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Storia di Genova: alla scoperta del forte San Giorgio

Nel quartiere di Oregina, nascosto fra gli alti palazzi, il forte di San Giorgio è la sede nazionale dell'Istituto idrografico della Marina Militare dal 1872


23 Aprile 2012Rubriche

Il Forte San Giorgio di Genova

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Passi e ripassi per via Ugo Bassi senza vederlo perché si nasconde diedro gli edifici di una città che gli è cresciuta attorno, assediandolo col suo abbraccio di pietra, ma se si imbocca la stradina laterale che si trova nel tornante, appena passata la chiesa di S. Tommaso nel quartiere di Oregina, ecco apparire un imponente cancello, l’entrata di forte san Giorgio.

Non è possibile andare oltre: se si supera quella parete di ferro, che si apre lentamente solo dopo aver dichiarato le proprie generalità e sotto lo sguardo vigile di austere telecamere, il marinaio di guardia, affiancato da un carabiniere in divisa, vi invita a tornare sui vostri passi: siamo in zona militare, perché qui è ubicato, attualmente, l’Istituto idrografico della Marina Militare Italiana.

Questa roccaforte nasce sulle macerie di uno dei 19 bastioni, inglobati nelle mura cinquecentesche di Genova , posizionato sull’erta costa di S.Ugo, alle spalle del porto,  che in seguito ad una sollevazione popolare, fu parzialmente distrutto e dato alle fiamme, nel 1848. Dopo alcun anni venne decisa la realizzazione della nuova fortezza col compito di difendere il sottostante Arsenale Militare, edificato, a sua volta, sull’antico complesso monasteriale di Santo Spirito.

Il contributo del genio sardo, coniugato ad una maggiore disponibilità di mezzi, fu fondamentale nell’architettura della nuova costruzione: all’uso della pietra locale venne aggiunto, infatti, l’impiego dei mattoni il che rese possibile la realizzazione di una struttura dinamica costituita da ampi spazi, connessi fra loro da gallerie o ampie rampe,  per uno spostamento veloce in senso verticale od orizzontale, lungo le quali si aprono improvvisi ballatoi o passaggi per un perfetto collegamento tra i vari reparti organizzativi. Il compito iniziale dell’edificio fu quello di scongiurare eventuali sommosse dovute all’insofferenza  verso la nuova dominazione sabauda, come si evince da alcuni elenchi  sugli armamenti dell’epoca nei quali si legge che  nei due forti cittadini, quello di S. Giorgio e di Castelletto, era prevista una potenza di fuoco di 23 cannoni di grosso calibro, 8 mortai e 28 cannoncini.

Successivamente, fu presa in considerazione l’ipotesi di un utilizzo come polveriera che, allora, era ubicata nell’area del Lagaccio, dove attualmente si trova l’ex-caserma Gavoglio. Infine si risolse di adibirla ad Osservatorio Astronomico, funzione ricordata anche dal toponimo della via di accesso, “passo all’Osservatorio“, e alla produzione di  cartografia nautica. Nacque, così, l’Istituto Idrografico, Ente deputato all’elaborazione di tutte le carte per la navigazione del Mediterraneo dal meridiano 8, che passa al largo della costa sarda di ponente fino al  meridiano 22 che taglia il Peloponneso tra capo Gallo e capo Matapan.

E’ indubbio che la cartografia genovese abbia tradizioni antichissime che chiama in causa la Corona Lusitana del ‘400 la quale commissionava ad abili disegnatori liguri tale compito, accecandoli a lavoro terminato perché non svelassero i segreti militari ivi contenuti. Certamente, le carte medievali non raggiungevano la  perfezione che si ottiene oggi grazie all’alta tecnologia, ma erano banalmente dei “ferri” del mestiere, ricavati da semplice schizzi, inviati a Genova per l’elaborazione, da naviganti che percorrevano un tratto di costa e ne disegnavano il profilo (non vi erano ancora macchine fotografiche). A questo primo abbozzo si inserivano, via via, dati aggiuntivi  riportati da altri viaggiatori fino a diventare delle vere “enciclopedie” indispensabili a chi andava per mare.

Quanto a segretezza… i genovesi, abili commercianti, furono pronti ad improntare un florido commercio internazionale senza troppo interessarsi  delle coste nazionali. Fu, infatti, Nelson il primo a richiedere una carta  dei litoranei siciliani così quando, nel 1872, l’Idrografico iniziò la sua attività, affidato alla direzione di G. B. Magnaghi, Ammiraglio della Regia Marina, la cartografia italiana era praticamente inesistente e si dovette incominciare col mettere in essere un vero osservatorio  astronomico, un opificio per le incisioni su rame, un apparato per la stampa calcografica e solo, tra il 1877 e il 1878, si fu in grado di approntare navi corredate da strumenti per le rilevazioni dei dati idrografici. I primi versanti  ad essere interessati furono quelli del Tirreno, dalla costa francese fino a quella calabra ed alcuni tratti dell’Adriatico, ad esempio, la costa veneta. Per la Sicilia si dovette aspettare il 1908, dopo il terribile terremoto di Messina e nell’intervallo 1912-1914 si incominciò a scandagliare il Mar Rosso. Nel periodo fascista l’attenzione fu portata verso i litorali delle colonie e delle nazioni prossimali come quelli dell’Eritrea, della Somalia, della Cirenaica, della Tripolitania, dell’Albania, delle isole Greche e quelle lontanissime del Polo Nord dopo la tragica spedizione del “dirigibile Italia” (1928).

Durante l’ultima guerra l’Istituto Idrografico lasciò la sua sede genovese per Montecatini e, poi, per Baveno (Lago Maggiore), tornando, definitivamente, nella nostra città solo nel 1947. Storia nella storia si potrebbe dire, la stessa che si può toccare con mano salendo lungo l’acciottolato carrabile fino ai piedi di  uno squadrato edificio rosso, emergente dalle antiche muraglie, dove, ai lati di un imponente porticato fanno da guardia due minacciosi cannoni. Poco più in là, vicino all’asta della bandiera i simboli della marineria, due nere ancore che ci ricordano il legame col mare. Una lunga , larga scalea, incuneandosi nel cuore dell’edificio, s’inerpica verso l’alto, impreziosita da una riproduzione dell’antico porto di Genova e da un bassorilievo di Gelio Repetto, raffigurante S. Giorgio nell’atto di uccidere il drago.

Non manca la biblioteca in cui sono raccolti volumi di pregio alcuni dei quali risalenti ai primi dell’ottocento, oltre a più di 2000 carte calcografiche pubblicate tra il 1600 e gli inizi del novecento. Continuando la salita, si riemerge all’esterno in una “piazzetta” circondata dal corpo del fabbricato e da cui si accede ai locali dove ferve l’attività di tecnici qualificati che hanno il compito di “tradurre” i dati, raccolti dalle navi idrografiche, in carte nautiche.

Dalle ampie vetrate, la vista si estende sul porto per spingersi lontano fino alla Torre della Specola da cui partiva, alla fine dell’ottocento lo “sparo del cannone di mezzogiorno“. A quei tempi, infatti, l’Idrografico provvedeva a segnalare l’ora esatta alle navi del porto e alla città, attraverso cronometri distribuiti in punti strategici e, nel contempo, avviava un congegno elettrico che azionava il cannone posto in un casotto vicino alla torre.

 

Adriana Morando


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