “Lettera da Amsterdam” credo sia la piu’ significativa fra le canzoni che ho scritto per la mia Samp. Infine, dall’ultimo album, “Aia da respia” e’ un brano che mi piace moltissimo…
Abbiamo accennato alle tante canzoni che hai scritto con tuo fratello a cavallo fra gli anni ottanta e novanta per la Sampdoria. La particolarita’ e’ che oggi, molti giovanissimi, iniziano a sentire il nome di De Scalzi proprio per quella “Lettera da Amsterdam” che la gradinata sud intona a gran voce ogni domenica… Che effetto ti fa??
Beh, e’ semplice risponderti… fa godere! Ogni domenica e’ un’emozione meravigliosa e credo che un artista come me non potrebbe chiedere di meglio…
A Genova sono tanti i giovani artisti, in tutti i campi, che sognano di emergere e cercano di far sentire la propria voce in tutti i modi… Quale strada consiglieresti loro di percorrere nella realta’ di questi tempi per farsi conoscere al grande pubblico?
Sicuramente direi loro che non esiste una strada da percorrere, ma non sono io la persona giusta per dare consigli di questo tipo. A volte le strade che portano al successo sono davvero misteriose e non rintracciabili…
Capita spesso che il primo scoglio da superare per un ragazzo che sogna di vivere della propria arte sia la famiglia stessa, la quale impaurita per un futuro incerto del proprio figlio, lo scoraggia per indirizzarlo verso altri orizzonti.. Che ruolo ha avuto la tua famiglia per la realizzazione dei tuoi sogni?
E’ vero quel che dici ed e’ altrettanto vero che per me la famiglia e’ stata fondamentale. Mio padre lo ringraziero’ sempre, con me fu incredibile. Lui credeva fortemente nelle mie qualita’ e faceva di tutto per incitarmi ad andare avanti. A forza di cene corrompeva i discografici per far avere un contratto ai New Trolls e alla fine ci riusci’… Anche la possibilita’ di aprire i concerti dei Rolling Stones arrivo’ grazie all’intraprendenza di mio padre…
Gabriele Serpe
Commento su “Vittorio De Scalzi: intervista con il cantautore genovese leader dei New Trolls”