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“Numero primo” di Marco Paolini in scena al Teatro della Corte fino a domenica. Un viaggio colmo di incontri inquietanti ma anche di bambini svegli e genuini, di presenze animali, di furbi extracomunitari affabulatori e improvvisati imprenditori
Marco Paolini (Belluno, 1956) è un valido esponente del cosiddetto teatro di narrazione, un attore che, conservando la propria identità di persona e solo talvolta personaggio, sullo sfondo di una scenografia minimale, racconta e mischia eventi e trovate, accostandoli a tematiche anche complesse, senza badare a vincoli temporali, restituendo pertanto centralità alla parola. Lo abbiamo ascoltato in passato, accompagnandolo, divertiti e incantati, lungo il rimembrare di resoconti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ci parevano talmente veri da non differenziarsi dai nostri ricordi personali.
Oggi si ripropone, da ironico e accattivante cantastorie, ma non privo di punte di tenerezza, con un nuovo viaggio fantastico che mescola tempi e luoghi, compiuto assieme a un bambino, un figlio impostogli da una donna misteriosa. Un viaggio colmo di incontri inquietanti ma anche di bambini svegli e genuini, di presenze animali, di furbi extracomunitari affabulatori e improvvisati imprenditori. Un bambino che, come il padre, è costretto a vivere svogliatamente tra l’obbligo/diritto dell’invasione tecnologica e della perpetua connessione quotidiana, restandone emotivamente al di fuori.
Gli attuali modelli di riferimento, quelli dell’essere umano che gestisce e controlla e-mail, chat, messaggini, post sui social network, che occupano gli spazi vitali, momenti di relax compresi, hanno mutato la nostra percezione del tempo e dello stacco tra lavoro e vita privata, trasformandosi in un vivere senza orario, “sempre connessi” e, al tempo stesso, sempre subdolamente controllati. Monitorati e gestiti persino da istituzioni che dovrebbero sovrintendere alla nostra maturazione, sicurezza, salute. Come proteggersi, uscirne senza compromettere salute fisica e mentale, questo pare domandarsi l’autore.
I momenti di stacco non possono essere ignorati e neppure gli interessi e gli svaghi, reali e non virtuali, che regalano valore aggiunto al nostro vivere da automi eterodiretti, con la testa reclinata, inchinata allo schermo. Ironico cantastorie, dicevamo, non staccato dalla realtà e dalla tenerezza, accompagnato oggi da una persistente soffusa malinconia, sconosciuta ai primi lavori sull’”Album”. Un lavoro che mantiene il fiato sospeso, forse un po’ da sfrondare nella seconda parte.
Elisa Prato
+ “Numero primo – Studio per un nuovo album” di Marco Paolini, al Teatro della Corte fino al 4 dicembre.
Di e con Marco Paolini.