Nel capoluogo ligure la San Marcellino Onlus assieme al DiSCLIC dell'Università di Genova ha dato vita anni fa al progetto di Mediazione Comunitaria. Oggi continua a crescere, sia in città che fuori, fino in Sud America
Mediazione Comunitaria, un termine quasi sconosciuto ai più, un’esperienza importante, attorno alla quale c’è ancora un po’ di confusione. A Genova, città di migranti e di tante etnie, l’approccio a questo tema è promosso dalla Fondazione San Marcellino e dalla ex Facoltà di Lingue e Letterature Straniere (dipartimento DiSCLIC) dell’Università di Genova. Abbiamo parlato con Danilo De Luise, della Fondazione di San Marcellino.
Il progetto di Mediazione Comunitaria a Genova: come nasce e di cosa si tratta?
«Nasce dalla sinergia di più realtà: la Fondazione San Marcellino da un lato, che offre servizi per senzatetto; dall’altro, il Dipartimento di Scienze della Comunicazione Linguistica e Culturale dell’Università di Genova, con la ricercatrice Mara Morelli, che coordina il progetto. I due soggetti promotori hanno diverse competenze: l’Università ha un approccio linguistico e culturale, noi uniamo all’impegno sociale la sensibilizzazione mediante partecipazione a progetti artistici (come nel caso del film “La Bocca del Lupo”). Io ho un background come mediatore famigliare, la Dott.ssa Morelli, invece, ha una formazione interlinguistica. Dagli anni ’90 abbiamo iniziato a riflettere sulle tecniche di mediazione comunitaria. Così abbiamo presentato il nostro lavoro in Messico, all’annuale Congresso internazionale di Mediazione (finora abbiamo partecipato a 6 su 9): da tempo seguivamo il lavoro dei paesi dell’ America Latina e ci siamo aperti sempre più al loro approccio. Per noi, in Europa e in Italia, la mediazione è una tecnica puntuale: famigliare, culturale, civile, ecc. In Sud America, invece, la dimensione culturale nella mediazione dei conflitti è preponderante: una pratica antica, organizzata nei secoli, che permette di lavorare in, per e con le comunità, per far acquisire gli strumenti di risoluzione autonoma dei conflitti e riattivare i legami. Siamo mediatori “biodegradabili”, dobbiamo insegnare alla comunità a fare da sé e distinguere la problematiche reali da quelle che non lo sono. Ad esempio, alcuni si lamentano del rumore dei vicini stranieri in condominio, ma questo non ha nulla a che vedere con la mediazione culturale».
Cosa avete fatto nel corso di questi anni?
«Abbiamo deciso di portare l’approccio latino in Italia: dopo il successo del primo convegno a Cagliari nel 2007, abbiamo replicato nel 2009 a Genova con un programma per addetti ai lavori che coinvolgeva esperti mondiali. L’anno dopo, un nuovo convegno e un workshop cui hanno partecipato attivamente 85 persone. Da qui, l’idea nel 2011 di passare ai fatti, con attività nei quartieri. Abbiamo iniziato proponendo alla Casa di Quartiere GhettUp un primo workshop che ha attivato iniziative di pulizia e disinfestazione dai ratti. Successivamente abbiamo coinvolto polizia municipale, scuole e altri soggetti in corsi con formatori esperti: finora abbiamo formato più di 100 vigili (leggi l’approfondimento) e il personale -ma non solo- della scuola Caffaro di Certosa. Nel 2012, lo slancio vero e proprio con i corsi tenuti dall’argentino Alejandro Natò: era stato pensato per un numero di 50 persone, ma sono state tante le richieste che ci siamo ritrovati in 70, pur escludendo alcuni. Lo stesso Natò in quell’occasione ci ha definiti una “piattaforma per la mediazione comunitaria” genovese. Sempre nel 2012, la collaborazione con Palazzo Ducale, paradossalmente per “uscire dal palazzo” e ragionare di nuovo sui quartieri: abbiamo coinvolto Sampierdarena, San Bernardo, Certosa e Piazzale Adriatico e organizzato workshop partecipativi. Alla fine, abbiamo ragionato insieme sulle problematica del rapporto con le istituzioni, trasversali ai diversi quartieri. Un bel bilancio, siamo soddisfatti».
E il futuro cosa riserva?
«In futuro, speriamo di continuare a agire sul territorio: da questa collaborazione con Palazzo Ducale è nata l’idea di organizzare a Genova il X Congresso Internazionale di Mediazione Comunitaria. Sarebbe la prima volta che si svolge in Europa, e Genova sarebbe precursore assoluto. A marzo presenteremo il progetto a Roma, all’Ambasciata messicana, quindi è ancora prematuro parlarne. Ma non è l’unico progetto: vogliamo proseguire nel settore sanitario, di cui ci occupiamo dal 2007: di recente abbiamo dato vita a una collaborazione con i medici dell’Ospedale Galliera, che svolgono presidio sanitario sulle nostre unità di strada per il sostegno ai senzatetto. Tutto volontariato: da quando abbiamo intrapreso questo cammino di mediazione, avremmo speso in tutto non più di 30 mila euro. La cosa interessante è che noi abbiamo guardato all’America Latina cercando di adattare il loro modello alla nostra cultura, e adesso sono loro che guardano noi e si interessano degli esiti che ha raggiunto il nostro percorso. Genova sta diventando un punto di riferimento per questo tipo di approccio e si attendono sviluppi interessanti».
Elettra Antognetti