Nel Medioevo piazza San Lorenzo era il centro di Genova, una piazza molto diversa da quella attuale: nel 1830 vennero demoliti alcuni edifici che erano stati costruiti a ridosso della cattedrale al fine di restituirle un po’ di spazio
Se sei nato a Genova non ci fai caso, ma qui tutto è parsimonioso, proprio come ci insegna la tradizione che vuole i suoi abitanti corredati dal “braccino corto”, marchio d’infamia che pare dobbiamo a Sir Francis Drake, navigatore, corsaro e politico inglese, e ai poco accorti nostri antichi concittadini del ‘500 che decisero di schierarsi con gli spagnoli nella guerra contro l’Inghilterra. Furono proprio i genovesi, infatti, a finanziare “l’invincibile armata”, costituita da 130 vascelli e da 24000 uomini, ma l’esito disastroso della spedizione insegnò loro, da quel giorno, ad essere più oculati nell’aprire i cordoni della borsa, nonché ad ostentare quella diffidenza verso i “foresti” che è un altro “pregio” che si ascrive ai liguri.
Parsimoniosi, dunque con il denaro, con il sorriso ma anche con lo spazio, conteso al mare e ai monti metro su metro, oggi come ieri, battaglia che si rispecchia nelle sue caratteristiche creuze, nei suoi angusti vicoli, nella sua scarsità di ampie piazze. Non stupisce, dunque, che il sagrato a che si apre davanti alla Cattedrale di San Lorenzo, unico slargo degno di questo nome, fosse, nel Medioevo, uno spazio pubblico dove si svolgeva la maggior parte della vita civile, economica e politica della città.
A partire dal 1300, qui, aveva luogo la designazione del doge: erano riunioni popolari spesso tumultuose come quella in occasione dell’elezione di Simon Boccanegra (1339), primo doge di Genova (a cui si ispirò Giuseppe Verdi per la composizione dell’omonima opera), durante la quale, scalmanati avversari politici, appartenenti al vecchio regime, bruciarono, nel piazzale, i libri dei crediti della Repubblica, naturalmente, tra le grida esultanti degli spettatori.
Nel quotidiano, mentre lungo i muri della chiesa stazionavano i besagnini, esponendo i loro prodotti ortofrutticoli, Piazza San Lorenzo era occupata dalle “caleghe” (dal latino callegarii, ovvero aste pubbliche), un variopinto mercato dell’usato non dissimile da quello che si tiene a Palazzo Ducale, la prima domenica del mese. Nel 1615, però, in seguito alla morte di un gabelliere per mano di un “repessin”, le autorità furono indotte ad abolire tale pratica.
Incontro rituale era, poi, quello che si svolgeva durante la festa del santo patrono della città, San Giovanni Battista: per questa occasione, ci si recava a comprare le “benedizioni”, cioè foglie di noci, rami di sambuco ed altre piante perché, secondo le antiche credenze, le erbe bagnate dalla rugiada di quella notte “magica” avevano straordinarie proprietà curative. Nel giorno del solstizio d’estate, infatti, il sole e la luna, a detta della tradizione, si univano in matrimonio, riversando sulla terra energie positive che inducevano effetti miracolosi come quello di fare fiorire le felci. Una fioritura effimera, di una sola notte, che, se raccolta, avrebbe avuto il potere di far piegare qualunque volontà.
Il fascino di un “ sogno di una notte di mezza estate”, come direbbe lo stesso Shakespeare, lasciava il posto, spesso, nell’arco dell’anno, ad episodi non proprio bucolici: ne rimangono tracce sulla porta laterale della Cattedrale, Porta di San Gottargo, dove sono visibili i buchi impressi dai micidiali dardi delle balestre o le fenditure alla base delle colonne, conseguenze di un incendio divampato durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, nel 1296.
Ricordiamo, poi, che le chiese e le loro pertinenze godevano dell’immunità giudiziaria, diritto di asilo emanato da una bolla papale ed in essere fino al XVIII secolo. Tutte le chiese ne fruivano ed accoglievano rei di tutti i tipi ad eccezione di quelli condannati per omicidio volontario. Non è difficile immaginare che qualche “furbetto” strumentalizzasse tale prerogativa per trarne un illecito vantaggio. E’ il caso di “o Serronetto”, lestofante settecentesco che aveva eletto a domicilio proprio la Cattedrale. In agguato e pronto a colpire, quando individuava l’oggetto delle sue malefatte, scendeva nella piazza, metteva in opera la sua bricconata e, con altrettanta rapidità, riguadagnava i “sacri” scalini dove era al sicuro dalle pene della legge. Si racconta, ad esempio, che il mattino del 2 settembre 1729, con un suo provvido intervento, avesse liberato un camallo accusato per una questione di tabacco e nello stesso giorno avesse fatto oggetto di una fitta sassaiola i gendarmi di passaggio. Quel satanasso “che stando sopra la scala… fa tutto il giorno molte insolenze” fu infine preso e condannato a dieci anni da trascorrere nelle patrie galere ma, il giorno stesso, evase per rifugiarsi nella Chiesa degli Incrociati.
La piazza è stata, anche, testimone di eventi più edificanti: qui transitavano notai e cancellieri che si recavano nel Chiostro per redigere atti importanti; vi passavano i poveri che andavano a elemosinare un piatto di minestra, vino e focaccia distribuiti dai Canonici o la attraversavano i 13 indigenti, prescelti tra i senza tetto, a cui, in occasione del Giovedì Santo, dopo la lavanda dei piedi da parte del Reverendo Capitolo, capeggiato dall’Arcivescovo, veniva offerto un pranzo completo.
Come in ogni angolo di Genova che si rispetti, non può mancare un po’ di “noir”. Il 26 febbraio 1799, Sebastiano Biagini, giornalista e politico (fu uno dei fautori della caduta della vecchia Repubblica) fu pugnalato a morte dal collega Queirolo, mentre si trovava all’interno della farmacia Dodero, prospicente la piazza. La parte più horror della vicenda, però, fu il funerale che ne seguì: il cadavere non fu messo in una bara ma seduto, come se guidasse, su un carro trainato da sei cavalli bianchi e, così, traslato alla Basilica di Carignano. Qui, fu composto, sempre seduto, al centro di una macabra scenografia: nelle mani gli fu messa una copia della Costituzione, a destra, una statua della Storia nell’atto di incoronarlo, a sinistra, un effige del Genio Ligure che bruciava una serpe, incarnazione dell’avversario che ne aveva causato la morte, alle spalle, una stele simboleggiante l’Eternità dietro cui occhieggiava, funerea, la Morte. Sopra tutta questa “artistica” composizione, che fu lasciata in esposizione per ben due giorni, campeggiava un’aerea Fama provvista di tromba.
Per tornare a cose più amene, fa sorridere, oggi, la denuncia di un anonimo (1745) che segnalava “il disordine scandaloso di vedere, alla notte, uomini e donne frammischiati sopra la scalinata di San Lorenzo” o la riprovazione che veniva manifestata nei confronti di giovani nobili per un comportamento giudicato disdicevole: questi bricconi impenitenti solevano, infatti, bivaccare sulla piazza, nell’imminenza delle funzioni religiose, per “sbirciare” le caviglie delle giovanette che scendevano dalle carrozze.
Tante storie, dunque, curiose, tristi o tragiche raccontate da una piazza molto diversa da quella attuale perché, nel 1830, fu necessario un profondo restyling, demolendo alcuni edifici che erano stati costruiti a ridosso della cattedrale, al fine di restituirle un po’ di spazio. Il Palazzo dei Fieschi, che trovate, sulla sinistra, ponendovi con le spalle alla Cattedrale, è un esempio evidente di questo “recente” ridimensionamento: se guardate attentamente, potrete constatare, infatti, che ne è stata asportata una “fetta”, come si evince dalla facciata che risulta arretrata rispetto all’originale.
Adriana Morando
foto di Daniele Orlandi