Se gli ultimi tre giorni di gennaio sono i più freddi dell'anno la colpa è di una merla, così narrano le leggende...
Un vento gelido di tramontana che fischia insinuandosi tra le imposte (“ondata di freddo siberiano”, è stata definita: nulla di più vero), tetti imbiancati sulle prime propaggini dei monti che circondano Genova e previsioni metereologiche foriere di altre precipitazioni: rispettando gli antichi detti popolari, sono arrivati i giorni della merla.
Se qualcuno si era illuso che le tiepide temperature di un inverso anomalo ci potessero traghettare verso la bella stagione, senza farci tirare fuori dall’armadio guanti, sciarpe e berretti, è stato prontamente smentito. Questi giorni (29-30-31 per alcuni, 30-31-1° febbraio per altri) vengono, a buon diritto, considerati i più rigidi dell’anno e, per consuetudine, indicati come il “barometro” dei mesi a venire.
Se sono ”artici”, infatti, ci assicurano i ben informati, potremo godere di una mite stagione primaverile. Ma cosa c’entra la merla in tutto questo? Precisiamo subito che dovremmo dire ”merlo” perché, per il dismorfismo sessuale (differenza tra i generi), è il maschio ad avere un piumaggio più scuro ma la leggenda vuole che sia stata una femmina di tale volatile a rifugiarsi nella canna di un camino per riparare se e i suoi piccoli dal freddo intenso, sporcando di un nero perenne, il candido piumaggio della livrea originaria.
Esistono tante varianti di questa favola, alcune dall’esito “noir”, ma due, in particolare, ci fornirebbero anche la spiegazione del perché febbraio è il mese più corto. La nivea merla di cui sopra, stufa delle angherie di cui era oggetto da parte di gennaio che, col suo gelo, le impediva di uscire dal nido, decise di farsi una bella provvista di cibo e di mettere il becco fuori solo agli inizi del mese successivo. Gennaio, indispettito dallo scaltro raggiro, si fece regalare dal Febbraio i suoi primi 3 giorni, sorprendendo il povero volatile uscito con la sicurezza di trovare un tiepido sole e al quale non rimase che riparare in tutta fretta nel camino, con le conseguenze di cui sopra.
Una versione quasi simile narra di un merlo convinto di aver ingannato Gennaio con analogo stratagemma e, lasciato il caldo nido, avesse esclamasse “Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno!”, il cui borioso atteggiamento fu punito, immediatamente, con l’acquisizione di quei fatidici 3 giorni e solito finale, una leggenda parafrasata da Dante, nel XIII canto del Purgatorio, con il verso “Ormai più non ti temo!”, come fé ‘l merlo per poca bonaccia”.
Le uniche tracce di una qualche verità storica le possiamo riferire alla riforma del calendario romano ad opera di Numa Pompilio ( 713 a.C.), in cui i due primi mesi dell’anno vennero aggiunti ai 10 già preesistenti, attribuendo a gennaio (dal dio Giano=Ianuarius) un computo di 29 giorni, portati a 31 solo successivamente.
Anche la religione annovera due varianti di questo detto popolare: un’eroica merla si sarebbe sacrifica bevendo il latte di Gesù, avvelenato dal fiele, ricevendone in cambio, dopo 3 giorni di patimenti, un clima più mite per una più rapida guarigione; una seconda stesura racconta come un servo di Erode avesse catturato il pennuto insieme ai suoi piccoli e se li volesse mangiare. Il disperato padre dopo aver raccolto una provvida pagliuzza, strappata dalla culla del Signore, l’avrebbe lasciata cadere sugli implumi che, acquisita l’immediata capacità di volare, si sarebbero messi in salvo con una precipitosa fuga.
Meno nobile ma sicuramente efficace, fu il freddo che fece ghiacciare le acque del Po e permise a una cotal nobile signora di Caravaggio, nominata De Merli, di raggiungere l’amato per l’agognato matrimonio o l’analogo espediente usato per traghettare, sullo stesso fiume, un pesante cannone denominato “La Merla”. La spiegazione di un tale motto, forse, molto più semplicemente, è da ricercare nelle buie serate invernali, quando la terra, stretta nella morsa del gelo, fermava il lavoro dei contadini e permetteva loro momenti di aggregazione intorno al caldo di vecchie stufe o scoppiettanti camini e dove l’allegria era assicurata da novelle beneauguranti, da festosi canti e qualche libagione di troppo.
Gli stessi fuochi e canti rituali che si celebravano nelle ancestrali comunità rurali come omaggio propiziatorio per il futuro raccolto, similmente a quanto accade nella rievocazione dei” Canti della Merla” lombardi in cui la Merla, una fanciulla del luogo, sale su una catasta di fascine ed inizia una serie di cori a cui rispondono gli astanti, in una sorta di “predizione” per la futura stagione agraria. Certo che, se c’è qualcosa di vero nella saggezza popolare, dovrò spiegare ai miei gerani, fioriti inaspettatamente in pieno dicembre, che possono tornare a dormire sereni perché, stante la tradizione, è in arrivo una limpida, tiepida, prossima Primaveraaaaaa
Adriana Morando