Approvato nel dicembre 2009, il progetto per la ristrutturazione dello storico ponte non è stato ancora avviato. L'architetto Matteo Marino e il Civ di corso Sardegna si battono per l'avvio dei lavori
Il Ponte di Sant’Agata è originario dell’epoca romana e ricostruito poi in età medievale. Attraversato dall’Antica via Aurelia Romana, la sua funzione era di collegare Borgo degli Incrociati con la chiesa di Sant’Agata. Contava inizialmente 28 arcate da 10 metri ciascuna, con interposte 27 pile da 3 metri per uno sviluppo totale di 360 metri. Delle arcate originarie, dopo le alterne vicende che hanno interessato la Val Bisagno nel corso dei secoli, oggi ne sono rimaste soltanto tre. Questa progressiva riduzione è dovuta ai cambiamenti geologici e alla trasformazione urbanistica di Genova: nel tempo, la portata del corso del Bisagno è stata ridotta con l’inserimento di terrapieni, ed è aumentato lo spazio destinato al costruito, cementificando e riducendo così la lunghezza complessiva del fiume a 80 metri, dai 360 originari. Di conseguenza, anche parte del ponte è stata demolita: da 28 le arcate sono diventate 6, con solo 5 pile delle 27 iniziali. In tempi più recenti (e in particolare nel periodo compreso tra fine ‘800 e primi decenni del ‘900) quest’urbanizzazione sempre più massiccia, che ha costretto la portata del Bisagno in uno spazio sempre più angusto, ha provocato anche vari disastri idrogeologici. Proprio a causa di un’alluvione (quella tragica del 7 ottobre 1970), infatti, il ponte di Sant’Agata era stato quasi completamente distrutto, riducendo ulteriormente a un numero di 3 le 6 arcate superstiti. Resti dell’antica struttura sono reperibili oggi in concomitanza di via Canevari, piazza Manzoni e piazza Giusti, e di corso Sardegna, sotto il livello del manto stradale.
Nonostante il nulla osta dalla Soprintendenza dei Beni Architettonici, il progetto esecutivo per la riqualifica del ponte di Sant’Agata sul Bisagno, nel quartiere di San Fruttuoso, rimane bloccato. Tanto che, con il sostegno del C.I.V. di Corso Sardegna, sono state organizzate nel tempo varie iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica: la grande partecipazione e il successo delle raccolte di firme (più di mille solo in occasione dell’iniziativa “Mille firme per la Fontana e il Ponte di Sant’Agata”), dimostrano quanto sia forte l’interesse per il progetto. A distanza di più di tre anni dall’approvazione, facciamo il punto con l’architetto Matteo Marino, che ha seguito il progetto dalla sua nascita.
La proposta progettuale dell’architetto Marini prevede l’integrazione della parte già esistente dell’antichissimo ponte di Sant’Agata, ovvero il ripristino delle 3 arcate oggi mancanti (che rendono il ponte inagibile e costringono a ripiegare sul vicino ponte di Castelfidardo) e la realizzazione di una carreggiata ciclopedonale con l’impiego di due travate attaccate di 40 metri di luce (la lunghezza del tratto di ponte compreso tra due appoggi), senza sostegni intermedi. Il tutto sarà realizzato in legno lamellare, con copertura in acciaio.
Per l’installazione della passerella l’ammontare delle spese raggiunge i 70 mila euro, la realizzazione del progetto complessivo richiede un esborso di 100 mila euro; i 30 mila euro aggiuntivi servono a coprire i costi per le travi e i presidi strutturali, l’illuminazione e il superamento delle barriere architettoniche. Proprio per quanto riguarda quest’ultimo punto, è stata preventivata la realizzazione, oltre che di una scalinata, di un montascale, per l’accesso al ponte anche alle carrozzine.
Uno dei nodi da sciogliere riguarda la posizione della Soprintendenza ai Beni Archeologici, le cui richieste si trovano in disaccordo con quelle provenienti dai colleghi dei Beni Architettonici: mentre questi ultimi chiedono –accanto alla costruzione ex novo della parte attualmente mancante di ponte- il restauro delle tre arcate preesistenti, dai Beni Archeologici arriva lo stop a qualsiasi tipo di operazione di ristrutturazione, dal momento che gli interventi sul ponte –residuo di epoca medievale- sono soggetti a limitazioni.
Un altro progetto, redatto sempre da Marino, riguarda il recupero della fontana ottocentesca di piazza Manzoni, con l’obiettivo di riportare l’area alla sua antica conformazione: la fontana, centrale nella piazza, originariamente serviva come abbeveratoio ed era dotata di vasche sottostanti per il drenaggio dell’acqua. Il progetto prevede il recupero dell’antico lavatoio e vede l’installazione del quarto lobo della fontana -andato disperso- in massello di marmo bianco, e di un sistema per il passaggio dell’acqua, in modo da rendere funzionale il monumento ed evitare depositi di sporcizia. La realizzazione di questo secondo progetto prevede costi più modesti rispetto a quello per la pedonalizzazione del ponte: la cifra complessiva si aggira attorno ai 10 mila euro. Tuttavia la ristrutturazione –per la sua prossimità al ponte medievale- gioca un ruolo chiave e la sua riqualifica rappresenterebbe il primo passo verso un concreto recupero dell’area. Oggi il progetto –anch’esso già esecutivo- si trova in uno stadio più avanzato rispetto a quello del ponte, grazie alla minor portata degli interventi previsti: la fontana è stata restaurata, ma non è ancora stata resa operativa.
«Contiamo di iniziare i lavori entro le prossime settimane – affermava ufficialmente Matteo Marino nel 2009– salvo intoppi dell’ultimo minuto. Noi, comunque, siamo pronti». Oggi, invece, tutto è ancora bloccato, nonostante il progetto abbia avuto l’ok anche da Comune e Provincia, e sia stato giudicato compatibile con il piano di bacino. A bloccare l’operato, la mancanza di fondi. Ci racconta Marino: «Servono 100 mila euro per coprire i costi dell’intero progetto: una soluzione molto più economica rispetto a quella di rifare il ponte come era in antico, pur mantenendo un risultato estetico piacevole. La cifra non è un ostacolo insormontabile, ma finora l’amministrazione non si è mostrata disponibile a finanziare le proposte da noi avanzate. Tuttavia il progetto che sosteniamo è di grande importanza per il quartiere e entusiasma tutta la cittadinanza, che preme per la sua realizzazione. Per questo ci siamo mobilitati in questi anni e stiamo continuando a farlo: coinvolgendo 100 persone e facendole partecipare al progetto, sarebbero mille euro a testa; coinvolgendone 10 mila diventerebbero 10 euro! È un progetto sostenibile, una proposta realizzabile e altamente positiva per San Fruttuoso. Il degrado in questo quartiere nel corso degli anni si è espanso sempre di più, ma è bene fare attenzione a queste situazioni di disagio, per tentare pian piano di arginarle e restituire alla gente le condizioni di vita che meritano».
L’attività di Marino è quella di un cittadino che si mette in prima linea per il suo quartiere. Con il sostegno del C.I.V. e del presidente Umberto Solferino, Marino mette a disposizione di tutti la sua professionalità e le sue competenze, e da anni conduce battaglie in cui crede fermamente: «Lo faccio perché amo la mia città e perché penso che basterebbe così poco per migliorarla… Quello che servirebbe è una maggiore volontà e disposizione di tutti a partecipare in prima persona alla “cosa pubblica”. Da un lato, c’è ancora troppo disinteresse da parte di tanti, dall’altro, i riscontri che otteniamo nelle feste di piazza e nelle manifestazioni di quartiere che organizza il C.I.V. smentiscono queste affermazioni e ci fanno sperare in un futuro diverso per Genova».
Elettra Antognetti