Statische del Ministero Giustizia degli Usa evidenziano come l'operazione di privatizzazione non abbia portato benefici economica
Privatizzare anche le carceri? In Italia ormai non si sa più che pesci prendere per trovare la via d’uscita da una situazione, quella dell’emergenza carceraria, al limite dell’incostituzionalità e spesso lesiva della dignità umana e così l’ultima proposta – inserita all’interno del decreto liberalizzazioni – prevede la privatizzazione degli istituti penitenziari.
In particolare a preoccupare l’associazione Antigone, che da anni si occupa della tutela dei diritti nel sistema penale, è l’articolo 43 del decreto che prevede lo strumento del “project financing” per la realizzazione di strutture carcerarie. La norma è attualmente in discussione al Senato.
Il 31 gennaio il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha manifestato fermamente la propria contrarietà durante una conferenza stampa in cui sono intervenuti, fra gli altri, Stefano Anastasia docente dell’Università di Perugia, Franco Corleone del coordinamento nazionale dei garanti dei detenuti, Salvatore Chiaromonte della Cgil Funzione pubblica.
“Il trattamento penitenziario non può essere affidato a chi ha scopi di lucro”, spiegano i promotori del No.
Gli imprenditori privati infatti possono avere interesse a trattenere i detenuti perché per loro rappresentano un profitto personale. Il rischio che si corre insomma è quello del mantenimento delle carceri in una situazione di sovraffollamento perché per i privati “le carceri piene sono una fonte di guadagno”. Senza dimenticare la palese incostituzionalità che si verrebbe a configurare affidando a soggetti privati la gestione dell’assistenza sanitaria dei detenuti.
“Il testo del decreto è impraticabile nel nostro ordinamento – spiega Stefano Anastasia, docente dell’Università di Perugia – i detenuti godono di diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto al trattamento, a cui corrisponde l’obbligo di prestazione da parte dello Stato che non può quindi delegare al privato alcune funzioni come l’assistenza sanitaria”.
Ma non solo. Antigone sottolinea il pericolo di corruzione dei giudici al fine di avere più detenuti negli istituti penitenziari, il rischio di discriminazione dei detenuti a seconda di chi gestisce il carcere privato e ancora la probabile esplosione di violenza e di assoggettamento al lavoro forzato.
Le esperienze deducibili da altri Paesi che hanno avviato la privatizzazione delle carceri inducono ad una profonda riflessione. Negli Stati Uniti ad esempio – dove l’affidamento a soggetti privati è una realtà dal 1984 – la violenza delle guardie operanti in strutture private è del 49% superiore rispetto a quella riscontrata negli istituti pubblici.
Inoltre, statistiche ufficiali del Ministero della Giustizia statunitense, evidenziano come l’operazione di privatizzazione non ha consentito nessun beneficio in termini economici.
Ma anche in Italia non mancano esempi negativi. Parliamo delle cosiddette “carceri fantasma”, 38 istituti di pena la cui costruzione non è mai stata portata a termine e di conseguenza inutilizzabili. Tra questi il caso del carcere di Sassari è eclatante. I lavori, appaltati a privati, la società del tristemente noto Diego Anemone, sono partiti nel 2005 e mai conclusi.
“Quello che chiediamo è che questa norma sia cassata o almeno emendata specificando le funzioni che mai devono essere concesse ai privati – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – queste funzioni sono quelle che riguardano il trattamento, la salute e il lavoro, ma anche il management perché i direttori degli istituti devono rimanere pubblici. Nel decreto, invece, è prevista solo l’esclusione della custodia”.
Alcuni Senatori presenti alla conferenza stampa, tra i quali il radicale Mario Perduca ed i democratici Vincenzo Vita e Silvia Della Monica hanno accolto la richiesta e si sono impegnati a presentare emendamenti o interrogazioni parlamentari allo scopo di restringere il campo delle funzioni cedute ai privati.
“La situazione delle carceri in questo momento è emergenziale per il sovraffollamento al limite dell’inciviltà – spiega Salvatore Chiaramonte, Cgil Fp – inoltre tutti gli strumenti, a partire dal personale, sono in drastico ridimensionamento. La risposta non è certo il project financing. Occorre invece ragionare sulla depenalizzazione di alcuni reati creati dal governo precedente come il reato dell’essere immigrato, cioè di clandestinità e i reati legati all’uso di sostanze stupefacenti”.
Infine, come sottolinea Franco Corleone, coordinamento nazionale dei garanti dei detenuti “Uno degli ambiti dove andrebbe incrementata la presenza dei privati potrebbe essere, invece, quello delle misure alternative”.
Matteo Quadrone