Ultimo capitolo dell'inchiesta sullo stato di salute dei teatri di prosa a Genova. Concludiamo il nostro percorso con il più importante presidio genovese, il Teatro Stabile, che come finanziamenti da Roma è il quarto teatro più "ricco" d'Italia
Siamo giunti all’ultimo capitolo di questa lunga inchiesta sullo stato di salute del teatro di prosa a Genova. Dopo l’approfondimento sulla situazione generale realizzato direttamente con i protagonisti, i focus sulle realtà più piccole come Cargo, Garage, Akropolis, Ortica, Lunaria e Altrove , sulle difficoltà del Teatro della Gioventù, sul Politeama Genovese , sul Teatro dell’Archivolto e sul Teatro della Tosse, concludiamo il nostro percorso con il Teatro Stabile.
Teatro nazionale di nome ma non di fatto, lo Stabile di Genova nel 2015 è la quarta realtà italiana per finanziamenti in arrivo dal Ministero dei Beni Culturali. Per l’istituzione del neo direttore Angelo Pastore sono previsti, infatti, 1 milione e 874 mila euro dal Fus, dietro solo a Milano, Torino e, per qualche spicciolo, Roma ma prima di teatri a cui è stato formalmente riconosciuto l’appellativo di “nazionale”, come Modena, Venezia, Firenze e Napoli. Note le polemiche che hanno portato al declassamento del principale teatro di prosa della nostra città a Teatro di rilevante interesse culturale: il ricorso amministrativo per essere ricompreso nel novero dei Teatri Nazionali resta ma la conferma sostanziale dei finanziamenti del passato (con un lieve aumento dello 0,8% rispetto allo scorso anno) ha, in parte, stemperato gli animi.
Con un bilancio di poco inferiore ai 9 milioni di euro, chiuso in pareggio nel 2014 e con buone prospettive anche per il 2015, lo Stabile riceve altri 3,4 milioni di euro dai soci pubblici. Fino a poco tempo fa le realtà erano tre: Comune (60%), Provincia e Regione (20% a testa). Con lo scioglimento dell’ente intermedio, le quote sono state equamente distribuite tra Tursi e via Fieschi: così, all’ente amministrato da Doria tocca ora coprire il 70% mentre il restante 30% è onere di Toti. «Il primo impatto con la nuova amministrazione regionale – dice il direttore Pastore – è stato positivo e ho molta fiducia nel neo assessore Cavo. Anche con il Comune abbiamo un dialogo aperto ma la situazione economica è molto più complicata».
Più di metà dei fondi a disposizione dello Stabile ha provenienza pubblica. Il 25-30%, invece, arriva dalla bigliettazione. E sono ottime le notizie circa la prevendita per la imminente stagione che si è chiusa con oltre 2500 abbonati. Poi ci sono le Fondazioni: soprattutto la Compagnia di San Paolo e, con qualche difficoltà in più, Carige, che per quest’anno ha tagliato 300 mila euro. Seguono altri sponsor privati, pubblicità a vario titolo e i sostegni di cittadini e associazioni sul modello dei grandi teatri europei come il Piccolo di Milano o l’Odeon di Parigi con la possibilità di diversi sostegni economici a seconda del titolo di simpatizzanti, amici o sostenitori.
ci muoviamo in un contesto di crisi diffusa, con un Fondo unico per lo spettacolo che da metà degli anni ’80 a oggi è passato da 1000 miliardi di lire a 400 milioni di euro: insomma, nel 1986 non lo sapevamo ma eravamo ricchi»
Sul fronte spese, neanche a dirlo, le voci più importanti riguardano il personale, la gestione delle sale, la produzione interna e l’ospitalità delle compagnie che mettono in scena i propri spettacoli alla Corte o al Duse. «L’obiettivo è stare aperti il più possibile perché, secondo la vecchia idea del teatro pubblico, un teatro vive solo se sta aperto» è l’idea di Pastore. Per la stagione 2015-16 sono previste 224 alzate di sipario in abbonamento con, forse per la prima volta quantomeno in anni recenti, più recite di produzione che ospitalità: «Ma tra rassegne, scuola di recitazione e saggi supereremo le 300» assicura Pastore.
Quindi, pazienza se la riforma Franceschini, almeno per il momento, ha “declassato” lo Stabile a “Tric”. «Noi – sostiene il direttore – cercheremo comunque di stare all’interno dei parametri previsti per i teatri nazionali perché il nostro progetto è quello di un teatro nazionale. Per questo chiediamo ai soci (Comune e Regione, ndr) di continuare a contribuire come sempre, cercando di coprire anche la parte un tempo spettante alla Provincia».
Certo, per “guadagnarsi” gli oltre 5 milioni di fondi pubblici anche il Teatro dovrà metterci del suo con razionalizzazioni interne e sale sempre più piene. «L’affetto che i genovesi continuano a mostrarci – dice Pastore, facendo riferimento al buon successo della prevendita per la prossima stagione – rappresenta una sorta di dovere a perseverare nella nostra attività. Noi lottiamo e dobbiamo sbatterci per avere più entrate ma non possiamo dimenticarci che ci muoviamo in un contesto di crisi diffusa, con un Fondo unico per lo spettacolo che da metà degli anni ’80 a oggi è passato da 1000 miliardi di lire a 400 milioni di euro: insomma, nel 1986 non lo sapevamo ma eravamo ricchi».
Simone D’Ambrosio