Finanziamenti pubblici, crowdfunding e fund raising. Così i cinema genovesi si sono adeguati alla nuova tecnologia digitale. E se i giovani continuano ad essere meno attenti al cinema di qualità, a Genova resiste lo "zoccolo duro" degli appassionati
«Ti auguri sempre che il cinema sia una di quelle cose che possono restare. Essendo cresciuto con il cinema, a rischio di essere banale, per me ha sempre il suo fascino stare in una stanza buia e ascoltare e vedere qualcosa. Io spero sempre di trovare lì delle risposte e delle sicurezze». Così dice Tim Burton, il regista di Edward mani di Forbice e La fabbrica di cioccolato.
Così in fondo siamo anche noi, accaniti consumatori di cinema da sala, costretti a fare i conti con i mormorii degli altri spettatori, le capigliature afro, le sale affollate, il fastidioso odore di pop corn e le esecrabili conversazioni telefoniche del maleducato di turno. Oppure orgogliosi frequentatori di sale semideserte, in orari improbabili, dove ti incanta proprio il film che non ti aspettavi , quello che non hai avuto il coraggio di proporre a nessuno, ma che domani potrai con fierezza consigliare agli amici che condividono la tua passione.
Genova, per gli appassionati di pellicole inconsuete, quelle un po’ fuori dai circuiti maggiori, rappresenta una specie di tormento: non certo una piazza dove un film non passa se non è di cassetta, ma certamente dove occorre seguire attentamente le programmazioni se non si vogliono perdere delle occasioni “quasi uniche”.
Diciamo che in quella terra di mezzo fra lo spettatore abituale delle ultime novità ed il cinefilo incallito che non perde un evento, ci starebbe una comunicazione, una visibilità ed un posizionamento più forte per quelle sale che meritoriamente seguono questa strada. Fra questi ci sono il Club Amici del Cinema, per esempio, che con il Missing Film Festival da vent’anni compie un’opera preziosa, spesso trascurata dai mezzi di comunicazione e talvolta poco pubblicizzata dal cinema stesso, la Sala Don Bosco a Sampierdarena.
Sempre fra chi propone una scelta “più di nicchia” c’è la rassegna Cineforum genovese, che resiste dal lontano 1953, ad opera dell’Istituto Arecco, che utilizza la sala America un paio di martedì al mese; anche il Ritz, pur in orari e con film di cartello, opera una certa selezione posizionandosi fra le sale “d’essai” come recita il nome. Il Sivori ha recentemente aperto una terza, piccola sala chiamata appunto “Filmclub Sivori” dove proporre e riproporre titoli meritevoli di attenzione particolare. Come non dimenticare, poi, le rassegne organizzate dal Teatro Altrove e l’appuntamento del venerdì con il Cineforum The Space.
I genovesi, però, che pubblico sono?
La città ha subito, ricambiata, il fascino della settima arte (ne abbiamo parlato qui), ed un accurato studio di Stefano Petrella, pubblicato dalla rivista FilmDOC nel numero 100, ci racconta come, fin dagli esordi, il pubblico ligure e genovese si riversasse nelle sale a vedere quello che allora rappresentava una novità assoluta. Nel 1914 la città si avviava all’Esposizione internazionale con circa 466 mila abitanti, opere notevoli create ad hoc per l’evento in tempi brevissimi, ed un numero di sale cinematografiche in centro città che si aggirava intorno alla settantina; l’anno dopo la rivista americana “Moving picture of the world ” parlava della “Twentieth of September street” che da lì in poi fu chiamata la Broadway genovese. Ma alla molto più dimessa Esposizione per le Colombiane del 1992 le sale cinematografiche arrivarono più che dimezzate ed in pochi anni dalla Broadway italiana scomparvero anche le ultime, l’Orfeo, l’Olimpia, l’Universale mentre aprivano i battenti i primi Multiplex: pur fra qualche difficoltà, probabilmente più gestionale che altro, questi continuano ad essere ancora oggi “il nuovo che avanza”.
Infatti alla fine del 2010, dopo un periodo di chiusura della struttura Cineplex nell’area dell’Expo, il Consiglio di amministrazione della società Porto Antico ha indetto una gara per ri- assegnare gli spazi: ha vinto, ottenendo un contratto di affitto per 18 anni, “The Space Cinema”, il colosso numero 1 delle multisala in Italia.
Chi ha avuto la peggio è stata proprio la cordata genovese di Beppe Costa (Acquario di Genova) e Alessandro Giacobbe (Circuito CinemaGenova) che, a suo tempo, lamentò la vittoria dell’omologazione su di un’offerta, la propria, molto più culturalmente articolata.
Dunque, ricapitolando, ad oggi nel comune di Genova troviamo il complesso Uci Fiumara, 14 sale, nato dalla partnership fra Universal e Paramount Pictures e primo circuito in Europa; The Space, per l’Italia il diretto concorrente, 10 sale nel rinnovato complesso del Porto Antico; poi abbiamo il Circuito Cinema Genova (Odeon, City, Sivori, Ariston e Corallo) proprio di Alessandro Giacobbe ed infine le sale America e Ritz d’essai, del circuito Cinema Genova Centro gestito da Luigi Cuciniello. Quest’ultimo, genovese, da novembre presidente Anec (Associazione nazionale esercenti cinema), direttore organizzativo della Sezione Cinema alla Biennale di Venezia ed ex presidente Agis, è uno strenuo sostenitore della necessità per il cinema di saper catturare i giovani anche attraverso una diversa programmazione per fasce orarie, e promotore di un calendario delle uscite annuali che possa ottimizzare anche i momenti di bassa e bassissima stagione.
Poi ci sono le piccole sale delle delegazioni, da Nervi fino a Palmaro, ed alcuni cineclub, spesso adiacenti alle parrocchie che hanno salvaguardato, in questi anni, la conservazione di alcuni, strategici spazi.
Tutte queste sale hanno una propria ragione di esistere, dovuta ad un pubblico comunque attento alle novità, agli eventi, disposto ad uscire di casa e spesso molto numeroso: solo le nuove generazioni tendono a non essere esplorative nella scelta dei film trascurando titoli fuori dal circuito mainstream.
Questo zoccolo duro di pubblico ha permesso anche alle piccole sale fuori dai circuiti di dotarsi della nuova tecnologia digitale, quella che nel giro di un paio di anni ha rivoluzionato il modo di fare cinema: anche i registi più tradizionali o più famosi, che si ostinavano a girare con la vecchia pellicola che poi riversavano in digitale si sono arresi, o forse hanno colto i numerosi vantaggi del nuovo mezzo. Non solo il costo delle riprese ed anche della post-produzione si è ridotto drasticamente, ma sono possibili finezze di colore e di particolari prima impensabili. Quindi quello che fino a poco tempo fa era considerato il tipico ripiego di chi voleva girare piccoli film indipendenti a budget ridotto ora è il mezzo e basta: ma come è stato per il disco in vinile, dato più volte per morto e tuttora vivo (ne avevamo parlato qui), e neanche troppo malconcio, così potrebbe succedere per le pellicole, che proprio in Liguria sono tornate a vivere.
Grazie ad una fortunata campagna di fund raising, infatti, Ferrania, azienda savonese un tempo leader nella produzione di pellicole da cinema, è stata riaperta da due intraprendenti ragazzi, che hanno recuperato i vecchi magazzini della compagnia e, con il sostegno finanziario anche della Regione Liguria, hanno assunto nove vecchi dipendenti e affittato nuovi locali: stanno realizzando, con macchinari rimodernati e più efficienti, quelle stesse pellicole a colori che altrimenti sarebbero ufficialmente estinte. Per la conservazione nel tempo delle opere, il vecchio supporto fisico pare essere ancora la miglior scelta.
Ma tornando alle nostre sale indipendenti, la rivoluzione digitale ha rappresentato, ed ancora in parte rappresenta, una grossa difficoltà per cui le alternative erano: adeguarsi, anche indebitandosi, o chiudere.
Adeguarsi permette infatti, oltre che di disporre delle pellicole (che non sono più tali, poiché sono stati trasferiti in dati contenuti in supporti digitali) in maniera più semplice ed economica, ma anche, volendo, di trasmettere in diretta eventi come concerti o partite, insomma di esserci. Però, nonostante l’impegno della Regione Liguria che ha stanziato circa un milione di euro in contributi, il costo dello switch- off è stato comunque elevato, poichè stiamo parlando di piccoli enti dal bilancio molto risicato.
Ognuno ha cercato fondi come meglio ha potuto, ad esempio il cinema San Pietro di Quinto ha aperto una sorta di crowdfunding fra i clienti e gli abitanti del quartiere: «Abbiamo conservato il proiettore – ci hanno detto – solo nel caso ci fosse stata qualche pellicola vecchia, che volevamo proiettare, non ancora trasferita in digitale. Ma a dire la verità non sembra proprio che fosse necessario, ormai lo sono tutte».
La Regione Liguria, con loro, è intervenuta per 34mila euro, ai quali hanno dovuto aggiungerne altri 28mila; il cinema Albatros di Rivarolo aveva vissuto analoga vicenda oltre un anno fa, ora esibisce orgogliosamente, accanto ai titoli dei film , il codice 4k che sta ad indicare una risoluzione superiore al full hd televisivo; stessa cosa per il Nuovo Cinema Palmaro, mentre il San Siro di Nervi, digitalizzato ovviamente, continua nella raccolta fondi per completare il pagamento.
Altri problemi, questa volta di un più oculato sfruttamento degli orari, vivono invece le sale degli altri circuiti; in questo caso si tratta di rinnovare il tipo di offerta, sperimentando pacchetti di proposte. Il circuito Cinema Genova per un paio di anni ha proposto l’abbinamento cena e cinema, ad un prezzo unico; ora, con un successo che è stato definito discreto, sta tentando una diversa articolazione delle proposte e degli orari: il cinema Odeon offre alla domenica mattina la proiezione di grandi film e animazione per tutta la famiglia… ci dicono che «all’estero funziona questo tipo di proposta, noi dobbiamo ancora abituarci all’idea, ma con il tempo potrebbe essere una mossa vincente».
Certamente, e su questo concorda anche Cuciniello, gestore del circuito Cinema Genova Centro, sono i giovani che occorre riportare nelle sale, quei ragazzi che devono abiturasi alla frequentazione delle sale e anche ad osare nella scelta dei film: in fondo la magia del cinema è proprio questa, la sua capacità di incantarti proprio quando credevi di averlo messo nell’angolo. Ed un modo intelligente per catturarli potrebbe essere l‘ opportunità che si chiama “Life in Liguria“: da maggio ad ottobre 2015, chiunque voglia, può filmare ciò che ritiene possa raccontare la “sua” Liguria, nel bene e nel male, e con qualunque supporto (telefoni cellulari ad esempio). I filmati migliori diventeranno un documentario della durata di un film, come è stato per “Italy in a day” di Salvatores che ha incontrato molto successo. Certo, qui si tratta di fare e solo dopo di mettersi al buio a guardare e guardarsi, ma chissà che, una volta cambiato lo sguardo, non rimanga la voglia di trovare un’altra risposta.
Bruna Taravello