Intoppi burocratici per l'intitolazione della nuova piazza del ghetto di Prà al prete di strada. Bisogna attendere l'ok della Prefettura prima di dare il via all'iter. Piazza Don Andrea Gallo si inserisce ina serie di novità che puntano a rilanciare il quartiere
Lo scorso 18 luglio arrivò l’annuncio di Simone Leoncini, presidente del Municipio I, e del Sindaco Doria in occasione della festa al PalaCep di Prà per le celebrazioni del compleanno di Don Andrea Gallo: la piazza “senza nome” (conosciuta come Piazza Princesa, dedicata alle attività della comunità trans del ghetto) nel cuore del ghetto di Prè sarà intitolata al grande prete amico degli ultimi, che nel ghetto aveva la sua seconda casa. Una notizia che aveva avuto molta eco e di cui avevano gioito non solo le “Princese” e gli operatori del ghetto, ma tutti i genovesi. Così Leoncini all’epoca: «È la piazza più grande del ghetto di Prè, ma a quanto pare era stata dimenticata, fino a quando, pochi anni fa si sono avviati gli importanti interventi di riqualificazione urbanistica e sociale del ghetto. Grazie a Don Gallo quegli ultimi che spesso abitano il ghetto sono diventati protagonisti del cambiamento, teso a ridare piena vivibilità ai vicoli. Ricordiamo le tante iniziative costruite insieme a quelle princese cantate da De Andrè, che dei vicoli ha saputo raccontare storie, umanità e profumi». Le trans che lavorano qui sono, infatti, solite riunirsi proprio nella piazza senza nome del quartiere e dare vita a serate di cineforum, assemblee, momenti di festa e di confronto.
Oggi ancora non si sa quando avverrà l’intitolazione della nuova piazza. Lo stesso Leoncini racconta che non ci sono stati sviluppi in tale senso ma che la volontà di inaugurare a breve la piazza persiste fortemente. Il punto è che la piazza, in deroga di 10 anni, non sarà inaugurata finché dalla prefettura non arriverà l’ok. Si tratta di una formalità, visto che nulla fa pensare ad un parere negativo del Prefetto, ma Municipio e Comune sono vincolati e devono attendere questo parere per far partire l’iter.
Gli abitanti del ghetto, se da un lato sono impazienti, dall’altro sono rassegnati al fatto di dover aspettare: i tempi della burocrazia, si sa, sono spesso dilatati. Tuttavia c’è fermento: si potrebbe partire proprio da questa inaugurazione per cambiare il volto del quartiere (ma senza stravolgerlo). Dopo questo evento, è probabile che – con un’opera di promozione sia a livello istituzionale che dal basso – il ghetto entri a far parte delle rotte turistiche su larga scala e faccia da sponda a Via del Campo, con la sua lunga tradizione cantautorale legata alla figura di Faber. Potremmo essere davanti alla svolta che aprirà l’”enclave” verso l’esterno?
Eh si, perché il ghetto è una “enclave” esclusa dai normali transiti del centro storico. È una casa a cielo aperto – dice chi ci abita -, in cui tutti si conoscono: non immune da problematiche e conflitti, è anche un luogo di scambio di idee e di confronto (leggi il nostro lungo approfondimento sul quartiere sul numero 51 di Era Superba). Non a caso, proprio nel 1600 l’antico ghetto ebraico è venuto a costituirsi qui, e non a caso qui da decenni lavorano le trans dell’Associazione Princesa e trovano casa gli immigrati appena giunti a Genova.
Prima quartiere tristemente famoso per il degrado, la delinquenza e l’attività di spaccio di droga, oggi le condizioni di salute del ghetto sembrano notevolmente migliorate: soprattutto grazie all’interessamento di associazioni culturali e alla fondazione di GhettUp, che con le sue attività ha creato aggregazione e occupazione per persone con varie problematiche, fungendo presidio contro la delinquenza troppo lontana dagli occhi dei più. Un quartiere particolare, proprio per la sua forte componente costituita da migranti e da trans, che è finora poco valorizzato ma la cui riqualificazione non deve andare nella direzione del folklore: una rivalutazione sensata è necessaria. Non a caso, da qualche anno è in corso un programma di ripopolamento del ghetto, per togliergli quella nomea di “encalve” che si è guadagnato secoli fa. Oggi, si cerca di farla diventare una zona residenziale, con agevolazioni e programmi rivolti alle famiglie con bambini e alle giovani coppie: nuovi flussi e nuove case, per una piena e vera rivitalizzazione del contesto urbano.
Tuttavia, come mette in luce Marco Montoli del Ce.Sto. «il processo è complicato dal fatto che ormai da 10 anni sono presenti impalcature per la ristrutturazione di alcuni edifici bombardati durante la seconda guerra mondiale e ancora pericolanti. I ponteggi, oltre che pericolosi, oscurano i vicoli e limitano lo spazio. Senza contare il fatto che gli immobili interessati dagli interventi sono in stato di degrado e abbandono: una situazione da arginare e sistemare. Inoltre, il rischio è che anche qui (come si era tentato di fare negli anni ’90 in zona Piazza delle Erbe/Sarzano/Sant’Agostino) si arrivi a “deterritorializzare” un’area, volendola rendere solo residenziale ma finendo col massacrarla. Il rischio è che, se l’operazione fallisce, venga a mancare una cultura del territorio: poco abitato e poco sfruttato, viene ridotto a “terra di nessuno”».
E adesso, quale futuro per il quartiere? Nonostante persistano problematiche, c’è stato un forte progresso degli ultimi tempi e molte delle criticità (legate alla convivenza, alla pulizia, allo spaccio e alla delinquenza) sono state appianate: si può parlare di rilancio? Di recente è stato inaugurato qui un nuovo (primo) locale, la trattoria Locanda degli Adorno, la cui apertura è stata resa possibile grazie a una serie di finanziamenti messi a disposizione del Comune nell’ambito del “contratto di quartiere” (come era stato quattro anni fa per la fondazione della casa di quartiere GhetUp) e la cui gestione è affidata alla Cooperativa Proges, del Consorzio Sociale Agorà e Consorzio Sociale Progetto Liguria Lavoro. Di certo un segnale positivo per il quartiere: oltre all’interesse mediatico che ha suscitato la vicenda dell’apertura, anche un’operazione concreta di creare un presidio sul territorio e di portare attenzione laddove manca. Senza contare che l’apertura di un primo locale potrebbe aprire la strada a una serie di iniziative analoghe, che potrebbero contribuire a rivitalizzare il quartiere: aprendolo all’esterno, facendovi arrivare persone (turisti, avventori, clienti dei negozi, genovesi curiosi) e ricostituendo quella composizione originaria del tessuto sociale che si è andata perdendo nel corso degli anni.
Elettra Antognetti
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