Il professor Defez (Cnr Napoli) annuncia: «La quasi totalità dei prodotti tra gli scaffali dei supermercati deriva da animali nutriti con mangimi ogm». Neppure il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano o il prosciutto di Parma San Daniele sono esenti. Ma fanno davvero male?
L’argomento è di quelli che fa discutere da una vita: ogm sì, ogm no. O meglio, veleno o risorsa? Sul tema non c’è mai stata molta chiarezza soprattutto se ci si chiede che cosa realmente arrivi sulle nostre tavole. Conosciamo il processo che porta dal seme al piatto, abbastanza da poter dare un giudizio? Forse non molto dato che neppure la filiera di produzione del Parmigiano Reggiano, del Grana Padano o del prosciutto di Parma, del San Daniele sarebbero esenti da “contatti” con sostanze geneticamente modificate, come i mangimi degli animi da cui sono prodotti.
E’ su questo che si è provato a fare chiarezza nella sede genovese della Camera di commercio. E quello che è emerso dalle diverse opinioni è qualcosa che forse non immaginiamo neppure, e su diversi fronti, a partire da quello economico.
«Ogni anno sborsiamo circa 800 milioni di per importare mais – spiega Roberto Defez, direttore del laboratorio Biotecnologie microbiche del Cnr di Napoli – questo perché l’Italia non ha scelto di migliorare le proprie piante. Nel 2004 eravamo autosufficienti, poi le piante sono diventate di così scarsa qualità che abbiamo dovuto iniziare a importare. Tutto perché abbiamo scelto di non puntare sull’innovazione». Non si sa quanto del mais importato sia geneticamente modificato, ma nel mondo almeno un terzo di quello prodotto ha questa caratteristica. «Finisce tutto insieme – prosegue Defez – e basta lo 0,9% nel mangime perché il prodotto sia etichettato come geneticamente modificato e sicuramente almeno l’1% lo raggiungiamo».
Il discorso per quanto riguarda la soia non è molto diverso. Alcuni numeri: l’Europa produce circa il 5% della soia che consuma, ne importa il 95% e di questa percentuale l’85% è geneticamente modificata. Significa che per 365 giorni all’anno l’Italia consuma ben 10 tonnellate di soia ogm.
Se sommiamo la spesa per importare soia e mais, nel 2015 sono usciti dalle tasche degli italiani circa 2,7 miliardi di euro: ovvero, solamente per questi due prodotti “bruciamo” tutto il guadagno delle esportazioni di Dop e Igp. E, finita questa partita, bisogna ancora importare metà del grano, metà delle carni, pomodori, olio e così via. Facile capire che così i conti vanno decisamente in rosso.
«Ognuno può bruciare i propri soldi come meglio crede – continua Defez – ma sarebbe il caso di informare i cittadini che se avessimo coltivato lo stesso numero di ettari di mais dell’anno scorso con mais che rende di più, che non ha bisogno di insetticidi e più sicuro per la salute umana, non ci sarebbe tutta questa tensione, ma si tornerebbe a una banale questione economica».
Tra gli scaffali dei supermercati la quasi totalità dei prodotti deriva da animali nutriti con mangimi ogm, a meno che non ci sia un’etichetta che indichi il contrario, e neppure i prodotti Dop e Igp sono esenti. Nella “lista dei cattivi” anche il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano o il prosciutto di Parma e il San Daniele.
C’è chi pensa che gli ogm possano essere una speranza per sconfiggere la fame nel mondo, ma il fronte del “no” ribatte che l’argomentazione è decisamente debole. Di certo, non può bastare la genetica a risollevare la povertà. Intanto, non ci sono riforme agrarie. E poi, la gente non ha accesso al mercato, non ha soldi e deve comprare il cibo se non ha terra per coltivarlo. Chi introduce gli ogm non li regala, questo è sicuro: alla fine si tratta di merci e nulla più. Le terre fertili sono negate alle popolazioni perché occupate dalle multinazionali o affittate dai loro governi. Oltre a tutto questo, c’è una confusione normativa che non fornisce messaggi trasparenti. L’ultimo atto è andato in scena lo scorso 3 febbraio, quando il Parlamento europeo ha approvato un documento che chiede alla Commissione Ue di non autorizzare l’immissione in commercio di alimenti e mangimi contenenti tre nuovi tipi di soia geneticamente modificata. Insomma, il dibattito è aperto più che mai, tra scienziati, nutrizionisti e agricoltori. In mezzo a tutti questi fuochi però ci sono i consumatori, che meriterebbero di sapere che cosa portano a tavola tutti i giorni.
Michela Serra