Deadlock, gridlock, stalemate... ovvero stallo. L'atteggiamento della stampa anglosassone è il solito nei confronti dell’Italia, ovvero tra il divertito e il vagamente paternalistico
No time to wallow in the mire. “Non c’è tempo per sguazzare nel fango,” cantava il grande Jim Morrison in uno dei pezzi che hanno fatto la storia dei Doors e della musica in generale. A quanto pare, invece, nonostante le lancette corrano inesorabilmente, sembra che l’Italia politica debba continuare a crogiolarsi nel pantano. Questa perlomeno è l’analisi che emerge dai maggiori quotidiani italiani e, suppongo, dai telegiornali – dico “suppongo” perché come già avevo scritto da tempo mi rifiuto di informarmi tramite la tv.
Sfogliando le principali testate del mondo anglo-sassone, emerge un quadro analogo. Le parole che dominano gli articoli sulla politica italiana sono “deadlock”, “gridlock” e “stalemate”, vale a dire “stallo”. Il tono dei vari The Times, The Guardian, Washington Post, New York Times è il solito nei confronti dell’Italia, ovvero tra il divertito e il vagamente paternalistico. È vero, ragioni per cui farci prendere in giro dal mondo ne abbiamo molte, ma non sarebbe male se queste colonne della stampa mondiale iniziassero a vedere non solo la pagliuzza – o il covone di fieno – nell’occhio italiano e si sforzassero di vedere più chiaramente la trave nell’occhio britannico/statunitense, leggasi “fallimento del sistema economico e sociale capitalista imposto a tutto l’Occidente negli ultimi decenni”. L’American dream di cui abbiamo sentito parlare per anni si è infatti lentamente trasformato in un nightmare, cioè un incubo, e non è un caso che proprio da lì sia partita una crisi economica diffusasi a macchia d’olio a livello internazionale.
Tornando all’aspetto linguistico, la parola stalemate, in origine usata nel mondo degli scacchi e inserita invece nel contesto della politica, costituisce un esempio di metafora. Con essa si intende l’uso di parole ed espressioni legate a concetti “concreti” per comprendere e chiarire altri concetti più “astratti”. Quasi tutti hanno giocato almeno una volta nella vita a dama o a scacchi e sanno che cosa succede quando si arriva a una situazione di stallo. Il dominio concettuale della politica è invece più ingarbugliato e meno accessibile alla gente comune. Per questo motivo, per spiegare le situazioni che si creano nel contesto politico – più “astratto” – si ricorre ad analogie con situazioni della vita quotidiana, in questo caso una partita di scacchi, più “concrete”.
Avremo ancora modo di tornare sul ruolo fondamentale delle metafore: esse non solo rendono più comprensibile – o a volte più poetico – il nostro linguaggio, ma ci aiutano anche a comprendere a livello concettuale la realtà che ci circonda. Parole e pensieri sono strettamente collegati tra loro e ci portano ad agire in un senso piuttosto che in un altro. In sintesi, il nostro destino è il frutto di parole, pensieri e azioni. Iniziando a pensare in modo diverso e parlare in modo diverso, arriveremo anche ad agire in modo diverso.
Sforzandomi di avere un punto di vista meno superficiale rispetto ai nostri quotidiani, ritengo che ciò che è emerso da queste elezioni non sia affatto uno stallo. Non c’è stagnazione, non c’è wallowing in the mire. Al contrario, è emersa tanta voglia di cambiare le cose. Milioni di giovani si sono alzati per far ascoltare la propria voce, non considerata da tempo. Negli scacchi, dopo uno stalemate di solito si rigioca la partita e sono sicuro che la prossima volta il risultato sarà ben diverso: checkmate, scacco matto, con buona pace di chi voleva sguazzare ancora un po’ nella palude… Bye bye!
Daniele Canepa