Daniele e Carolina ogni giorno accompagnano cittadini normodotati di ogni età alla scoperta del buio con cui i non vedenti convivono tutta la vita, un'esperienza che nutre l'anima e che consigliamo vivamente...
E all’improvviso, è tutto sottosopra. Oscurità totale, e tu, che di solito vai abbastanza spedito, non sei nemmeno sicuro di fare un passo avanti. Potresti inciampare. Potresti cadere. E poi, chissà cosa c’è lì davanti, in quel muro di buio che non si attenua, inutile spalancare gli occhi… Meglio far strisciare lentamente un piede in avanti e sondare il terreno.
È questa la sensazione che avvolge appena si entra nell’oscurità di Dialogo nel Buio, e che accompagna per tutto il percorso: di capovolgimento della realtà cui siamo abituati. L’impaccio e l’incertezza connotano ogni singolo movimento. C’è solo una cosa che illumina questo buio: la presenza della guida non vedente che ti tende una mano sicura e gentile, ti parla e ti conduce attraverso gli ambienti che riproducono luoghi di vita quotidiana, con relativi oggetti, suoni e odori; viverli a occhi “chiusi” significa, ovviamente, acuire gli altri sensi e trovare un modo diverso per “vedere”. La prima cosa che succede appena entrati (si va a piccoli gruppi) è il totale ribaltamento dei canoni della prossemica: le mani si allungano a cercare riferimenti, la vicinanza non dà alcun fastidio, anzi rassicura, e diventa immediatamente normale prendersi la mano per guidarsi a vicenda sui vari oggetti nelle stanze; non importano l’aspetto, la postura, i vestiti; il che ti fa sentire alleggerito di un immenso fardello che tutti i giorni ci portiamo appresso senza nemmeno accorgercene: l’apparenza. Resta importante solo la voce.
La nostra guida si chiama Daniele: nella generale goffaggine del gruppetto, tra gomitate e pestoni sui piedi, procede senza incertezze, andando a recuperare chi ha perso l’orientamento e continuando sempre a parlare e a porgere la mano. Si muove con impressionante naturalezza e sembra quasi fluttuare da una parte all’altra senza sforzo. Non lo vedo, ma lo so. Perché muovendosi non urta nulla, e la sua voce si sposta costantemente indicandoci il verso da seguire.
Per l’intervista Daniele mi porta nella sala relax delle guide: un altro ambiente buio, di cui conoscerò solo il divano perché è lì che mi fa accomodare appena entrati. Qui troviamo Carolina, altra guida in pausa, che resta per chiacchierare e rispondere alle mie domande.
Prima di tutto riflettiamo sull’inversione dei ruoli e su come loro vivano l’esperienza di guidare gli altri: «In questo luogo tutti i ruoli si invertono – dice Carolina – anche tra i visitatori. Il bambino per esempio è più spigliato e a suo agio dell’adulto. Personalmente fare quest’esperienza come guida è stato complicato all’inizio per me, ma mi ha portata ad affrontare certe mie paure e superarle per poter aiutare gli altri. Questa è una cosa che mi ha rafforzata». Aggiunge Daniele: «Trovarsi d’un tratto a essere non l’handicappato, ma quello che aiuta gli altri può sembrare una situazione di gratificazione, ma è un elemento che passa in secondo piano. La cosa più importante è che incontri persone diverse, ognuna con la propria emozione, e le porti attraverso il percorso. Il buio annulla il fastidio della vicinanza, ci permette di stare vicini, e ci mette in una situazione più tranquilla, pacifica e più umana». Entrambi dicono: «Crollano tutti i pregiudizi, gli stereotipi…cogliamo le sfumature delle voci e ci ascoltiamo di più. Usiamo l’istinto».
«La vista è come una scatola molto grande, che occupa quasi tutto lo spazio – così Carolina fornisce la sua interpretazione – al buio si rimpicciolisce e le scatole degli altri sensi possono finalmente espandersi. Ti rendi conto di cose che non notavi, e che diventano invece importanti».
Poi passiamo ad analizzare le reazioni dei visitatori. Carolina racconta: «Appena entrano e prendo loro la mano, quasi tutti si spaventano perché sentono solo il contatto senza avermi vista, e non essendo abituati indietreggiano. Così devo spiegare cosa sto facendo». Entrambi trovano che sia molto importante l’istinto in questa come in altre situazioni: «Ho imparato a farmi guidare dall’istinto in molte occasioni – dice Daniele rispondendo alla mia osservazione su come fosse gentile e rassicurante il suo modo di guidare – e anche in questo caso il mio approccio è puramente istintivo. Faccio ciò che mi viene naturale fare». Per Carolina invece «l’istinto genera empatia: reagire spontaneamente alle situazioni crea un filo tra una persona e l’altra. Questo filo si avverte tantissimo al buio».
Si sono sentiti chiedere diverse volte se vedono al buio, da persone stupite dalla sicurezza con cui procedono nel percorso: «Non è che vedo al buio – continua Carolina – è che creo questo filo costante che dura fino alla fine del percorso. Per questo mi accorgo di tutto». La loro scioltezza nei movimenti, raccontano, è frutto di una vita di addestramento e lavoro, aiutati dall’istinto che compensa quello che manca. Ancora sui visitatori, Daniele: «La stragrande maggioranza mostra reazioni molto positive. Solo una piccola minoranza ha reagito negativamente. C’è stato qualcuno che è scappato immediatamente. Una ragazza per esempio ha visto riaffiorare nel buio antichi dolori e non ha proseguito». Carolina: «Mi sono capitate persone spaventate, claustrofobiche, una ragazza che ha cominciato a piangere appena entrata e ha smesso quando è uscita, e nonostante questo ha voluto andare avanti, tenendomi forte la mano. Facendo la guida dai e ricevi tantissimo. Sei “costretto” a rispondere a domande che i visitatori ti fanno sul non vedere, e dover spiegare a persone che non ne sanno niente ti dà la forza per parlarne e anche affrontare blocchi personali. Senza saperlo, i visitatori danno davvero tanto alle guide».
Ci sono stati anche molti visitatori con altri handicap: persone in carrozzella, sordomuti. «A un certo punto scopri altre sfaccettature dell’universo. Ricordo una ragazzina in sedia a rotelle – mi dice Daniele – che non poteva praticamente parlare, muoveva solo un braccio. A un certo punto mi ha tirato giù, ha preso la mia testa e se l’è messa contro il petto. Non aveva bisogno di parlare».
Termina Carolina, con un aneddoto che allarga il cuore: «Durante la visita di una classe di scuola, un bambino mi faceva più domande di tutti, interessatissimo. Non ha smesso un secondo di parlare. Quando usciamo, l’insegnante mi abbraccia, “Hai fatto un miracolo” mi dice. Insomma, il ragazzino non aveva mai parlato prima».
Se non siete ancora andati, correte. Questa è un’esperienza che vale ogni singolo minuto del tempo che ci si prende per farla. Una di quelle cose che fanno bene alla mente, e all’anima. Dialogo nel Buio ha avuto ad oggi oltre 17mila visitatori; resta in allestimento a Caricamento, adiacente Palazzo San Giorgio, fino al 1° luglio compreso. L’approccio più semplice è il percorso, ma vengono organizzati anche aperitivi e cene al buio. Il percorso dura 45 minuti e bisogna prenotare. Tutte le info su dialogonelbuio.chiossone.it oppure tel. 010/8342423.
Claudia Baghino