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L’Islanda dopo il crack: bolla immobiliare e nuovo rischio default

Dopo il fallimento e la Costituzione online, l'Islanda è vicina ad un nuovo terremoto finanziario, un meccanismo simile a quello che ha portato alla crisi dei mutui subprime americani


8 Dicembre 2012Rubriche > Penna sagace Banny

Islanda, abitazioniCirca un anno fa abbiamo smentito la favola della piccola Islanda che, dopo essere stata sconvolta da un terribile terremoto finanziario, avrebbe vinto la battaglia contro il malvagio Fondo Monetario Internazionale risollevandosi dalla crisi. Abbiamo visto quanto la realtà fosse ben diversa, tanto che questo paese viene spesso citato sia dal Fondo Monetario Internazionale sia da economisti del calibro di Paul Krugman come esempio positivo di collaborazione tra governo e FMI. E mentre il tanto celebrato processo di rivisitazione della Costituzione attraverso il web e i social, quindi con il diretto coinvolgimento della popolazione, procede (il testo è stato definitivamente approvato manca ancora il sigillo del Parlamento), vediamo invece come sta andando la ripresa economica ora che i riflettori della stampa internazionale si sono spenti…

Il paese, dopo due anni di grave recessione, ha registrato nel 2011 una crescita del 2,6% e si prevede che nel 2012 il PIL cresca del 2,7%. Il tasso di disoccupazione è in costante discesa e si pensa che l’inflazione, ora al 4,2%, convergerà nel medio termine al valore prefissato dalla Banca Centrale pari al 2,5%. Ebbene sì, tutto farebbe pensare che il peggio sia passato e che i nostri amici islandesi possano dormire sonni tranquilli. Purtroppo non è così e forse si stanno creando le condizioni per una nuova bolla immobiliare.

Dopo il crack del 2008 sono stati introdotti dei controlli sui capitali con lo scopo di stabilizzare il cambio. In parole povere non è più consentito convertire corone islandesi in altre valute per evitare la fuga di capitali. Questo ha dapprima aiutato la ripresa dell’economia incentivando gli investimenti sul suolo nazionale, ma ha anche creato una grande quantità di liquidità offshore, cioè posseduta da investitori non residenti che sono rimasti “intrappolati” nella corona islandese. Questa liquidità, pari a circa 8 miliardi di dollari, non avendo altri sbocchi, viene investita principalmente nel settore immobiliare facendo lievitare enormemente i prezzi delle case e il numero di compravendite. Come se non bastasse, oltre al classico investimento sul “mattone”, gli investitori si rivolgono a forme più sofisticate di investimento come le obbligazioni ipotecarie che sono titoli obbligazionari derivanti dalla cartolarizzazione di prestiti ipotecari. In pratica le ipoteche concesse alle famiglie vengono “vendute” a investitori che ottengono un guadagno proveniente dai pagamenti delle rate delle ipoteche stesse.

Il principale emittente di questi titoli è HFF (Housing Finance Fund), una banca di proprietà pubblica che possiede il 60% del mercato dei mutui e che, per legge, deve emettere mutui indicizzati all’inflazione. Le banche commerciali non hanno questo obbligo e, grazie alla forte domanda proveniente dai capitali offshore, riescono a ottenere prestiti a bassi tassi d’interesse e quindi a offrire mutui più appetibili di quelli di HFF i cui clienti stanno rinegoziando i propri mutui per passare alla concorrenza. Questo ha provocato uno squilibrio tra il costo crescente del debito e la redditività decrescente dei propri crediti che sta portando HFF vicino alla bancarotta. Per evitare il default di HFF il governo probabilmente dovrà intervenire imponendo nuove tasse oppure utilizzando i fondi pensione.

In parole povere, gli investitori stranieri in possesso di corone islandesi, non potendo cambiare valuta, stanno comprando immobili e titoli sull’isola alimentando una bolla che prima o poi rischia di scoppiare.

Bolla immobiliare e speculazione su obbligazioni immobiliari… vi ricorda qualcosa? È lo stesso meccanismo che ha portato alla crisi dei mutui subprime americani. Non mi stupirei di sentir parlare presto di mutui ninja islandesi.

Purtroppo la situazione non è affatto semplice: finché vi saranno i controlli sui capitali (previsti fino al 2015) si rischia di avere bolle speculative come quella che sta avendo luogo adesso, ma d’altra parte abolirli troppo presto potrebbe avere conseguenze ancora peggiori a causa delle fughe di capitali.

Sigríður Ingibjörg Ingadóttir, membro del parlamento islandese, in un intervista a Bloomberg ha dichiarato che per arginare la bolla speculativa “il parlamento dovrebbe istituire una legge per limitare le opzioni di investimento per i detentori di corone islandesi offshore” e che questa legge dovrebbe “impedire agli investitori di utilizzare i fondi offshore nel mercato immobiliare”.

Purtroppo gli islandesi sono ben lontani dall’aver risolto tutti i propri problemi e sono chiamati a ripetere un’altra impresa, forse ancora più ardua di quella che ha permesso loro di superare la più grande crisi finanziaria della loro storia.

 

 Giorgio Avanzino


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