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Grecia, referendum: no all’austerità? Il primo segnale di vita della sinistra in Europa

Portare la Grecia fuori dall'austerità, ma mantenerla nell'euro, è un'ambizione affascinante, ma a tutti gli effetti impossibile. Ho più volte ribadito che l'aver disconosciuto il vincolo della moneta unica come strumento di disciplina dei lavoratori è la colpa storica delle sinistre europee: ed era inevitabile che su questo punto si dovesse infrangere anche la strategia del leader di Syriza


28 Giugno 2015Rubriche > "Polis" Critica Politica

grecia-europaFinalmente siamo alla resa dei conti. Dopo mesi di estenuanti tira e molla, Tsipras si è deciso a fare l’unica cosa che poteva fare per non rimandare in eterno i problemi del suo paese, visto il vicolo cieco nel quale si era cacciato.

Difatti, come avevo sottolineato sin da subito, il premier greco era andato al potere grazie ad una promessa realmente “populista”, nel vero senso del termine; poiché portare il paese fuori dall’austerità, ma mantenerlo nell’euro, è un’ambizione affascinante, ma a tutti gli effetti impossibile. Ho più volte ribadito che l’aver disconosciuto il vincolo della moneta unica come strumento di disciplina dei lavoratori è la colpa storica delle sinistre europee: ed era inevitabile che su questo punto si dovesse infrangere anche la strategia del leader di Syriza.

Tuttavia prevedere verso quale esito sarebbe rimbalzato questo vano tentativo non era affatto facile, perché i negoziati venivano condotti anche a suon di bluff e minacce. Non si poteva escludere – e non si può escludere tuttora – che la Germania e i paesi del nord volessero davvero spingere la Grecia ad uscire. Ad ogni modo quest’ultima era sicuramente la parte debole: per cui ogni presunta “ultima trattativa” finiva sempre per chiudersi o con una soluzione di compromesso o al prezzo di pesanti tradimenti rispetto al programma elettorale di Syriza, a ulteriore testimonianza dell’incompatibilità tra politiche nazionali e logiche comunitarie.

Per questo motivo Tsipras poteva solo capitolare oppure decidersi per una mossa a sorpresa: si trattava solo di capire cosa sarebbe successo prima. Dopo quattro mesi di attesa (durante i quali questa rubrica ha giudicato più saggio tralasciare le innumerevoli schermaglie) possiamo dire finalmente che il premier greco – forse per paura che i leader europei, d’accordo con l’opposizione del suo predecessore Samaras, trovassero un modo per farlo cadere – ha preso il coraggio a due mani; e con l’annuncio di un referendum sul piano di salvataggio ha impresso alla vicenda una svolta radicale.

Quel che è certo, infatti, è che dopo il voto le cose non saranno più le stesse. Anche se il quesito referendario non è esplicito (per cui molti faranno finta di non capire), la posta in gioco è piuttosto chiara: da un lato la Grecia capitola e si mette nella mani dei creditori, sancendo la fine di ogni possibilità di riscatto dall’interno (a meno di una svolta autoritaria); dall’altro lato fa default e, con ogni probabilità, esce dall’euro.

Difatti le possibilità che l’Europa si faccia condizionare da una libera decisione democratica del popolo greco sono al lumicino. Dall’altra parte, invece, Tsipras ha bisogno del consenso che gli manca per non farsi accusare di aver portato il paese fuori dalla moneta unica solo per un capriccio personale. Da questo punto di vista il leader greco ha trovato una brillante soluzione al suo dilemma politico: se i greci si prendono la responsabilità di dire no al piano di salvataggio europeo, dopo non potranno biasimarlo se come conseguenza Atene viene sbattuta fuori dall’euro; o, all’opposto, se ci saranno ancora lacrime e sangue.

In ogni caso sarà il popolo greco a prendere quella decisione che i suoi leader politici sono troppo pavidi anche solo per prendere in considerazione. Sempre che, si capisce, vogliano lasciarglielo fare.

Andrea Giannini


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