Mentre il processo di ingresso di Iren in Amiu sembrava giunto alla battute finali, una società sarda ha provato a scompaginare le carte in tavola. Era Superba ha colto l’occasione per fare il punto sull’attuazione del ‘nuovo’ piano industriale della partecipata e sul futuro assetto societario
E’ già iniziata la primavera per il ciclo dei rifiuti genovesi che in questi giorni si gioca una fetta decisiva del proprio futuro. Mentre il mese scorso Amiu aveva annunciato l’avvio in autotutela delle opere preparatorie alla copertura (in gergo, capping) e messa definitivamente in sicurezza delle aree di Scarpino 1 e 2, il 2 marzo si è riunita la prima seduta della Conferenza dei servizi che dovrebbe dare il via libera anche alla riapertura della discarica genovese e ai lavori per la preparazione della nuova area di Scarpino 3 che sarà una cosiddetta “discarica di servizio”. Qui verrà costruita parte degli impianti per una gestione avanzata del ciclo dei rifiuti prevista dal nuovo piano industriale Amiu, redatto già a partire dal 2014, e verrà abbancata quella parte dei rifiuti residui a fine ciclo che dovrebbe essere sempre più marginale.
E’ noto che sul per dare vita a tutte queste innovazioni la partecipata al 100% di Tursi abbia bisogno di un partner industriale che investa il necessario per realizzare gli impianti, il cui carico non può ricadere sulle bollette dei genovesi che già dovranno affrontare nei prossimi anni i maggiori costi dovuti al trasporto dei rifiuti fuori Regione nell’ultimo anno e mezzo di chiusura di Scarpino. Ed è qui che arriva il grande interesse di Iren che, nelle forme di un aumento di capitale, potrebbe rilevare anche la maggioranza di Amiu. Ma, nelle ultime settimane, benché il Comune di Genova prosegua deciso verso questa ipotesi che potrebbe anche concretizzarsi senza una vera e propria gara, si sono fatti avanti altri soggetti interessati all’operazione, come l’imprenditore Giovanni Calabrò (già noto in città per possibili operazioni calcistiche e imprenditorial-commerciali) e, soprattutto, una società sarda, Mefin, con due misteriose multinazionali alle spalle.
Sono tre le principali linee impiantistiche di sviluppo su cui Amiu sta lavorando: la prima riguarda la separazione della frazione secca da quella umida di tutto ciò che gettiamo nei cassonetti dell’indifferenziata, attraverso un progetto depositato ad aprile scorso presso le istituzioni e di cui l’azienda è in attesa di approvazione. Un passo fondamentale per non conferire più in discarica la parte putrescibile dell’indifferenziato che dovrà invece essere inviata ad appositi impianti di biodigestione (da non confondere con il biodigestore per l’umido di qualità, ovvero quello ottenuto dalla raccolta differenziata dei cassonetti marroni), al momento anch’essi fuori regione.
Il secondo filone riguarda quella che nel gergo viene definita “fabbrica della materia”, ossia un impianto che andrà a recuperare dalla frazione secca residua, elementi di carta, plastica, vetro e metalli che possono ancora essere valorizzati: questo impianto dovrebbe sorgere nell’ex area Amt di Genova Campi, per cui a breve dovrebbe concludersi il passaggio di proprietà tra le partecipate dell’amministrazione comunale della Lanterna.
Il terzo filone riguarda una sensibile accelerata sul sistema di raccolta differenziata: «A Genova – spiegava il mese scorso alla ‘Dire’ il presidente di Amiu, Marco Castagna – attualmente veleggiamo attorno al 39% ma entro marzo vedrà la luce un nuovo piano studiato anche grazie al contributo del Conai (Consorzio nazionale imballaggi)». Legato a questo tema, c’è anche la realizzazione del biodigestore per l’umido di qualità del Comune capoluogo: qui i ritardi sono più elevati e riguardano sia la scelta tecnica dell’impianto più adeguato sia la sua futura collocazione. «Stiamo cercando di superare il ritardo impiantistico nel più breve tempo possibile – commenta Castagna – ma scontiamo un’arretratezza di diversi anni. L’obiettivo è far presto sperando anche che i cittadini superino la classica ‘sindrome nimby’ (‘not in my backyard’, letteralmente ‘non nel mio cortile’, ndr) e comprendano che questi impianti sono fondamentali anche per pagare meno tasse sui rifiuti. Gli attuali costi elevati dipendono in massima parte dal fatto che non avendo le strutture adeguate dobbiamo smaltire il materiale fuori regione».
Ma, secondo le associazioni ambientaliste, oltre all’umido non si deve dimenticare neppure la raccolta dei materiali che già vengono conferiti in maniera differenziata, come carta, plastica e lattine il cui processo di trattamento al momento risulterebbe saturo, e come il vetro, che deve essere conferito fuori regione al pari dell’umido.
Nel frattempo si dovrà anche pensare a come impiegare il biogas prodotto dai biodigestori e, soprattutto, che cosa fare del materiale residuato dai processi di riciclo e riuso. Ma quando si arriverà a discutere nel concreto di questo, la realizzazione del piano industriale sarà già a buon punto.
Come si diceva, per realizzare i nuovi impianti servono denari freschi. Denari che, secondo quanto previsto da una delibera approvata con fuoco e fiamme dal Comune di Genova, dovrebbero essere garantiti da un partener industriale di Amiu. Negli ultimi mesi, questo partner sta sempre più prendendo le fattezze di Iren (la multiutility con quote possedute tra l’altro dai Comuni di Genova, Torino, Reggio Emilia, Parma e Piacenza), nonostante l’opposizione della sinistra genovese (in parte anche “di governo” con Sel e Lista Doria) preoccupata per una possibile privatizzazione mascherata anche della gestione dei rifiuti in città. Un timore confermato anche dal fatto che da una partecipazione di minoranza, l’ingresso della multiutility si sta trasformando, almeno secondo le voci dei soliti bene informati, in un forte aumento di capitale che consentirebbe a Iren di entrare in possesso della maggioranza di Amiu, proprio per le ingenti necessità di liquidità della partecipata.
Secondo i fautori dell’ingresso di Iren, l’operazione potrebbe avvenire senza gara ma più semplicemente con “procedure di trasparenza a evidenza pubblica” seguendo la strada già imboccata da A2A, multiutility bresciana, sfruttando la possibilità data dai decreti governativi di aggregare società riferite allo stesso azionista. Certo, l’aggregazione dovrebbe rispettare alcuni requisiti fondamentali che, a detta del Comune, potrebbero essere garantiti ad esempio dalla necessità di non separare Scarpino dal processo di gestione del ciclo delle acque, già di competenza di Mediterranea delle Acque, controllata proprio da Iren.
Iren o non Iren, il Comune deve decidere in fretta perché, una volta trovati i fondi, gli impianti non si realizzano certo con la bacchetta magica.
Simone D’Ambrosio