Dalle contraddizioni del federalismo fiscale alle incoerenze del Piano Casa del governo Renzi che aveva la pretesa di dare una risposta complessiva al tema dell’abitare e alle sue problematiche più evidenti. La propaganda ha parlato di rinnovata attenzione politica sul tema casa, ma la realtà è ben diversa...
La copertina dell’ultimo numero del bimestrale cartaceo di Era Superba è dedicata a una delle più grandi piaghe del nostro vivere nel terzo millennio: l’emergenza abitativa. Attraverso una lunga inchiesta abbiamo cercato di analizzare i dati della realtà genovese, smascherando alcuni falsi miti e pubblicando i numeri più o meno ufficiali che siamo riusciti a scovare (l’inchiesta sarà presto disponibile anche online su queste pagine in versione ridotta). Un’operazione per nulla semplice data la mancanza di un coordinamento unitario sulle politiche abitative e la discrepanza dei dati comunicati, da un lato, dall’assessorato alle politiche socio sanitarie del Comune di Genova e, dall’altro, da Arte, l’ente partecipato dalla Regione che ha il compito di gestire in tutta la Liguria gli appartamenti destinati all’edilizia residenziale pubblica. Sono quasi 4000 solo a Genova le famiglie in difficoltà in lista per un alloggio Erp (edilizia residenziale pubblica) e il patrimonio edilizio attualmente a disposizione degli enti non è neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la richiesta.
Ma la situazione genovese, comune a tante altre realtà italiane e non solo, è figlia di una grande latitanza, quello dello Stato italiano che sulle politiche della casa sembra aver perso il bandolo della matassa ormai da parecchio tempo.
Già a partire dagli ultimi governi di centro sinistra prima del secondo ciclo berlusconiano (2008-2013), le risorse dedicate all’edilizia residenziale pubblica sono state sostanzialmente azzerate così come il sostegno economico all’affitto per le categorie più deboli. Parallelamente, abbiamo assistito a una progressiva alienazione di grandi patrimoni immobiliari pubblici non occupati che, con il giusto apporto di risorse, si sarebbero potuti destinare almeno in parte all’edilizia residenziale pubblica e, invece, sono stati sacrificati sull’altare del mercato immobiliare. Un processo che ancora oggi non viene meno, pur con nobili camuffamenti come quello del federalismo fiscale, di cui spesso abbiamo avuto modo di parlare da queste pagine. «Il tanto osannato federalismo fiscale – sostiene Bruno Pastorino, ex assessore alle Politiche della Casa nella precedente giunta Vincenzi e delegato Anci Liguria in questo settore – decantato come strumento utile per gli enti locali al fine di gestire direttamente risorse immobiliari abbandonate dallo Stato, nasce in realtà per ridurre l’indebitamento statale e degli enti locali». Il governo – è la tesi di Pastorino – si dimentica della sua funzione sociale non pensando che i cespiti liberati dalle funzioni originarie possano essere riconvertiti a funzioni abitative per le fasce più deboli ma preferendo guardare, ancora una volta, alle più classiche speculazioni immobiliari.
«Nella stessa legge – prosegue il nostro interlocutore – si invitano gli enti locali ad alienare gli immobili demaniali di cui sono entrati in possesso, in modo da abbattere il debito pubblico locale e statale: una quota dei proventi della vendita, infatti, viene per legge recepita da un fondo nazionale creato ad hoc, mentre i Comuni sono vincolati a utilizzare un’altra percentuale per l’abbattimento del debito». Solo gli enti virtuosi possono sfruttare a proprio piacimento i ricavi. «Ma è evidente che gli enti virtuosi non hanno problemi di indebitamento. Così facendo, si favoriscono speculazioni immobiliari private, principalmente di natura ricettivo-alberghiera, e destinate esclusivamente alle solite élite economiche. In sostanza, viene chiesto alle istituzioni locali di trasformarsi in mediatori immobiliari: così la politica italiana è completamente allineata ai desiderati della trojka che consistono, in questo caso, nella privatizzazione dei beni pubblici».
Quello che è passato come una ripresa dell’attenzione politica verso la questione dell’abitare, in realtà è un crogiuolo di contraddizioni, segnato soprattutto da un forte riguardo nei confronti dei costruttori e delle grandi proprietà immobiliari agevolate anche dall’abbassamento degli oneri fiscali
Ma il federalismo fiscale non è certo l’unica contraddizione del sistema. Dopo un assoluto disinteresse verso le politiche della casa fino al 2013, il Piano Casa dell’ex ministro Lupi mostrava la pretesa di dare una risposta complessiva al tema dell’abitare e alle sue problematiche più evidenti. In realtà, come ci spiega ancora Pastorino, altro non si tratta che dell’ennesimo condensato di incoerenze normative: «Al netto dell’odioso articolo 5 che impedisce l’allacciamento delle utenze agli occupanti abusivi, abbiamo da un lato un provvedimento che promette lo stanziamento di risorse per recuperare il patrimonio ERP attualmente non assegnato perché necessitante di manutenzione – si stima che a livello nazionale siano circa 600 mila gli alloggi in questa condizione, a fronte di 1 milioni di domande di accesso ad alloggi ERP inevase – bilanciato, dall’altro lato, dal suggerimento di un piano straordinario di vendita del patrimonio abitativo pubblico interferendo con decisioni proprie di Regioni e Comuni». C’è di più. «Se è vero che vengono rifinanziati i sostegni agli affitti per le fasce più emarginate di popolazione – prosegue l’ex assessore – è altrettanto vero che i circa 50 milioni di euro messi a disposizione rappresentano una quota a dir poco esigua, a fronte di un fabbisogno censito che è 5 volte superiore. Ancora: viene previsto un fondo destinato alla morosità involontaria (quella causata dall’improvvisa mancanza della fonte di reddito principale, come la perdite di lavoro, la separazione o la morte di un coniuge, NdR) con uno stanziamento sufficiente a poche migliaia di nuclei familiari mentre oggi sono oltre 1 milione le famiglie sottoposte a procedure di sfratto. Insomma, definire queste manovre insufficienti è persino un eufemismo».
La situazione sembrerebbe già sufficientemente ambigua così ma, come da tradizione per le cosiddette leggi omnibus, anche nella nuova normativa nazionale sulle politiche per la casa bisogna fare molta attenzione alle “pieghe”. Secondo il nostro Virgilio d’occasione, infatti, vi sarebbero alcuni provvedimenti che invece di rivolgersi all’edilizia residenziale pubblica, allargherebbero il campo dei finanziamenti statali all’edilizia sociale, quella cioè di iniziativa privata e quindi meno segnata dall’obbligatorietà di canoni di affitto sostenibili e naturalmente indirizzata a logiche di mercato più tradizionali che prediligono la vendita. «In precedenza – spiega Bruno Pastorino – la normativa prevedeva la firma di un accordo tra pubblico e privato per l’elargizione di contributi a fronte di un obbligo di locazione calmierata per 15 anni; adesso, il legislatore abbassa l’obbligo a 7 anni e introduce una sorta di ricompensa ai proprietari che si rendono disponibili per il riscatto futuro dell’appartamento da parte dei locatari».
Insomma, quello che è passato come una ripresa dell’attenzione politica verso la questione dell’abitare, in realtà è un crogiuolo di contraddizioni, segnato soprattutto da un forte riguardo nei confronti dei costruttori e delle grandi proprietà immobiliari agevolate anche dall’abbassamento degli oneri fiscali, spesso con risoluzioni dannose per le fasce più deboli e che avrebbero bisogno di maggiori tutele. «A questo proposito – prosegue l’ex assessore – non va dimenticata la decisione di sospendere il blocco degli sfratti assunta dal governo lo scorso 31 dicembre. Il blocco era disciplinato dalla legge 9/2007 e non riguardava tutti i nuclei familiari sottoposti a regime di procedura esecutiva per finita locazione ma proteggeva solo i nuclei in regola con il pagamento e con membri anziani, con handicap sopra il 66% o malati terminali, quindi solo una fascia particolarmente debole. La toppa del governo a seguito delle proteste dei movimenti della casa e dei sindacati dei coinquilini è stata quasi peggiore del buco perché concede una proroga al blocco di 4 mesi: una sorta di rapida cosmesi. Peraltro, per coprire le spese di questa proroga, si è deciso di utilizzare le quote del fondo di sostegno all’abitare previste originariamente all’accompagnamento all’affitto per le frange economicamente più deboli. Come spesso accade in questo Paese, si toglie agli ultimi per dare ai penultimi. Mi sento di dire che siamo di fronte a una vera e propria cattiveria sociale perché questi provvedimenti del governo rischiano di mandare sulla strada persone che dovrebbero essere assistite non solo e non tanto per la situazione economica ma soprattutto per le condizioni sanitarie in cui sono costrette a vivere».
Come detto, l’ambiguità del contesto nazionale si riflette nelle gestione locale delle politiche della casa, in particolar modo per quanto riguarda l’edilizia residenziale pubblica. La proprietà degli alloggi a Genova, come abbiamo avuto modo di approfondire nell’inchiesta sul numero #59 della nostra rivista, è abbastanza equamente suddivisa tra Comune e Arte mentre la cura, la manutenzione e soprattutto i criteri per l’assegnazione degli alloggi sono decisi interamente dalla partecipata della Regione. All’amministrazione comunale resta il compito di gestire le procedure di assegnazione e trovare i fondi per ristrutturare o implementare gli alloggi del proprio patrimonio.
Negli ultimi tempi il tema è stato più volte affrontato dalla Commissione Welfare del Consiglio comunale, sede nella quale l’assessore alle Politiche Socio Sanitarie, Emanuela Fracassi, nel tentativo di giungere a un nuovo regolamento per bandi di assegnazione degli alloggi pubblici dei prossimi anni, ha più volte mostrato segni di insofferenza nei confronti dell’attuale sistema e metodo di governo di Arte e Regione. Non ultimo, rispondendo a un’interrogazione del capogruppo Udc in Consiglio comunale, Alfonso Gioia, l’assessore ha aperto la porta a possibili sviluppi piuttosto clamorosi: «Dalle verifiche che ho fatto finora – ha detto Fracassi, rispondendo all’imbeccata del consigliere – non mi risulta che il Comune possa essere obbligato a dare a un altro ente la gestione del proprio patrimonio». Come a dire: stiamo cercando di studiare se possiamo riprenderci la gestione diretta delle case popolari appartenenti al nostro patrimonio, sull’esempio della strada virtuosa intrapresa dal Comune di Bologna.
La situazione è comunque delicata e meritevole di approfondimenti. Le funzioni di gestione delle case popolari sono state affidate alle Regioni con la legge n. 457/78. L’ultima norma emanata a riguardo dalla Regione Liguria è la legge n. 10/2004 al cui articolo 1 si individua come finalità la “razionalizzazione della gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica attraverso l’unificazione dello stesso in capo alle aziende regionali per l’edilizia, garantendo il contenimento dei costi”. Ma l’assessore Fracassi ha il dubbio che questa norma contrasti con altri principi sovraordinati che riguardino l’autonomia gestionale del Comune sul proprio patrimonio: «Fino agli anni ’90 – ricorda l’assessore – il nostro patrimonio era gestito direttamente da Tursi, poi la funzione è stata ceduta alla Regione perché non si avevano le risorse e le competenze interne adeguate. Ma i tempi erano diversi: il patrimonio immobiliare era più sano, vi erano finanziamenti dedicati e l’ente strumentale della Regione era più giovane. Oggi, gestire il patrimonio ERP è molto più complesso, necessita di una profonda conoscenza del territorio e di un’integrazione coerente con altre politiche socio-sanitarie. Per questo motivo, il Comune sta portando avanti un gruppo di lavoro con comitati di quartiere e sindacati degli inquilini per controllare la gestione di Arte, condividere con il territorio le priorità e cercare una maggiore collaborazione tra lo stesso e l’ente gestore». Certo, se si riuscisse a eliminare un passaggio, riportando in capo al Comune la gestione diretta, il dialogo con il territorio non potrebbe far altro che beneficiarne. Anche se, una futura doppia gestione potrebbe non aiutare nel tentativo di porre fine a un processo politico che sul tema ha mostrato di essere tanto inefficace quanto contradditorio.
Simone D’Ambrosio