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Crisi europea e riforme: la teoria del premio nobel Joseph Stiglitz

I gravi problemi del nostro paese come giustizia lenta, burocrazia inefficiente, spesa pubblica improduttiva, corruzione, mafie non sono i temi di questa crisi economica


15 Marzo 2013Rubriche > "Polis" Critica Politica

economia-soldi-D6Sono passati quasi sette anni dallo scoppio della bolla dei mutui sub-prime e, mentre molti paesi si sono già ripresi (compresi gli stessi Stati Uniti), in Europa la situazione non fa che peggiorare: con maggiore gravità nei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), ma di riflesso in tutto il continente. In Italia, dove prosegue una paurosa recessione, l’esito delle elezioni ha archiviato l’esperimento Monti, i cui risultati molto deludenti, sia in termini di crescita che di debito, screditano la sostenibilità e l’efficacia della linea di austerità voluta da Bruxelles e Berlino. A questo punto, eliminata l’unica opzione considerata praticabile fino all’altro giorno, sorge spontanea la domanda: che si fa?

Sarebbe interessante sentire le proposte della politica e del mondo dell’informazione più serio e titolato, che però, stranamente, su un argomento così centrale non si esprimono: cosicché oggi non si sa come mai siamo ancora in crisi e nessuno dice come se ne possa uscire. Certo, tutti parlano di fantomatiche “riforme”, indubbiamente auspicabili: il problema è che i loro effetti si vedranno, se mai, solo sul lungo periodo. E purtroppo – diceva quel tale – sul lungo periodo saremo tutti morti.

Chi segue questa rubrica sa benissimo cosa ne penso io. Oggi però, grazie ad un videosegnalatomi da un collega, posso citare a testimone un premio nobel del calibro di Joseph Stiglitz, il quale a proposito della recessione europea si esprime con parole che non potrebbero essere più nette: «Questa crisi, questo disastro è prodotto dall’uomo. […] E fondamentalmente questo disastro prodotto dall’uomo ha quattro lettere: l’EURO […] Per salvare l’Europa, per salvare l’Unione Europea, potrebbe essere necessario sacrificare l’euro».

Vorrei che fosse assolutamente chiaro il senso e le implicazioni di quello che dice l’economista americano:

1. La recessione non lascia spazio alla ripresa unicamente a causa delle nostre scelte inappropriate: ma da questo consegue che, se ora prendessimo decisioni più appropriate, potremmo avviarci a una ripresa in tempi relativamente veloci;

2. Questi errori riguardano esclusivamente l’euro e la sua gestione;
3. Al punto in cui siamo, la moneta unica rischia di diventare un fattore di disgregazione, piuttosto che di unificazione: è possibile ancora salvare il progetto di unificazione originario, ma per farlo potrebbe convenire tornare alle valute nazionali.

 

Insomma: la causa del perdurare della crisi, il vero motivo per cui non sembrano esserci vie di uscita al dramma occupazionale e sociale che stiamo vivendo, è che siamo dentro la gabbia dell’euro.

I limiti della nostra valuta sono noti: in tempi di crisi, quando bisogna recuperare competitività, la rigidità del cambio impedisce di svalutare la moneta e costringe quindi a svalutare i salari (cosa che ammette piuttosto placidamente anche il responsabile economico del PD Fassina). Coordinare una politica diversa, che comporti una svalutazione dell’euro, è molto difficile: perché siamo paesi troppo diversi, con lingue, sistemi fiscali, leggi e idee diverse. Alla Germania in particolare il cambio rigido è tornato molto utile e l’ha usato a proprio vantaggio per rafforzarsi ulteriormente a scapito dei vicini. Ora comprensibilmente a questo vantaggio fatica a rinunciare: per questo ha imposto politiche di austerità agli altri Stati, quando la soluzione in realtà non consiste nel contrarre la spesa, ma nell’espanderla.

Finanza, Economia e BancheStiglitz in effetti spera ancora che politiche di solidarietà provenienti dai paesi più ricchi permettano al progetto di rimanere in piedi: speranza che io, tuttavia, considero assolutamente vana, visto che i Tedeschi restano convinti che la colpa sia tutta nostra. Ma al di là di questo, non  voglio ora ripercorrere tutta l’analisi sui limiti dell’euro e le suepossibili implicazioni. Quello che qui mi preme far notare è che un economista americano e premio nobel, dovendo spiegare come mai l’Italia si trova in una recessione paragonabile a quella degli anni ’30, non parla di giustizia lenta, burocrazia inefficiente, spesa pubblica improduttiva, corruzione, mafie e tanto meno di Berlusconi. E questo non per scarsa conoscenza della realtà italiana, o perché quelli elencati non siano in effetti dei grossi problemi, ma semplicemente perché non sono i temi di questa crisi.

Di questo bisogna farsene una ragione: contrariamente a quello che pensavamo, i principali responsabili non sono i nostri politici corrotti e i nostri costumi degenerati. Questi problemi ci sono davvero, provocano danni e meritano di essere denunciati con forza: ma non hanno un collegamento diretto con l’attuale recessione.

Quando è partita l’impennata dello spread, politici e commentatori che avevano poca o pochissima familiarità con l’argomento, in mancanza di altra valide spiegazioni, hanno cominciato a tirare in ballo tutti i problemi storici del paese, veri o presunti che fossero.
Chi era contro Berlusconi, accusò Berlusconi. L’esperto di giustizia accusò la corruzione. L’imprenditore accusò la burocrazia. Il liberista accusò la spesa pubblica; il ricercatore emigrato i tagli alla ricerca; il fiscalista l’evasione fiscale. Più in generale la gente se la prese con la politica e le sue spese. Di qui il guazzabuglio di ricette anti-crisi che promettono tutto e niente, mettendo a nudo solo l’inconcludenza e l’impreparazione della nostra opinione pubblica.

Ma gli economisti veri hanno sempre saputo che è l’euro a generare gli squilibri. Per un po’ hanno provato a dare consigli su come cercare di farlo funzionare: ora, di fronte ai danni causati e all’ostinazione della classe dirigente europea, stanno cominciando a gettare la spugna. Alla fine di tutto questo discorso, dunque, sta una conclusione sola: se non si riconosce che è l’euro il responsabile di questo disastro, indipendentemente da cosa questo comporti, non si va da nessuna parte.

europa-bceQuesta ammissione può costare parecchi sforzi ai tanti “europeisti” assolutamente in buona fede che ancora difendono a spada tratta i benefici della moneta unica. Eppure sono proprio costoro che oggi sono chiamati a mettere in discussione le loro posizioni, per quanta fatica ciò comporti. Non ci si può dichiarare “a favore dell’euro” così come ci si dichiara “cattolici” o “islamici”: l’euro non dovrebbe essere una religione, ma una scelta pratica che merita di essere abbracciata se e solo se i benefici superano i sacrifici. Per cui occorre anche considerare l’eventualità di cambiare idea, perché sbagliarsi è sempre possibile.

D’altra parte a certi discorsi sui meravigliosi vantaggi della moneta unica abbiamo creduto un po’ tutti. Anche la linea di questa rubrica si è spostata molto nel corso degli ultimi mesi. All’inizio era palese la mia fiducia complessiva verso la bontà del progetto europeo e la mia convinzione che l’eccessiva spesa e l’evasione fiscale fossero tra le principali cause di questa crisi. Ci è voluto un lungo approfondimento e un lavoro di discernimento delle fonti di informazione per arrivare alla posizione attuale.

Ma se io ho cambiato idea, qualsiasi altra persona altrettanto liberamente interessata ad informarsi ha il sacrosanto diritto di cambiare idea. Il pensiero unico che oggi non smette di ribadire l’indissolubilità dell’euro non è una prova che le cose stiano davvero così; al contrario, il fatto che chi è scettico rispetto alla moneta unica ai dibattiti televisivi praticamente non partecipa, trattato quasi come chi nega l’olocausto, è un po’ sospetto. Fa venire in mente che c’è già stato un passato in cui eravamo tutti fascisti, poi tutti americani, poi tutti comunisti, …

Andrea Giannini


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