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Il gioco d'azzardo cresce in Italia senza ostacoli, lo dimostrano i dati sempre più preoccupanti. Eppure, a fronte di un giro d'affari triplicato dal 2004 ad oggi, lo Stato guadagna sempre di meno. Senza contare le ripercussioni sociali e sanitarie. La nuova normativa nazionale rischia di cancellare il Regolamento comunale che contrasta il proliferare della piaga
L’Italia rappresenta oltre il 15% del mercato europeo del gioco d’azzardo e, a fronte del 1% della popolazione, oltre il 4,4% del mercato mondiale con il triste primato del 23% delle giocate totali online. La spesa pro capite (calcolata sulle persone maggiorenni) in giochi con premi in denaro è di 1700 euro all’anno: una piaga che si diffonde soprattutto sulle fasce marginali della società e sui giovani. Lo dimostrano i dati dell’ultimo rapporto della Società italiana di pediatria che denunciano come un giovane su cinque tra i 12 e i 18 anni, pari a circa 800 mila adolescenti, gioca online o frequenta con abitudine una sala da gioco, senza che le famiglie ne siano al corrente. Un dato che sale a 1,2 milioni di ragazzi se si considera l’intera fascia dei minorenni.
I ricavi che lo Stato percepisce con la tassazione di questo settore non seguono l’incremento esponenziale del gioco d’azzardo: se, infatti, nel 2004 a fronte di un giro di affari di 24 miliardi di euro lo Stato ne incassava 7,7, nel 2014 a fronte di un ricavo complessivo di 88,6 miliardi nelle casse pubbliche sono entrati poco più di 6 miliardi.
Ma, al di là dell’aspetto meramente economico, senza considerare il gioco sommerso e gli affari delle mafie, ciò che più preoccupa sono le ripercussioni sociali e sanitarie: secondo quanto disposto dal decreto Balduzzi, il gioco d’azzardo patologico è stato incluso nei livelli essenziali di assistenza e la legge di stabilità 2015 stanzia 50 milioni di euro per l’assistenza di questo settore in cui, si stima, rischi di incappare un italiano su tre. La cifra importante stanziata dal governo, sintomatica dell’attenzione che si dovrebbe porre verso questa piaga, è tuttavia irrisoria nei confronti dell’onere complessivo che la cura per il gioco patologico d’azzardo fa ricadere sulla collettività: si parla di costo annuo medio di 38 mila euro per paziente, pari a un totale che tra i 5,5 e 6,6 miliardi di euro. Si stima che il gioco d’azzardo sia la causa di almeno il 10% delle separazioni coniugali e che i suicidi tra i giocatori siano 4 volte superiori rispetto al resto della popolazione: a ciò si aggiungono altri costi sociali come il deterioramento della qualità di vita, l’indebitamento, la perdita della casa, del lavoro e la maggiore permeabilità ad altre dipendenze.
A metà 2013, secondo un’inchiesta pubblicata da Wired, Genova era la città italiana con la maggiore densità di esercizi che ospitano slot machine: se ne trovava una ogni 235 metri. Lo scorso anno, durante la giornata mondiale di sensibilizzazione, venivano stimati in oltre 1350 gli esercizi cittadini in cui fosse possibile il gioco d’azzardo e quasi una sessantina le sale specializzate. Non deve stupire, allora, che il Comune di Genova sia in prima linea per il contrasto a questa piaga sociale.
Il Consiglio comunale ha approvato all’unanimità una mozione bipartisan presentata dai consiglieri Nicolella (Lista Doria) e Campora (Pdl) – rispettivamente presidente e vicepresidente della Consulta cittadina contro il gioco d’azzardo – per dire ancora una volta no alla proliferazione del gioco d’azzardo in città e per dare seguito ai risultati positivi che si sono riscontrati dopo l’approvazione del Regolamento comunale sulle sale da gioco e giochi leciti.
La mozione si scaglia contro il disegno di legge che giace in Parlamento e che, secondo quanto emerso finora, potrebbe cancellare gli effetti positivi del Regolamento comunale che contrasta la diffusione delle sale da gioco soprattutto in riferimento ai luoghi sensibili (in particolar modo le scuole e altri spazi pubblici frequentati da bambini e giovani), individuando un raggio d’azione di 300 metri all’interno del quale non possono essere aperte sale da gioco, che scende a 100 metri per quanto riguarda sportelli bancari, agenzie di credito, banchi di pegni e compro oro. Accogliendo l’appello della Consulta comunale, il documento impegna sindaco e giunta a farsi parte attiva presso il Governo affinché la nuova normativa mantenga “le facoltà dei Comuni di imporre vincoli, obblighi e controlli sugli esercizi connessi al gioco d’azzardo”, introduca “norme a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza” in particolare riguarda alla pubblicità e all’acceso dei locali in cui si gioca, istituisca un fondo finalizzato al contrasto del gioco patologico.
«Il Comune di Genova deve farsi portavoce di questa battaglia – spiega Nicolella – un po’ perché questa amministrazione è stata tra le prime a produrre un atto fortemente incisivo per il contenimento della diffusione del gioco d’azzardo e un po’ perché la storia ci racconta che la prima normazione del fenomeno è arrivata propria dalla Repubblica di Genova, che istituì un banco di raccolta delle giocate che erano molto diffuse per scommettere sui nomi notabili che sarebbero stati estratti per far parte del Senato, come era consuetudine nella Repubblica».
«Come Giunta – commenta l’assessore a Legalità e Diritti, Elena Fiorini – abbiamo espresso convintamente il nostro parare favorevole perché si tratta di una battaglia di civiltà che non possiamo non appoggiare. A fronte di una limitazione del numero dei concessionari su scala nazionale, la nuova normativa in via di definizione sembra andare nella direzione di una delegittimazione delle amministrazioni locali nella disciplina del fenomeno. Quindi il nostro regolamento comunale ma anche la legge regionale sarebbero a rischio». Un ostacolo notevole, soprattutto nell’ottica di una possibile imposta addizionale comunale proprio sui proventi dalla tassazione sul gioco d’azzardo che la stessa Fiorini starebbe mettendo a punto d’intesa con l’assessorato al Bilancio.
Simone D’Ambrosio