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Il numero di visitatori è basso (fanalino di coda fra i musei civici), eppure il museo custodisce cimeli di grande valore storico fra cui il manoscritto originale dell'Inno di Mameli. I problemi sono gli stessi di buona parte dei musei cittadini, in primis la mancanza di fondi per la promozione
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei Musei di Genova. Siamo partiti dalla GAM di Nervi, poi è stata la volta del Castello d’Albertis, infine – con la pubblicazione dei dati relativi all’andamento dei musei civici nel 2013 – siamo stati in grado di fare una panoramica generale. La scorsa settimana, per celebrare le Giornate Mazziniane, abbiamo fatto visita con la diretta di #EraOnTheRoad al Museo del Risorgimento, fanalino di coda tra i musei civici per quanto riguarda le visite nel 2013, con 6629 visitatori, in calo dello 0,03% rispetto al 2012. Abbiamo parlato con la Dott.ssa Raffaella Ponte, direttrice, e la Dott.ssa Bertuzzi, responsabile dell’attività didattica e, durante l’intervista, ci siamo fatti accompagnare fra i tesori del museo.
Il Museo è distribuito su più piani e si snoda tra varie stanze di dimensioni piuttosto contenute, ciascuna con un “tema” diverso: si possono vedere documenti e contributi legati a periodi storici diversi o a particolari eventi che hanno fatto la storia del Risorgimento italiano, partendo dalla metà del ‘700 fino alla Grande Guerra.
Iniziamo proprio con l’ultima sala in ordine cronologico, quella legata alla prima guerra mondiale: qui un’orazione autografa di D’Annunzio, foto, ritratti e materiale donato al Museo da privati. La dott.ssa Ponte racconta di voler estendere il percorso oltre il Risorgimento e aprirlo alla storia più recente: un modo per attirare più visitatori e interessare fasce diverse di pubblico. L’allargamento e l’apertura delle sale avverrà entro l’estate 2014: «Potrebbe diventare il Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea, perché no!», commenta la direttrice.
Il percorso vero e proprio inizia con una sala multimediale, in cui è possibile fare una panoramica delle cose che si andranno a visitare nelle altre stanze. Si tratta di un’installazione nuova, voluta nel 2005 dall’allora direttore Leo Morabito, che in quell’anno aveva avviato un’opera di ristrutturazione e modernizzazione estesa, per celebrare il novantesimo compleanno dalla prima fondazione del Museo, datata 1915. Oltre a questa nuova installazione, da poco è stato introdotto anche un sistema di illuminazione intelligente, che consente il risparmio energetico.
Si parte dal 1746 e da Napoleone; si prosegue in ordine cronologico con i giacobini e i balilla, fino all’Inno d’Italia (nel museo è presente la prima copia originale, redatta dallo stesso Mameli), alle “camicie rosse”, i carabinieri, cioè le milizie private garibaldine. Dal 1975 è stata aperta al pubblico anche la sala natale di Giuseppe Mazzini, quella in cui sono nati lui e i suoi fratelli prima che la famiglia decidesse di trasferirsi da questa casa a quella di Castelletto, in cui Giuseppe vivrà a lungo.
Per finire, una piccola sala per esposizioni temporanee, che ora ospita “Il Risorgimento in Musica nelle collezioni dell’Istituto mazziniano” con le opere di Verdi, Leoncavallo, ecc., e poi ancora una sala didattica con dipinti restaurati nel 2011, grazie ai fondi devoluti in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità ‘Italia. Ci rivela la direttrice: «Qui non ci sono spazi grandi e non riusciamo ad organizzare mostre temporanee articolate, ma possiamo allestire piccoli percorsi a tema: ad esempio, per il 2015 è previsto un percorso dedicato al cibo, in collaborazione con Expò 2015».
La struttura comprende, oltre al Museo vero e proprio, anche una biblioteca e un archivio. In particolare, per quanto riguarda la biblioteca, è in corso il trasferimento nella nuova di Via del Seminario, vicino alla Biblioteca Berio e nella stessa sede della Biblioteca dell’Attore. La consultazione, ci dice la direttrice, è di solito richiesta da addetti ai lavori e specialisti, come studiosi e dottorandi. Ad oggi il trasferimento è completato, ma la biblioteca è chiusa e per consultare i volumi serve un’apertura straordinaria, su appuntamento.
Per quanto riguarda la tipologia di visitatori, le nostre accompagnatrici ci raccontano che qui vengono perlopiù scolaresche, gruppi o anche singoli turisti e visitatori, sia italiani (e genovesi) che stranieri. La didattica è l’attività che predomina all’interno del Museo, ma anche i turisti raggiungono il museo seguendo le guide turistiche, anche se per i stranieri – in maggioranza – ad oggi mancano ancora le traduzioni in inglese. Da poco, su consiglio di un turista russo, è stato tradotto in inglese un pdf che racconta la storia del tricolore.
E se gli stranieri si appassionano ai cimeli della nostra storia, i genovesi avventori sono più rari. La lamentela più ricorrente dei concittadini sembrerebbe essere quella legata alla posizione, definita dai più “scomoda” anche se a due passi da Strada Nuova e dal polo universitario di Via Balbi, «molti non trovano il Museo», ci dicono. Certo, la segnaletica lascia a desiderare: andrebbe potenziata a partire da Caricamento, San Lorenzo e De Ferrari, per aiutare gli autoctoni e richiamare ancora più turisti, un problema comune alla maggioranza delle strutture museali cittadine, problema che ad oggi rimane irrisolto.
«Noi non possiamo accollarci anche questa spesa e siamo riusciti solo a far mettere un totem fuori dalla porta, su Via Lomellini, ma non è abbastanza. Per ovviare alla mancanza di promozione cerchiamo di fare rete con gli altri musei, sia civici che statali, e collaboriamo molto con la Fondazione Cultura di Palazzo Ducale: ora in corso proprio lì la mostra “Fascismo, ultimo atto”, con alcune delle nostre opere. Nel 2011, invece, eravamo presenti con alcune sculture all’interno della vetrina allestita sempre al Ducale: questo ci ha dato visibilità e ha fatto arrivare molti visitatori in più, ma non possiamo ripetere questa esperienza perché è a rotazione e ogni anno la vetrina promuove un museo diverso».
Come sottolineato in apertura, i visitatori nel 2013 sono stati pochi: 6629 persone (in calo rispetto al 2012) in un anno corrispondono a una media di circa 30-31 persone al giorno, contando che il museo è aperto 4 giorni a settimana (è chiuso giovedì, domenica e lunedì, e su 4 giorni di apertura solo 2 volte è aperto anche al pomeriggio). «Il calo è dovuto al fatto che ci sono stati tagli al personale che hanno costretto a ridurre l’orario di apertura da 49 ore settimanali alle attuali 27 (nel periodo invernale, mentre in estate scendono a 21, n.d.r.). Se si analizzano questi dati, si vede come in fondo la flessione possa essere considerata un incremento, perché dimezzando le ore non sono dimezzati gli ingressi, anzi sono scesi solo di pochissimo. Se avessimo dunque mantenuto lo stesso orario nel 2013 saremmo cresciuti: i dati che si leggono sono solo una riga all’interno di una tabella, che però non si può interpretare senza fornire un adeguato contesto. Si rischierebbe di semplificare troppo».
Certamente, ma i visitatori rimangono pochi. Il dato preoccupa anche perché l’introito complessivo derivante dalla biglietteria nel 2013 supererebbe di poco i 25mila euro (considerando le tariffe ridotte), troppo pochi per sopravvivere e per coprire costi di installazioni e mostre, senza contare le spese di energia e luce. Un costo per l’amministrazione civica, che deve provvedere a coprire quel che il museo da solo non riesce a fare. Insomma, una situazione non facile: certo, il museo deve rimanere aperto, ma per evitare che gravi sulle casse di Tursi sarebbe bene mettere in atto strategie di rilancio.
Dopo i risultati non esaltanti del 2013, per il 2014 ci aspettiamo dunque progetti per il rilancio. E infatti le idee non mancano né per i prossimi anni, né nell’immediato. Scopriamo che il Museo è molto vivo e la gestione attuale consente di portare qui dentro molti eventi, mostre interessanti, personalità di spicco del panorama culturale, tutto rigorosamente a costo zero, visto che – come ci si sente ripetere sempre più spesso da qualche anno a questa parte – “non c’è budget”.
Il 2014 inizia con la Grande Guerra: entro l’estate si vuole riuscire ad ampliare il percorso cronologico e farlo arrivare fino all’epoca più recente, aprendo nuove sale e potenziando quelle esistenti con ulteriore materiale documentario riscoperto negli archivi comunali e donazioni di privati. Per il 2015, come si diceva, ci saranno eventi legati all’Expò e si confida nella collaborazione con Milano e gli altri musei di Genova.
In questi giorni le celebrazioni delle “Giornate Mazziniane” e i festeggiamenti per l’ottantesimo anno dalla fondazione dell’Istituto mazziniano (datato 1934 e poi inglobato nel Museo). Inoltre, ogni mese in programma uno/due eventi culturali, mostre (al momento, oltre a quella al Ducale, anche “Camicie rosse nella Grande Guerra”, conclusa da poco), tavole rotonde, concerti (oggi 17 marzo quello del maestro Scanu in occasione della Festa Nazionale della Bandiera), laboratori in collaborazione con MiBac e Soprintendenza regionale. Non mancano le presentazioni di libri (due solo ad aprile, uno su Mazzini e l’Europa, l’altro sulla prima tesi di laurea di Sandro Pertini).
E non bisogna dimenticare che tutto ciò è a costo zero: sia per i partecipanti, che per i conferenzieri e ospiti, che decidono di aderire a titolo di amicizia e senza chiedere un rimborso. Questo perché al momento le condizioni sono così difficili che non c’è la possibilità di organizzare eventi a pagamento ma tutto è lasciato all’abilità dei gestori di intessere relazioni con istituzione e personaggio della cultura. Difficile, senza il supporto dell’amministrazione centrale.
Inoltre, questa mancanza di fondi si ripercuote non solo sugli eventi ma anche sulla gestione generale del museo, che necessita di spese per la ristrutturazione e la manutenzione sia dell’edificio che delle opere che contiene. Ci racconta la dott.ssa Ponte: «Negli scorsi anni abbiamo cercato di partecipare a bandi nazionali ed europei per finanziare i nostri progetti di restyling e miglioramento. Fino al 2010-2011 era più facile e siamo riuscite a fare tante cose: dalla digitalizzazione del patrimonio archivistico mazziniano, alle traduzioni del materiale in inglese con un bando regionale, al recupero di alcuni dipinti. Adesso i bandi scarseggiano: per il 2014 abbiamo vinto i finanziamenti per la conservazione del materiale documentario della Prima Guerra Mondiale. Ci affidiamo anche a stage in collaborazione con l’Università, collaboriamo con la Sovrintendenza per i Beni Archivistici e, ad esempio per la catalogazione del materiale della Grande Guerra, collaboreremo con giovani laureati. È una situazione difficile in generale, i tagli ai fondi e al personale ci costringono a una razionalizzazione estrema: per partecipare ai bandi dobbiamo articolare progetti già strutturati e indicare in ogni dettaglio come saranno impiegati i fondi perché non sono consentiti sprechi. Inoltre per me è difficile amministrare il Museo perché mi occupo anche dell’archivio e della biblioteca, quindi le energie e l’attenzione si dividono tra diversi soggetti: per questo diventa oggi sempre più importante essere aiutati da una squadra capace e riuscire a fare rete. Le difficoltà sono le stesse per tutti, meglio unire le forze».
Elettra Antognetti