Registrare un disco è diventato molto più semplice rispetto a qualche anno fa, i costi si sono abbassati, ma «non è che basta saper registrare per produrre buona musica...». Ecco la nostra intervista
Prosegue il nostro viaggio (qui la prima intervista) attraverso le esperienze di chi nella nostra città è riuscito nell’ardua impresa di “vivere di e con la musica”. Roberto Vigo è fonico professionista: tanti dischi registrati a Genova hanno il suo nome nei famosi “credits”. Da molti anni ha uno studio suo, lo ZeroDieci, e da quasi altrettanti insegna il suo mestiere a giovani e meno giovani.
Spesso, a Genova come in tanti altri luoghi, si dice che “tutti suonano e nessuno ascolta”: tu cosa ne pensi?
«In realtà, secondo me, c’è un sacco di gente che ascolta. Un pubblico che spesso è tecnico, cioè formato da musicisti, molto attento ai particolari ed esigente, anche se talvolta (mi riferisco ovviamente ai musicisti) più per quello che suonano gli altri che non per i propri lavori. Si tende cioè a non ascoltare a sufficienza quello che si produce in proprio, cosa che invece è fondamentale per focalizzarsi su un proprio miglioramento artistico.
Esiste però un numero crescente di gente che, grazie alla rete, va in giro a cercare la musica che più gli piace, artisti non molto conosciuti di cui poi diventa fan. Questa audience però non fa mercato, ed è quasi invisibile in termini economici, vuoi per la crisi discografica, vuoi perché trattasi di musica gratuita, legale o illegale che sia. Ed è anche il motivo per cui questa fetta di ascoltatori è difficilmente quantificabile in termini numerici».
Sembra che da qualche anno tutti vogliano o cerchino di registrare un disco… È davvero diventato così facile o è un riflesso del consumo sfrenato di musica, che ormai viene misurata in GB e non in supporti fisici?
«Intanto da qualche anno è diventato possibile per tutti registrare un disco, cosa che era preclusa a molti in passato, perché le strutture, gli studi di registrazione, costavano un rene al giorno! Era un tipo di attività che non era alla portata di chiunque. Adesso che i costi si sono ridotti in misura drastica, la registrazione è davvero alla portata di tutti, ma se si fa un discorso qualitativo non è che, sapendo registrare, si fa anche della buona musica! Nel discorso “qualità” entrano anche la preparazione dei musicisti, la musicalità in generale del progetto. E la parte più difficile: la voglia di comunicare qualcosa attraverso la musica. Per la quantità si può essere d’accordo sulla misurazione in GB della musica, ma nelle nicchie di mercato molto piccole c’è un ritorno al supporto non digitale (qui l’approfondimento di Era Superba, ndr) e questo per me è incoraggiante».
Definiscimi la tua professionalità…
«Passione, puntualità, precisione, ed amore per le cose che si fanno».
Da diverso tempo fai anche corsi per fonici, e in qualche caso dai battesimo anche a futuri professionisti… Chi sono i tuoi studenti? Perché hai sentito l’esigenza di insegnare il tuo mestiere?
«Vengono da me musicisti appassionati che ne vogliono sapere di più, perché è giusto avere un background tecnico sul suono… se suoni, e soprattutto se lo vuoi fare di professione. Vengono da me anche persone che vogliono fare il fonico come lavoro, ad esempio il tecnico a bordo delle navi da crociera, oppure gente che ha il proprio studio a casa e vuole migliorare la qualità di quello che registra. Il motivo per cui insegno è che in realtà sto ancora adesso imparando! Nonostante vent’anni d’esperienza sento ancora il bisogno di imparare e di trasmettere tutto quello che ho ricevuto negli anni. È una soddisfazione vedere allievi che trovano una propria strada grazie anche ai miei insegnamenti».
Qual’è, al netto dei problemi, la difficoltà maggiore che incontri nel tuo lavoro in un momento storico come questo?
«Non so risponderti. Sinceramente in questo momento non ho problemi nel mio lavoro. A me sta andando tutto bene, e non vorrei essere quello che va controcorrente… Magari alle volte i problemi sono le tasse eccessive, cose comuni ad altre attività, ma nel mio settore va tutto bene, c’è interesse per tutto quello che faccio!»
Hai un tuo rapporto con la SIAE? Tu partecipi a dei progetti artistici, come produttore e come fonico: c’è differenza tra i due casi?
«Semplicemente non ho un rapporto con la SIAE, né mi interessa averlo. La SIAE avrebbe uno scopo nobile, pagare i diritti agli artisti, ma il meccanismo non funziona. Personalmente non ho mai pensato di fare l’editore o chiedere all’artista percentuali sul diritto d’autore. L’unico rapporto che ho con la SIAE è quando vado a chiedere i bollini per i CD come produttore artistico».
Un musicista che stimo un giorno mi ha detto: il mercato musicale è morto; ma allora, tu che i dischi li registri, cosa gli rispondi? Come si vendono – se si vendono – i dischi?
«Musicista e fonico stanno dalla stessa parte della barricata, anche perché per entrambi il prodotto finito ha in sé la soddisfazione personale di averlo creato. Il fonico non ha un ritorno economico dal disco in base alle vendite, diversamente da quanto succede negli U.S.A., ha un ritorno di fama, di popolarità, eccetera. È cambiata la forma entro cui si ascolta e si consuma musica: il mercato musicale è morto se lo interpretiamo come compravendita di dischi. Rimangono delle nicchie piccolissime che hanno bisogno di un dato supporto fisico. L’utenza rimane: il problema è che non s’è trovato un modo per rimonetizzare il consumo di musica in maniera efficace – e giusta – per tutti gli attori.
L’artista odierno deve mettersi in gioco, salire sul palco e suonare; non si guadagna più vendendo i dischi, il disco serve all’artista come promozione per andare in giro con uno spettacolo. Non è più vero il contrario, cioè fare lo spettacolo per promuovere il disco. Non si vive di diritti sulle canzoni, via SIAE: una volta si potevano guadagnare milioni anche solo componendo canzoni, prendendo i diritti sui passaggi radio e televisivi, adesso non più».
Michele Bensa