Prosegue l'inchiesta sullo stato di salute dei teatri di prosa a Genova. In questo articolo ci concentriamo sulla realtà del Teatro della Tosse nel cuore del centro storico. Bilanci in pari e sperimentazione artistica, la ricetta del teatro di Sant'Agostino sembra vincente
Dopo l’approfondimento nella prima parte di questa lunga inchiesta a puntate sullo stato di salute e sulla situazione generale del teatro di prosa a Genova realizzato direttamente con i protagonisti, i focus sulle realtà più piccole come Cargo, Garage, Akropolis, Ortica, Lunaria e Altrove , sulle difficoltà del Teatro della Gioventù, sul Politeama Genovese e sul Teatro dell’Archivolto, in questo articolo ci concentriamo sul presidio culturale del centro storico, quel Teatro della Tosse dai più considerato vero e proprio centro di sperimentazione teatrale nel variegato panorama genovese.
A differenza del Teatro dell’Archivolto che ha ottenuto solo il “titolo” di centro di produzione e il Teatro Stabile che, come è noto, è stato declassato e ha perso l’appellativo di Teatro Nazionale, il Teatro della Tosse può ritenersi assolutamente soddisfatto dopo il riconoscimento dal Ministero che lo ha collocato tra i Teatri di rilevante interesse culturale (per l’approfondimento sull’attuale riforma Franceschini vedi la prima parte dell’inchiesta). «Siamo molto contenti della qualifica ottenuta che rispecchia a pieno le nostre produzioni e la stabilità del nostro nucleo artistico – spiega il direttore Amedeo Romeo – ma il programma che abbiamo presentato e vogliamo rispettare è molto impegnativo, per cui sarebbe stato tutto un po’ più facile con qualche contributo in più da parte del Governo». Dal Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) arriveranno 675 mila euro per la stagione (mentre lo scorso anno gli stanziamenti ammontavano a 710 mila euro) e altri 48 mila per un festival di danza . «In complesso – riconosce Romeo – sono 17 mila euro in più ma il festival di danza comporterà costi notevoli dal momento che è prevista anche una grande co-produzione internazionale con Germania e Austria intitolata “Pizzeria Anarchia”».
I fondi ministeriali non bastano a coprire un bilancio annuale che si aggira sull’ordine di grandezza dei 2 milioni di euro. Le 160 giornate di produzione e 260 alzate di sipario, comprese le attività della Claque, verranno finanziate anche da Comune e Regione. «Il fatto di essere stati riconosciuti come Tric – spiega il direttore – obbliga gli enti locali a co-finanziarci per almeno il 40% dei fondi previsti dal Fus, ossia 285 mila euro, secondo proporzioni ancora da stabilire. In realtà si tratta di circa 15 mila euro in meno rispetto a quanto arrivato lo scorso anno ma dovrebbero essere garantiti almeno fino al 2017, dato che il programma presentato al Ministero ha valenza triennale». Ai fondi pubblici si aggiungono quelli privati di tanti piccoli sponsor ma soprattutto della Compagnia di San Paolo (che finanzia buona parte dei teatri di prosa genovesi) che quest’anno ha investito 200 mila euro sulla stagione. E poi ci sono gli incassi della bigliettazione che continuano a premiare la multidisciplinarietà e lo stretto legame col territorio, tipici dei quarant’anni del Teatro della Tosse: già lo scorso anno si era chiuso con un +30% di spettatori rispetto ai poco meno di 60 mila ingressi del 2013, mentre per quest’anno si è registrato un ulteriore aumento del 15%.
Sul capitolo costi, invece, la voce più significativa è quella del personale tecnico, artistico e gestionale, che ogni anno si porta via ben più del 50% del bilancio. «Ma – commenta Romeo – a mio avviso si tratta di un aspetto positivo perché significa che l’industria culturale può essere un importante volano per l’economia in una città in cui il teatro, nonostante tutte le difficoltà, è sano».
Come sani sono anche i conti della Tosse: «Bene o male – conclude il direttore – riusciamo a chiudere in pari ogni anno ma non potrebbe essere altrimenti perché siamo una realtà privata che se non fosse virtuosa non potrebbe ricevere i contributi pubblici e i finanziamenti dalle banche e sarebbe costretta a fallire. Le tournée sono diminuite e i costi non si riescono a coprire solo con la bigliettazione. La stessa cosa vale per le ospitalità. Di conseguenza il finanziamento pubblico è vitale, anche perché se è vero che non siamo un teatro pubblico cerchiamo comunque di fare l’interesse del pubblico».
Simone D’Ambrosio