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«Vivere di musica è sempre più difficile», racconta Lorenzo. «A Genova noi musicisti dovremmo fare squadra, come hanno fatto i cabarettisti...». Intanto il suo album d'esordio "Canzoni di una certa utilità sociale" ha ottenuto ottimi riscontri, le canzoni saranno presentate il 27 Marzo alla Claque
Lorenzo Malvezzi, cantautore genovese nato negli anni ’70, ha vagabondato per lo stivale sino al ritorno in patria e alla pubblicazione del primo disco solista “Canzoni di una certa utilità sociale“. Giovedì 27 marzo Malvezzi sarà in scena alla Claque con uno spettacolo di teatro-canzone, monologhi recitati intervalleranno le canzoni del disco. Un disco pop, sia come sound che come intenzione, dove la parola “pop” non vuole certo essere una parolaccia… Una struttura semplice, un sound pulito caratterizzato da tanti motivi orecchiabili che ben si sposano con l’ironia dei testi che raccontano le tante contraddizioni del nostro “essere italiani”. Abbiamo fatto qualche domanda a Lorenzo, ecco l’intervista.
Ormai già diversi anni vissuti di e con la musica… come va il vostro “rapporto”? Come sei riuscito a mantenere sempre alto il livello di guardia? Seguendoti sui social capita ogni tanto di imbattersi in tue “dichiarazioni d’amore” per il lavoro che fai…
«Io amo profondamente quello che faccio. Mi sento fratello di tutti quelli come me, che nonostante i tanti chilometri, gli orari impossibili, i mille sbattimenti per stare nelle spese, continuano a credere nei loro sogni e tengono duro. Senza queste persone, il mondo sarebbe in bianco e nero».
Dopo tanto girovagare sei tornato a Genova in pianta stabile, riesci a convivere serenamente con la tua città o anche tu fai parte di quella schiera di artisti genovesi che amano definirsi non profeti in patria?
«Genova mi fa venire in mente il film 300. Sai quando Leonida calcia giù dal pozzo il messaggero di Serse e dice “Questa è Sparta”? Beh… è stata una errata traduzione in realtà lui dice “Questa è Genova”. Però non è vero che a Genova non succede niente, è che molti genovesi sono pigri e poco curiosi. Un esempio?! Ha appena aperto un posto fichissimo il TigerSpot in via San Vincenzo, dove fanno cose veramente interessanti. Quando parlo del Tiger la maggior parte della gente mi dice “ma non è un negozio?”. Il tiger non è solo un negozio, basta fare una rampa di scale e ti si apre un mondo: mostre, corsi, concerti , caffetteria, giochi da tavolo, ping pong, cocktail e divanetti. Gratisss!! Basta fare una rampa di scale».
Riesci a vivere di musica in un periodo come questo dove i cachet per gli artisti che si esibiscono sono bassi e il mercato del disco non è più una risorsa a cui attingere?
«Vivere di musica diventa sempre più difficile. Tra musicisti, a Genova, si dovrebbe fare più squadra, più spogliatoio. Come hanno fatto i cabarettisti. Sono un fronte unito e questo impone che sul mercato abbiano una forza maggiore a livello di contrattazione e prezzo. I musicisti invece si fan la lotta tra loro, c’è quello che fa il furbetto, quello che vuole gestire e secondo me è un’immensa stronzata; si dovrebbe condividere il locale che ti fa suonare, e non prenderlo come baluardo, mettendoci una bandierina. Io e Bobby Soul, ad esempio, tra noi ci siamo sempre scambiati i locali, risultato abbiamo suonato di più.
Si dovrebbe parlare tra musicisti. Scegliere che sotto un certo cachet non si va, se siamo tutti d’accordo e un locale vuole fare musica, paga il giusto; perché non è lui a fare il prezzo, ma il professionista (i camerieri prendono un tot all’ora indipendentemente se il locale ha gente o meno). A me questa storia della crisi fa girare il cavolo, i gestori ti vogliono pagare meno perché c’è la crisi,
però il loro menù aumenta il prezzo, non diminuisce».
Infine parlaci del disco, della traccia che consigli ai lettori di Era Superba di ascoltare per prima…
«Il disco è un concept album. Trattando di temi seri in modo ironico e satirico potremmo definirlo una vignetta in musica. È questa la sua caratteristica. Non volevo fare un disco poetico. Volevo un disco concreto, in cui alla fine di ogni brano sai cosa hai ascoltato
e non ti chiedi: “ma che cazzo ha detto?”. Ho volutamente fatto un lavoro hemigwayano, ho tolto i fronzoli per dare azione… il disco è diventato in modo naturale uno spettacolo di teatro canzone con monologhi che, a volte in modo cinico, a volte in modo incantato, parlano delle contraddizioni di ognuno di noi. I singoli dell’album sono “test psicoattitudinale” e “Manifesto popolare” che sono molto identificative per un primo ascolto, però io amo tantissimo “Come la Santanchè”,”Abbestia”, “Escort Progressista”
ed “Educazione civica”… ogni volta che le suono me le godo proprio. Al lettore curioso di Era Superba che vuole capire di che cosa parla il disco in un ascolto, beh gli consiglio “Canzoni di una certa utilità sociale” che è la title track, e spiega meglio di qualunque altra la mission dell’album».