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L’eredità collettiva e il dialogo con la “Città di Sotto”. Il ricordo di Don Andrea Gallo a quattro anni dalla scomparsa

A quattro anni dalla scomparsa, la figura "del Gallo"è ancora un riferimento importante per Genova. Ma cosa è cambiato? Ne abbiamo parlato con "Megu" Chionetti


22 maggio 2017Notizie

don-gallo-sulla-cattiva-stradaIl 22 maggio 2013 si spegneva uno dei più discussi personaggi della nostra città, il prete di strada Don Andrea Gallo. A quattro anni da quella data il mondo è molto cambiato, e Genova di conseguenza. Abbiamo chiesto a Domenico “Megu” Chionetti, storico portavoce del don, e oggi figura di riferimento della Comunità di San Benedetto al Porto

Come è cambiata in questi anni la città senza il Gallo?
«Credo che la città, le città, oggi sono un po’ lo specchio del paese alle prese con una dimensione più globale: la città cambia nel suo essere attraversata da molti flussi che la rendono sempre più meticcia. Sicuramente Genova è una città che deve saper dare nuove nazionalità e nuove cittadinanze: questo elemento, quello demografico, è sicuramente l’elemento più grande. Oggi mancano molti punti di riferimento come Don gallo ha saputo essere. Sempre più vedo una sorta di frammentazione e di disgregazione sociale: quando si ha la pancia vuota, si rischia di essere meno ragionevoli e solidali, e il rischio è quello di intraprendere “guerre tra poveri”, quando invece l’integrazione è la migliore risposta alla paura, ai terrorismi. Il Don ha fatto sempre appelli a essere uomini di pace, sempre.

La risposta delle istituzioni, però, sembra andare in un’altra direzione, basti pensare ai nuovi potere di controllo previsti dal decreto Minniti…
«Il problema è ancora quello di superare la Bossi-Fini, non dimentichiamolo: questa legge, che produce a tavolino illegalità, è una legge che non ha risolto il problema, anzi. Il decreto Minniti mi ricorda la Fini-Giovanardi sulla droga: tentativi di creare consenso, attraverso una percezione di sicurezza, che poi non sussiste. Ma non è solo colpa dell’Italia: il nostro paese rappresenta le frontiere meridionali dell’Europa e l’accoglienza deve essere un problema europeo. Le accuse alle Ong di questi giorni sono discussioni distorte che creano imbestialimento civile. Una persona come Don Gallo certo oggi manca, perché riusciva a scuotere le coscenze e a muovere riflessioni, su temi concreti e pratici».

Tornando a Genova, Don Gallo è stato per anni il garante di un accordo tra Comune e Centri sociali, e da quando è mancato ci sono stati diversi sgomberi. Al di là del suo ruolo, come si può riaprire questo dialogo con la “città di sotto”, particolarmente minacciata in questi giorni di campagna elettorale?
«Spetterà all’intelligenza della Politica di capire la forza delle generazioni che si avvicendano e che vengono dal basso; se lo capiranno e lo metteranno a valore, sapendo riportare un dialogo, allora bene, altrimenti, con il mancato riconoscimento del lavoro che viene fatto dagli spazi sociali e dei movimenti nei luoghi e negli spazi della nostra città, e non solo, ne subiranno i conflitti e il dissenso».

Nel 2014 è stata dedicata una piazza Don Gallo, può bastare?
«Lui diceva sempre “non mi interessano i monumenti”.Credo che l’eredità di Don Gallo non sia solo nostra, la piazza ha avuto un valore simbolico, perché era una piazza senza nome al centro di un quartiere difficile; un po’ come il Don che ha dato nome a persone senza voce. Un gesto sicuramente simbolico, ma non è solo una questione di luoghi: l’eredità deve essere collettiva, non può essere solo della Comunità di San Benedetto, ma di tutta la società. Oggi ci sono molti testimoni, ognuno nel suo campo, da Gino Strada a Maurizio Landini, da Moni Ovadia a Vladimir Luxuria, da Don Vito Alvarez, che porta la testimonianza dell’accoglienza a Ventimiglia, ma anche a Carlin Petrini, che è stato capace di creare una rete di culture e saperi che si intrecciano».

Come sta la Comunità di San Benedetto a quattro anni senza il Don?
«La Comunità è in piedi, cammina, non senza fatica, senza dubbio, ma è viva. Ovvio che lo sforzo è grande, ma dobbiamo ringraziare tutte le persone che ci sostengono, dai media alle istituzioni, e le persone comuni. San Benedetto in questi anni ha saputo aprire l’accoglienza a 360 gradi, non solo per le dipendenze, e ha bisogno del 5 per mille per sopravvivere, ma della precarietà ne facciamo un valore. Cerchiamo di andare avanti, giorno per giorno».

 

Nicola Giordanella

 

 


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