Genova si conferma il primo scalo italiano come movimentazione complessiva delle merci, ma le carenze infrastrutturali all’interno delle aree portuali e la scarsa capacità di ricezione treni dei terminal, impediscono un adeguato sviluppo del trasporto su rotaia
La prima considerazione da fare è che un calo dei traffici non c’è stato e, pure in questo periodo di crisi, il porto di Genova ha tenuto botta, meglio di altri scali, soprattutto per la sua storica capacità di accogliere differenti tipologie merceologiche. Sui quasi 50 milioni di tonnellate movimentate nel 2012, infatti, 20 sono prodotti petroliferi e derivati; 20 merci movimentate con container; 10 comprendono traffici Ro-Ro, il tradizionale comparto ortofrutta e le rinfuse solide (settori entrambi in diminuzione).
La metodologia di trasporto privilegiata per l’uscita e l’entrata delle merci rimane sempre la gomma: l’85% contro il 15% rappresentato dai traffici su rotaia.
Dunque il porto genovese cresce e scava i fondali per prepararsi ad accogliere navi porta contenitori di dimensioni sempre maggiori (ormai nei cantieri se ne costruiscono sopra i 12 mila TEU, unità di misura del container che si basa sulla lunghezza minima del contenitore da 20 piedi) rincorrendo anch’esso il sogno del gigantismo navale (fenomeno analizzato dallo studioso Sergio Bologna che merita un approfondimento a parte) ma nel frattempo il trasporto su ferro continua progressivamente a ridursi.
In 10 anni a Genova – come in quasi tutti gli scali italiani – il servizio ferroviario si è dimezzato, passando dal 30% all’attuale 15%, una percentuale davvero minima considerando il contestuale aumento dei traffici.
Una perdita di competitività della ferrovia dovuta ad una serie di fattori. Ma non occorre guardare fuori dal porto per individuarli. In altre parole, non è un problema di insufficienza delle linee – premesso che l’Autorità Portuale ritiene necessaria la realizzazione del Terzo Valico – oggi ampiamente sottoutilizzate, bensì le criticità si riscontrano all’interno di aree portuali e terminal, a causa di carenze infrastrutturali e di una gestione dei servizi di movimentazione e trasporto ferroviario poco efficiente, in particolare negli ultimi anni dopo il sostanziale disimpegno di Ferrovie dello Stato.
«Nemmeno Genova riuscirà a smaltire il traffico se non riesce a potenziare i suoi servizi ferroviari – scrive Sergio Bologna (ha insegnato Storia del movimento operaio e della società industriale in diversi atenei in Italia e all’estero; fino al luglio 2012 ha fatto parte del Comitato scientifico per l’elaborazione delle linee guida del Piano nazionale della logistica presso il Ministero delle Infrastrutture; autore del libro “Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo-portuale”, edito da Egea Editore nel 2010) – Oggi dal VTE, il terminal di Voltri, più di 24 treni al giorno non possono entrare o uscire. I terminal, quelli buoni, di una certa capacità, sono una risorsa scarsa. Solo La Spezia e Trieste hanno aumentato sensibilmente la loro quota di traffico su rotaia, La Spezia supera il 24% e Trieste a fine 2012 avrà realizzato più di 3.900 treni di unità intermodali».
Eppure, se guardiamo al passato, il porto di Genova nel corso della sua lunga storia è sempre stato servito dal servizio ferroviario. «Negli anni ’60 tutte le linee portavano un servizio sottobordo, i vagoni arrivavano fin sotto le navi, questa era la tipologia di trasporto tradizionale – racconta chi nel porto ci ha lavorato per tanti anni – Con l’avvento della privatizzazione la struttura portuale è stata completamente demolita. E siamo passati dalla ferrovia alla gomma. Distruggendo le linee ferroviarie ed eliminando ogni tipo di logistica».
«Lo sviluppo su ferro è stato di fatto smantellato con la politica di privatizzazione strisciante delle banchine – conferma il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali – La colpa è imputabile alla mancanza di una regia pubblica che non si limitasse a fare il parcheggiatore dei terminalisti privati. Senza dimenticare la difesa degli interessi della lobby del trasporto su gomma».
LE INFRASTRUTTURE
Le carenze infrastrutturali sono un problema all’ordine del giorno ormai da molto tempo, come spiegano Enrico Ascheri ed Enrico Poggi della Filt-Cgil «Per come è strutturato il porto le difficoltà sono evidenti e numerose: troppe intersezioni, poche linee dirette, binari di lunghezza insufficiente all’interno dei singoli terminal. Sono delle criticità complesse da risolvere anche perché le banchine non hanno abbastanza spazio per consentire la composizione di treni con un numero adeguato di carri».
A ben vedere anche le attuali infrastrutture stradali presentano problemi rilevanti, vedi l’auspicata realizzazione del nodo di San Benigno. «Nonostante ciò, finora il trasporto su gomma resta quello più utilizzato – continuano i rappresentanti Filt-Cgil – L’obiettivo è rendere il trasporto su ferro appetibile dal punto di vista economico. Ad oggi è più conveniente il trasporto su camion. Questo impedisce al porto di crescere come invece potrebbe».
Il VTE movimenta quasi il 75% dei TEU complessivi (che nel 2012 hanno superato di poco quota 2 milioni) ed il trasporto su rotaia raggiunge punte del 18%. Tuttavia il terminal di Voltri «Ha le potenzialità per aumentare in maniera significativa il trasporto su ferro – sottolineano Ascheri e Poggi – è dotato di un ampio parco ferroviario, non sfruttato a pieno regime e di 8 binari interni. Fino a ieri i container viaggiavano verso gli interporti, ad esempio Rivalta Scrivia, esclusivamente con i camion, oggi, finalmente si cominciano ad utilizzare i treni».
Fondamentale, in questo senso, è il raddoppio della linea ferroviaria nel punto di accesso «Un intervento previsto da tempo, già approvato dall’Autorità Portuale ma non ancora portato a termine – continuano i rappresentanti Filt-Cgil – Il problema si genera anche all’esterno: quando i treni escono dal porto, infatti, convergono sulla medesima linea del traffico passeggeri, creando notevoli intoppi. RFI (società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. che gestisce la rete ferroviaria) ha deciso di raddoppiare la linea ma per l’attuazione ci vorranno almeno altri 2 o 3 anni».
Il porto “vecchio”, dove si movimentano diverse tipologie merceologiche (rinfuse solide, rinfuse liquide, ortofrutta, container ecc.), può contare sul parco ferroviario di San Benigno che RFI sta potenziando e sul parco esterno del Campasso. Ma gli spazi non sarebbero comunque sufficienti «Al porto servono parchi ferroviari per ricevere i treni – afferma l’armatore Ignazio Messina della società “Ignazio Messina & C. S.p.A.”, una delle compagnie armatoriali più antiche (Corriere mercantile, 20-02-2013 – Attualmente i terminalisti per fare più treni devono tenerli dentro i terminal e non caricarli e scaricarli velocemente per farli uscire dal porto, come sarebbe logico. Dal 2006 ad oggi abbiamo ridotto la quota di utilizzo della modalità ferroviaria per le merci dal 90% al 40%: da circa 4000 treni all’anno siamo scesi a 1200. Il problema è che manca una politica nazionale e non si investe nell’intermodalità».
Abbiamo provato a contattare l’Autorità Portuale per conoscere il punto di vista dell’ente che governa lo scalo genovese ma, purtroppo, non ha ritenuto opportuno risponderci. Quindi dobbiamo basarci sulle informazioni disponibili sul sito web dell’A.P. al capitolo infrastrutture, nel quale si legge «Per quanto concerne le opere ferroviarie occorre fare riferimento alla progressiva realizzazione degli interventi previsti nel Piano del Ferro ed in particolare all’ammodernamento ed al prolungamento del parco ferroviario “Rugna”, alla realizzazione della nuova dorsale ferroviaria nel bacino di Sampierdarena, ai nuovi fasci di binari sul Ronco-Canepa. Tali opere si devono accompagnare con quelle che RFI realizzerà a Voltri ed al Campasso nell’ambito del più articolato progetto del nodo ferroviario di Genova».
Ignazio Messina manifesta perplessità in merito «Si fanno piccoli interventi scollegati nel tempo e nelle modalità, invece, sarebbe necessario maggiore coordinamento tra Autorità Portuale e terminalisti».
«Nel 2013 l’A.P. ha stanziato zero euro per le infrastrutture ferroviarie – concludono Ascheri e Poggi – Gli interventi che si stanno eseguendo sono quelli già finanziati».
ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEI SERVIZI DI MANOVRA E TRASPORTO FERROVIARIO
Fino al 2009 la società che gestiva – per conto di Ferrovie dello Stato (azionista di maggioranza) – le manovre ferroviarie all’interno del porto di Genova era la Ferport. Quell’anno, però, l’amministratore delegato di FS, Mauro Moretti, dichiarò che «A fare l’attività di manovra nello scalo genovese non si guadagna», annunciando il disimpegno dell’azienda. Iniziò un calvario lungo mesi, Ferport finì in liquidazione e dalle sue ceneri nacque Fuorimuro (Rivalta Terminal Europa 30%; Gruppo Spinelli 15%; InRail 15%; Tenor 15%; Compagnia Pietro Chiesa 10% ) che rilevò mezzi ed oltre un centinaio di lavoratori.
L’obiettivo era trasformare una società che si occupava delle manovre ferroviarie – ovvero chi compone i treni all’interno dello scalo affinché le imprese ferroviarie possano prenderli e farli uscire dal porto – in un’impresa ferroviaria completa in grado di fornire anche il servizio di navettamento verso gli interporti oltre Appennino.
«Questo permette di abbassare costi e tempi rispetto ad avere due servizi gestiti da imprese diverse», sottolineano Enrico Ascheri ed Enrico Poggi, Filt-Cgil.
Nel gennaio 2011 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha rilasciato a Fuorimuro la licenza n°63 per l’espletamento di servizi merci via ferrovia. Nell’agosto 2012 la società ha ottenuto dall’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria il certificato di sicurezza (parte A e parte B) che prevede l’esercizio di impresa ferroviaria in un ambito territoriale compreso tra Ventimiglia, Piacenza, Bologna e Livorno. Nell’ottobre 2012 sono iniziate le prime attività operative di trasporto ferroviario e recentemente, all’inizio di aprile 2013, Fuorimuro ha avviato il servizio di navettamento nelle tratte Genova-Rivalta Scrivia (sostituendo Serfer, compagnia controllata da FS; e adesso una dozzina di macchinisti rischiano di perdere l’occupazione) e La Spezia-Rivalta Scrivia.
Oggi la forza lavoro di Fuorimuro è composta da 106 unità di cui 34 formate sulle professionalità ferroviarie (macchinisti 1° e 2° agente, verificatore formatore e accompagnatore treno) «Grazie ad un forte impegno del personale che ha usufruito di oltre 800 ore pro capite di formazione e 6 mesi di tirocinio pratico – spiega Ettore Torzetti della Fit-Cisl – Attività svolte a partire dal 2010, durante i mesi di cassa integrazione e tutt’ora in fase di completamento per l’ultimo corso macchinisti».
L’avvio di Fuorimuro, nel maggio 2010 «Ha consentito una netta ripresa dei traffici ferroviari che viene confermata anche per il primo trimestre 2013», sottolinea Torzetti. Nel 2010 sono stati movimentati complessivamente 102.236 carri (media carri/mese 8.519). Nel 2011 carri movimentati totali: 114.355 (media carri/mese 9.530); +11,8% rispetto al 2010. Nel 2012 carri movimentati totali: 130.604 (media carri/mese 10.884); + 14,2% rispetto al 2011. Tra Gennaio e Marzo 2013 carri movimentati totali: 32.98 (media carri/mese 10.993).
«Un “soggetto unico” operante nel porto di Genova, in grado di offrire un servizio integrato e ottimizzato di manovra e trasporto ferroviario, può giocare il ruolo di “motore dello sviluppo del trasporto su rotaia” – afferma il rappresentante Fit-Cisl – anche attraverso la composizione e gestione di “treni misti”, frutto della raccolta di merce tra i diversi terminal portuali. Inoltre, lo sviluppo, la velocizzazione e l’efficientamento del servizio di collegamento veloce (navettamento shuttle) con i principali interporti, consentirebbe di aumentare la capacità di ricezione e movimentazione dei principali terminal portuali genovesi – continua Torzetti – Determinanti, in tal senso, sono sia gli investimenti nell’infrastruttura ferroviaria portuale, finalizzati a potenziare la capacità di inoltro/ricezione (ad esempio: allungamento binari ed eliminazione “strozzature”), sia il coordinamento tra gestore della manovra e gestore della rete ferroviaria (RFI) per gestire al meglio le criticità emergenti sulla rete».
Matteo Quadrone
[foto Diego Arbore e Daniele Orlandi]