A Genova 4 mila persone in lista d’attesa e il Comune assegna solo 240 alloggi all’anno. Investiti 6,3 mln di euro nell’edilizia residenziale pubblica e a breve altri 1,2 mln. Ma in città gli alloggi sfitti sono 15 mila e altrettanti vengono affittati in nero
Difficile capire come, di fronte a cifre di tale portata, l’assessore alle Politiche della casa del Comune di Genova, Paola Dameri, possa ritenere «positivo» il bilancio dell’attività svolta nell’ultimo anno di amministrazione. Nella nostra città, infatti, sono circa 4 mila le persone in lista di attesa per l’assegnazione di un alloggio pubblico, ma nel 2013 Tursi ne ha assegnati solo 240, a fronte dei 180 dell’anno precedente. E il prossimo bando arriverà a novembre, ancora con le vecchie norme perché non è arrivata la nuova legislazione regionale in merito.
«Per quanto riguarda l’edilizia residenziale pubblica – spiega l’assessore Dameri – in quest’ultimo anno abbiamo recuperato 180 alloggi e altri 70 sono attualmente in corso di ristrutturazione per poter poi essere assegnati. In totale abbiamo investito 6 milioni e 300 mila euro, con fondi per lo più regionali. Inoltre, c’è in previsione un ulteriore investimento di 1 milione e 200 mila euro per altri 40 alloggi che dovremmo recuperare attraverso un bando regionale. L’obiettivo è quello di raggiungere, nel corso del 2014, un tasso di alloggi pubblici sfitti del 3% che può essere considerato strutturale». A livello concreto, si tratta nel brevissimo periodo di scendere da 280 alloggi sfitti (circa il 6% dell’attuale patrimonio pubblico) a 160-170.
«Certo – ammette l’assessore Dameri – è negativo avere un numero elevato di alloggi sfitti di fronte a una richiesta di case consistente. Ma, almeno per quanto riguarda l’edilizia residenziale pubblica, il problema riguarda la disponibilità finanziaria per rimettere in sesto gli alloggi e poterli assegnare come previsto dalla legge». E in questo senso la totale latitanza dello Stato non aiuta. «Nella legge di stabilità 2012 – prosegue Dameri – si accennava a un fondo per il sostegno alle locazioni che però non è mai stato finanziato. E questa per i Comuni, in un momento di grave crisi economica, è stata una pugnalata alla schiena fortissima».
Tursi ha dunque provato a rimboccarsi le maniche e a recuperare parte dei fondi attraverso un’attenta lotta alla morosità. «Avevamo circa 700 pratiche di morosità inevase da parecchio tempo» racconta l’assessore. «Per questo è stata predisposta un’apposita task force che nei primi 9 mesi del 2013 ha recuperato 1 milione e 200 mila euro su un totale di poco inferiore ai 3 milioni. Quest’azione ha prodotto anche un positivo effetto psicologico su alcuni cittadini che si sono rivolti spontaneamente ad Arte per saldare il dovuto». Nell’opera di recupero crediti, il Comune ha distinto tra morosità colpevole e incolpevole, quella cioè di chi non paga perché non ha reale disponibilità economica. Per ragioni di «equità sociale» ci si è rivolti solo a coloro che non pagano pur avendone la possibilità, mentre per gli altri è stato utilizzato un fondo regionale di circa 300 mila euro, non sufficiente ad azzerare i debiti ma in grado almeno di ridurne l’importo. Resta ancora da affrontare lo zoccolo duro dei morosi pluriennali, una ventina di famiglie che comporta un mancato gettito alle casse comunali di circa 650 mila euro complessivi. «Su questo settore stiamo ancora approfondendo – dice Dameri – ma sembra che solo due situazioni siano seguite dai servizi sociali. La morosità cronica è assolutamente da evitare perché si fa presto a raggiungere cifre sempre più ingenti e di conseguenza insolvibili. Su cifre basse, invece, si può ricorrere a una rateizzazione del debito, tenendo anche presente che l’affitto di un alloggio di edilizia residenziale pubblica è commisurato alla capacità reddituale degli affittuari».
Ammesso, e non concesso, che le cifre riguardanti l’edilizia residenziale pubblica possano essere ritenute accettabili, lo stesso non si può certo dire se si dà uno sguardo più complessivo alla piaga dell’emergenza abitativa. Cosa che, quantomeno a livello istituzionale, non sembra avvenire. Le stime parlano, infatti, di circa 15 mila alloggi vuoti a Genova, a fronte di un totale di alloggi costruiti in città intorno ai 220/230 mila.
«Di per sé – ci spiega Bruno Pastorino, già assessore all’housing sociale della giunta Vincenzi e attuale delegato regionale Anci per le politiche per la casa – i numeri parlerebbero addirittura di 30 mila alloggi vuoti, ma facendo un confronto con le grandi utenze realmente consumate questa cifra viene sostanzialmente dimezzata». Da quest’analisi emerge, dunque, un altro dato: ben 15 mila alloggi a Genova sono affittati “in nero”. «Al di là del problema del “nero” che in qualche modo deve essere affrontato, anche solo i 14-15 mila alloggi realmente disponibili – riprende Pastorino – sarebbero di gran lunga sufficienti a soddisfare il fabbisogno genovese che si attesta intorno ai 4 mila richiedenti. Una cifra in parte sottostimata perché, ogni anno, di fronte a un ente pubblico che non riesce sostanzialmente a venire incontro alla tua domanda, un 10-15% di cittadini rinuncia pure a spendere i 12 euro di bollo per rinnovare la richiesta perché tanto si ritroverebbe in fondo alla lista e non riceverebbe mai la casa».
«Il nostro obiettivo – afferma Dameri, in una dichiarazione che ha molto di politico e troppo poco di concreto – è quello di fare in modo che nessuno resti per strada». Per questo motivo, la direzione delle Politche per la casa del Comune di Genova ha predisposto una sorta di piano emergenziale per chi si ritrova senza un tetto a causa di uno sfratto esecutivo da alloggio privato. «Abbiamo arredato 13 alloggi di proprietà pubblica, che entro l’anno dovrebbero arrivare a 20, in cui abbiamo accolto famiglie che, non avendo rete amicale o parentale a sostegno, si sarebbero ritrovate per strada. Abbiamo già seguito 47 casi, per lo più riguardanti nuclei famigliari con minori». Si tratta di un primo passo di assistenza che prosegue con l’assegnazione provvisoria di alloggio popolare, qualora vi fossero i requisiti, o con la concessione di un affitto a canone concordato. «Ci siamo dati due anni come limite temporale per risolvere definitivamente i casi da quando iniziamo a seguirli – spiega l’assessore – ma al momento siamo riusciti a sanare tutte le situazioni entro l’anno. Sul tema degli sfratti da privati ci stiamo muovendo molto sul territorio, cercando di capire se è possibile intercettare i singoli casi con il giusto anticipo, che ci consenta di intervenire in modo più efficace con il programma di emergenza abitativa».
Tra le soluzioni possibili all’emergenza abitativa ci sarebbe anche l’Agenzia per la casa che, tuttavia, per ammissione della stessa Dameri, non ha un grande seguito. Si tratta sostanzialmente dei tanto famosi affitti di alloggi privati a canone calmierato, ma la disponibilità da parte dei proprietari a “concedere” i propri immobili è risultata al momento parecchio limitata. «Tra le 4 mila domande di alloggio residenziale pubblico ci sono molti cittadini con un reddito tale da consentire il pagamento di un affitto calmierato» sostiene l’assessore. «Il problema è che l’offerta è quasi inesistente nei confronti di una domanda, invece, molto ingente. Per provare a rilanciare questa opportunità, a breve inaugureremo in via Balbi una sorta di sportello–agenzia immobiliare proprio per gli affitti privati calmierati».
In questo quadro già di per sé piuttosto tragico, resta ancora da affrontare il delicato tema delle occupazioni. «Per quanto riguarda l’edilizia residenziale pubblica – afferma Dameri – nell’ultimo anno sono state esaminate 120 pratiche ed eseguiti 40 sgomberi, solo nei casi in cui non vi fossero soggetti fragili (anziani, bambini, disabili). Ma in molti casi è socialmente difficile poter intervenire». L’assessore, poi, si aggrappa alla stampa per lanciare un appello: «Vorrei ricordare a tutte le famiglie che l’occupazione abusiva di un alloggio pubblico è un reato perseguibile d’ufficio. La questura, su nostra indicazione, sta lavorando molto per intercettare tutte le persone che utilizzano questo strumento illegale anche attraverso il consiglio e l’aiuto di altri soggetti. Bisogna far sapere che, quando una famiglia occupa un alloggio pubblico, viene automaticamente esclusa dalla lista di assegnazione di case comunali. Capisco che la situazione sia grave ma a quel punto noi non abbiamo più strumenti per poter intervenire in aiuto. E per me è un grande dispiacere».
Tutto vero. Ma è opportuno precisare ancora una volta che la questione riguarda solo le occupazioni di alloggi pubblici. Per quanto riguarda l’occupazione di un alloggio privato, invece, prima che si configuri un reato è necessaria la denuncia della parte lesa. E, secondo le informazioni in nostro possesso, non si verrebbe comunque esclusi dalla graduatoria per l’assegnazione di un alloggio popolare pubblico. Ma, incalzata sulla questione, l’assessore Dameri non ha saputo rispondere. Ad ogni modo, è proprio per questa sottile ma assolutamente non lieve differenza che le occupazioni che tentano di arginare in modo “artigianale” la piaga dell’emergenza casa si stanno sempre più rivolgendo verso alloggi abbandonati di proprietà private. Esattamente come accaduto nella storia raccontata qualche tempo fa di Simone e sua mamma Barbara che, dopo essere stati sfrattati dal loro alloggio di Certosa, hanno occupano un’abitazione delle Opere Pie in piazza Cernaia, anche grazie al sostegno dello Sportello per il diritto alla casa.
«Sull’emergenza casa – chiosa Bruno Pastorino – esiste un deficit di rappresentanza da parte delle istituzioni. E di fronte a una rete pubblica che non è in grado di recuperarti, se non riesci a stare dentro al mercato risulti automaticamente espulso. Gli unici che sembrano veramente interessarsi a questi bisogni sono i movimenti per la casa che stanno nascendo in molte città italiane, Genova compresa, anche se sono ancora un po’ deboli rispetto a quanto succede in altri Stati come Francia, Spagna, Portogallo e persino Israele. Il loro obiettivo dovrebbe essere quello di diventare più larghi e inclusivi possibili e soprattutto di intrecciare fattive collaborazioni tra le diverse realtà esistenti sul campo».
Simone D’Ambrosio