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I numeri e le tendenze dell'accoglienza nella nostra città: le strutture, i meccanismi, le tempistiche e l'impotenza delle istituzioni. Aumentano gli arrivi, ma diminuiscono le presenze: Italia sempre più paese di transito
La Liguria ospita 4.400 immigrati, poco meno dei 4.500 previsti dalle quote di distribuzione nazionale. La metà di loro si trova a Genova. La situazione di quest’estate sembrava incontrollabile, con le strutture sovraffollate e un numero di arrivi giornalieri pari, ad agosto, a 70/80 persone. Ancora adesso, nonostante la bella stagione sia terminata, il numero degli arrivi non scende. Al capoluogo ligure è stato chiesto un grande sforzo per accogliere un alto numero di richiedenti asilo. Era Superba ha cercato di “unire i puntini” per capire come funziona il sistema dell’accoglienza nel suo complesso e se è preparato a ricevere un così grande numero di persone.
I richiedenti asilo, ossia gli stranieri che vogliono chiedere la protezione internazionale, ricevono accoglienza fino a che le apposite commissioni territoriali stabiliscono se sono idonei a ottenere lo status di rifugiati, o meno. Solo a Genova, ci sono più di 1.000 posti di accoglienza negli Sprar e, se si considera tutta la Liguria, il numero sale a 3.000, come riportato dal sito web del Comune di Genova; in Italia, in totale, ce ne sono 90.000.
Gli arrivi avvengono nella maggioranza dei casi via mare, nel Sud Italia. La prima accoglienza prevede l’identificazione e la registrazione, oltre a uno screening sanitario: la durata di questa procedura è di 60 giorni. Il sistema di seconda accoglienza, invece, prevede lo smistamento attraverso lo SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) oppure nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) di tutta la penisola. A questi centri viene destinato chi fa domanda di asilo e di permesso di soggiorno per richiesta di asilo. I centri di accoglienza offrono diversi servizi tra cui l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, l’iscrizione all’anagrafe e la possibilità di seguire corsi di italiano per stranieri.
A Genova ci sono un centro governativo di smistamento adulti, con 84 posti, e uno per minori, con 50 posti. A questi, si aggiungono 1.038 posti nei CAS, che occupano 20 centri e 60 case. Se si considera tutta l’area metropolitana, i numeri crescono ancora: sono 231 i posti nei 40 centri dello SPRAR, più 234 posti nei CAS, divisi in 5 centri e 15 case. I fondi per mantenere queste strutture arrivano dal ministero dell’Interno: per ogni straniero accolto, vengono stanziati 40 euro al giorno. La percentuale più alta di questa cifra, il 42%, pari a 16,20 euro, va a coprire le spese del personale. Il 32%, ossia, 12,80 euro, viene spesa per il vitto, per la scolarizzazione e per la sanità, mentre il 20% (che equivale a 7,80 euro) copre le spese di manutenzione e di pulizia delle strutture. Infine, 3,20 euro al giorno (il rimanente 6%) occupa una voce del bilancio che considera le spese di integrazione, che comprendono la tutela legale e psicologica. Ogni immigrato riceve poi un pocket money di 2,50 euro al giorno.
Inoltre, la persona in accoglienza ha la possibilità di occupare il proprio tempo con il volontariato, oppure seguendo corsi di formazione professionale o stage, o ancora ricevendo una borsa di lavoro. Dopo 60 giorni dalla domanda di asilo, può trovare un lavoro e ricevere un regolare stipendio.
Non tutti i Comuni accettano di ricevere i migranti. Di conseguenza le realtà più accoglienti come Genova spesso devono farsi carico di un peso eccessivo. Ma la colpa non è da attribuire alla cattiva gestione dell’emergenza parte della prefettura. «La prefettura ha provato a ovviare al problema indicendo un bando, l’8 novembre, destinato esclusivamente ai Comuni che non hanno ancora strutture di accoglienza», ci spiega la consigliera metropolitana delegata all’emergenza migranti, Cristina Lodi. «Si tenta di incentivare il passaggio dai CAS agli SPRAR, ma i Comuni poveri sono già in difficoltà per i loro motivi, non si può attribuire loro alcuna colpa». La consigliera ci spiega anche che nell’entroterra ci sono più Comuni disponibili a fornire locali per gli SPRAR, mentre la zona del Tigullio è più restia, dal momento che ha altre attività economiche, prevalentemente turistiche, che garantiscono delle entrate. «L’accoglienza segue un po’ il mercato – afferma Lodi – anche se non è giusto che alcuni Comuni non accolgano immigrati, il prefetto non può fare nulla di più di un bando come l’ultimo…».
Lo stesso discorso vale per l’accoglienza nei confronti dei minori, che dovrebbero essere destinati a strutture apposite. «Per i minori si stanno cercando nuovi posti, ma non è facile. Innanzitutto si è deciso di non mandarli nei comuni metropolitani, dove sarebbero più isolati. C’era l’idea di una struttura in via Caffaro, a Genova, ma è saltata. Nuovamente la responsabilità non è del prefetto, ma della mancanza di strutture adeguate».
Anche Milena Zappon, direttrice del centro di accoglienza della Comunità di San Benedetto al Porto, ci conferma che la situazione dei minori è piuttosto difficile. «Innanzitutto, non è facile capire la loro età reale. Molti ne dichiarano una falsa: recentemente ho avuto a che fare con un ragazzo che diceva di essere nato nel 1997, ma che chiaramente era più giovane». Secondo quanto ci raccontano altri due operatori con cui abbiamo parlato, i minori spesso vengono accolti nei CAS perché nei centri appositi, gli AB, non ci sono più posti. Pratica, comunque, consentita dalla legge.
Tanto Zappon e gli altri operatori intervistati, quanto Cristina Lodi sono concordi nell’affermare che il problema del sovraffollamento nei centri di accoglienza può essere risolto solo da un cambiamento dell’atteggiamento dell’Europa. «L’arrivo di un così grande numero di stranieri – dice la consigliera comunale e metropolitana del Pd – non è più un’emergenza, ma un dato di fatto. Devono cambiare le politiche internazionali, altrimenti la situazione rimarrà questa e l’accoglienza, in Italia, continuerà a non poter soddisfare le necessità reali».
Il numero delle persone che arrivano in Italia da Paesi stranieri aumenta, eppure il numero degli immigrati diminuisce. Potrebbe sembrare un ossimoro eppure è la mera verità. Il fenomeno è determinato dall’aumento dell’acquisizione della cittadinanza italiana che si manifesta anche in Liguria. Nella nostra regione, gli stranieri quest’anno sono 136.216, mentre nel 2015 la cifra era di 138.697. Un calo circa di 2.400 unità dovuto in parte al rientro verso i paesi di origine, ma anche perché molti hanno ottenuto la cittadinanza italiana.
I numeri parlano da sé: è in atto un fenomeno di stabilizzazione. Una tendenza testimoniata anche dal dossier statistico “Immigrazione 2016” realizzato da IDOS, con la cooperativa Com Nuovi Tempi, la rivista Confronti, in collaborazione con l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) del dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri.
Per quanto riguarda la dinamica migratoria in uscita, invece, la congiuntura economica negativa appare la causa principale degli spostamenti all’estero. La migrazione di ritorno è un processo complesso, su cui intervengono diversi fattori. La perdita del lavoro è condizionata dalla situazione economica del paese d’immigrazione, ma la possibilità di tornare a casa dipende anche dalle opportunità che il Paese può offrire alla persona che un tempo è emigrata.
In percentuale, la componente straniera rappresenta l’8,7% dell’intera popolazione ligure, un numero che non ha subìto una sostanziale variazione rispetto all’anno passato. In termini assoluti, la provincia di Genova resta la residenza scelta dalla maggioranza degli stranieri, circa il 52% del totale con 70.752 registrazioni in anagrafe. Come già nello scorso anno, l’Albania, l’Ecuador, la Romania e il Marocco restano, in ordine decrescente, le collettività più numerose, con valori assoluti attorno alle 20.000 unità per le prime tre e alle 13.000 per l’ultima. Seguono a distanza l’Ucraina, la Cina e il Perù, tutte nell’ordine delle 4.000 unità, la Repubblica Domenicana circa 3.800, il Bangladesh circa 2.800 e la Tunisia circa 2.600.
Secondo quanto sostenuto da Cristina Lodi, l’aumento degli stranieri che ottengono la cittadinanza è attribuibile soprattutto all’acquisizione di quest’ultima da parte degli extracomunitari di seconda o terza generazione. Mentre la diminuzione del numero degli immigrati che rimangono in Italia è causata principalmente dal fatto che «molti stranieri se ne vanno dopo il rifiuto della Commissione a concedere lo status di profugo o, al massimo, rimangono in Italia clandestinamente».
Ilaria Bucca
Elisabetta Cantalini