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Primi giorni di febbraio: la Candelora e le fiaccole dell’antica Roma

Le "calende di Februarius" e la Cendelora cristiana, i primi giorni di febbraio all'insegna delle leggende e delle candele accese


1 febbraio 2012Notizie

“A-a Madonna da Candelora de l’inverno ne semmo fora ma a cieuve e a nevà quaranta giorni han ancon da passà”: così recita il proverbio genovese, un intreccio di sacro e profano che associa il rito religioso ai vaticini sulla stagione ventura e che ci riportano agli antichi riti pagani che si celebravano a Roma il con l’avvento di febbraio.

Per le calende di febbraio (primo giorno di ogni mese e toponimo da cui deriva calendario) si officiavano le feste in onore di Cerere (Demetra per i greci), dea della fertilità e delle messi, madre di quella Proserpina, rapita da Plutone, dio dell’Oltretomba, che la madre, disperata, aveva cercato a lungo alla luce delle fiaccole, le stesse che venivano ostentate nelle lunghe processioni lungo le vie dell’urbe romana. Da qui deriverebbe la Candelora cristiana (festum candelorum) ovvero l’usanza dell’accensione delle candele il 2 febbraio. 

La leggenda narra, nel suo proseguo, che, per l’ira, la dea della fertilità decise di rendere sterile la terra (autunno-inverno), tornando a farla rifiorire soltanto quando, per concessione degli dei, la figlia poteva ritornare alla luce del sole (primavera-estate), con un’alternanza ciclica che ci da ragione del susseguirsi delle stagioni.

Sempre legato alla fertilità, era il rito irlandese di Imbolc (o anche Oimelc), nella cultura celtica, la cui etimologia “latte ovino” stava ad indicare il periodo della nascita degli agnelli e quindi da interpretare come tempo di fecondità.

Più vicine, per significato, alla tradizione cristiana erano le celebrazioni in onore della dea Februa (espiazione) o Iuno Febrata (Giunone), madre di Marte dio della guerra, dea deputata a presiedere ai riti di purificazione a cui si sottoponevano le donne dopo il parto. Secondo un’altra versione, infatti, nel giorno delle “calende di Februarius” (da februus = purificante), ultimo mese dell’anno, il cui nome deriva dalla dea omonima, si portavano per le vie della città “ i Ceri di Februa” per tenere lontano le negatività . Non solo, era il mese dedicato ai riti funebri dei Mani (gli antenati), celebrazione spostata a novembre nel calendario cristiano, e si tenevano, in coincidenza con le Idi (13° giorno del mese), i Lupercalia, in onore del dio Fauno Lupercus (protettore del bestiame) o, secondo Dionisio di Alicarnasso, in ricordo della lupa nutrice di Romolo e Remo.

Era usanza che i Luperci (sacerdoti) andassero per le strade con corregge, ricavate dalla pelle degli animali sacrificati, e percuotessero gli uomini in segno di penitenza o toccassero le donne per dar loro fertilità. Quest’ultimo significato, è da ricercare nella leggenda secondo la quale la dea Giunone Lucina (o Lucezia) aveva reso feconde le Sabine, incapaci di procreare dopo il ratto, suggerendo all’auspice di toccarle con benderelle di pelle (februa o amiculum Iunonis), ricavate dalla pelle di un “becco” (caprone) a lei immolato.

Con l’avvento del Cristianesimo, Papa Gelasio I, durante il suo episcopato (tra il 492 e il 496 d.C.), ottenne dal Senato l’abolizione dei Lupercali mentre già con Papa Silvestro I (?-335), si attribuì alla festa l’attuale significato cristiano in ricordo della presentazione di Maria al tempio, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, periodo in cui, secondo la religione ebraica, la donna era considerata impura.

Degli antichi rituali si conserva, nella tradizione popolare, questa aspettativa di ritorno della bella stagione, estrinsecata dai numerosi proverbi che vengono recitati in ogni cadenza dialettale. Accanto a quelli più classici, di chiaro riferimento “meteorologico”, varianti curiose sono quelle riferite al comportamento degli animali. Abbiamo così “Se l’ors à la Siriola la paia al fa soà ant l’invern tornom a antrà (se l’orso si rigira nel giaciglio alla Candelora e continua a dormire, si torna a soffrire il freddo,) simile al piemontese “se l’ouers fai secha soun ni per caranto giouern a sort papì” (se l’orso fa seccare il suo nido, per 40 giorni non esce più), ma anche lupi, leoni od uccelli, galline partecipano a questi ritornelli. In Inghilterra hanno scomodato, pure, il riccio (hedgehog) e in America, privi di questi graziosi animaletti, hanno istituito il giorno della marmotta (groundhog). Ed infine, per concludere… fuori, nevica!

Adriana Morando


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