Dopo l'annuncio dell'assessore Viale, in serata Toti rilancia: «Divieto esteso a tutti uffici pubblici». Per la comunità musulmana proposta discriminante e da «campagna elettorale»
Fa discutere la proposta dell’assessore alla Sanità di Regione Liguria, Sonia Viale, di vietare l’accesso alle strutture sanitarie della regione per chi indossa il burqa. Sdegnata la reazione dell’imam di Genova, Husein Salah, che ha stigmatizzato l’ipotesi normativa: «Motivo da campagna elettorale». In serata il rilancio del governatore Giovanni Toti: «Applicheremo la norma in tutti gli uffici pubblici regionali»
«Il burqa è il peggior simbolo della sottomissione della donna all’uomo e la vigilia dell’8 marzo ci sembrava un buon giorno per dire che chi vive in Italia almeno le minime regole di uguaglianza tra uomo e donna le deve saper cogliere e rispettare. Questo regolamento verrà applicato non solo nelle strutture sanitarie ma in tutti gli uffici pubblici regionali della Liguria». Lo afferma il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, cofirmatario assieme alla vicepresidente e assessore alla Sanità, Sonia Viale, della delibera che sarà sottoposta all’approvazione nella prossima riunione di giunta. Una decisione che è destinata a far aumentare le polemiche dopo il coro di no sollevatosi questo pomeriggio in relazione all’annuncio della vicepresidente di vietare l’ingresso alle donne con il velo integrale nelle strutture sanitarie liguri. Per Toti si tratta di «una norma che risponde anche a un elementare principio di sicurezza in un momento in cui il terrorismo minaccia il nostro paese e il mondo». E prova a smarcarsi dalle polemiche. “È ovvio – prosegue il governatore, come riportato dall’agenzia Dire – che le cure verranno sempre garantite, come previsto dalla nostra Costituzione: il diritto alla salute è prioritario e assoluto. Chi afferma che con questa norma si neghino le prestazioni sanitarie dice una grande idiozia e si abbassa alla più vile strumentalizzazione offendendo tutta la categoria degli operatori sanitari”. Per il presidente della Regione Liguria, «si tratta, invece, di stabilire un principio per cui chi vive in una moderna democrazia come l’Italia, dove i diritti degli uomini e delle donne sono uguali per Legge, non può nascondere il proprio viso, rendendosi così non identificabile o riconoscibile, ma si deve adeguare alle nostre regole». La stessa Legge che, sotto forma di normativa comunitaria, prima con l’European Code of Police Ethics, sottoscritto dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel 2001, ripreso poi da una risoluzione del Parlamento Europeo prima nel 2012 e poi nel 2014 imporrebbe elementi identificativi anche per gli appartenenti alla forze dell’ordine; prescrizione comunitaria ignorata dal legislatore italiano da almeno sedici anni.
La proposta avanzata dalla vicepresidente Viale, quota Lega Nord, che sarà presentata alla prossima seduta di giunta, è stata anticipata questa mattina in Consiglio regionale in risposta ad un’interrogazione del capogruppo della Lega Nord, Alessandro Piana. «La nostra preoccupazione – spiega Viale – è bloccare ogni tentativo di discriminazione delle donne. Uno dei simboli della discriminazione femminile è il burqa, un abito che copre la testa, il viso, impedisce la vista perché ha una grata che separa la donna dal mondo. E’ il simbolo dei paesi in cui la democrazia non c’è più e impera il fanatismo, in particolare religioso». Questa iniziativa potrebbe, in una seconda fase, essere allargata anche ad altri luoghi con accesso pubblico e non è probabilmente un caso che il tema torni d’attualità alla vigilia dell’8 marzo, festa della donna. L’anno scorso, infatti, la consigliera regionale della Lega Nord, Stefania Pucciarelli, si era presentata in aula vestendo il tradizionale velo islamico e costringendo il presidente dell’Assemblea, Francesco Bruzzone, a rinviare l’inizio della seduta perché l’abito non era considerato consono ai lavori del Consiglio
«E’ un dispiacere leggere queste notizie perché è da trent’anni che mi impegno a Genova per portare la comunità islamica a sentirsi parte integrante della città, per una reale inclusione sociale e questi sono atti che riescono a demolire molto del lavoro fatto”. Così riponde l’imam di Genova, Husein Salah, commentando per l’agenzia Dire la proposta: «Quello della sicurezza è un falso problema, una fantasia – ribatte il portavoce della comunità islamica del capoluogo ligure – anche perché a Genova ci saranno forse 5 donne che girano con il velo integrale. Non c’è quel senso di insicurezza per cui deve intervenire la Regione: sono pochissime e tutte mamme di famiglia, l’effetto di questa normativa non esiste però l’effetto psicologico non è bello. E’ un motivo da campagna elettorale”. C’è poi una questione di diritti costituzionali alla cura da garantire. «Se una donna si sente male e chiama i soccorsi – chiede l’imam – se indossa il velo non la caricano in ambulanza o non la fanno entrare al pronto soccorso? Come si dovrebbero comportare i militi della croce rossa o i volontari della pubblica assistenza? Chiamare la polizia per obbligare la donna a togliersi il velo?».
Viene citato perfino papa Francesco. «Invece che costruire i ponti, si stanno erigendo muri. Invece di incentivare la parte che vuole integrarsi e sentirsi cittadina, si rischia di costruire sempre più difficoltà. E’ il secondo provvedimento di questa giunta regionale che investe in maniera negativa il mondo islamico – ricorda Husein Salah – dopo quella che regolamenta i luoghi di culto. Ci sentiamo cittadini di seconda categoria, presi di mira». Rispedite al mittente anche le accuse di discriminazione per chi indossa il velo: «L’atto discriminatorio – dice l’imam – è obbligare la donna a togliere il velo, non il contrario».