Fino al 9 marzo il museo ospita in mostra gli scatti di Fabio Parisi, ufficiale di Marina Mercantile che ha fotografato, durante i suoi viaggi in mare, momenti di quotidianità della vita di bordo. Una mostra coinvolgente e ricca di fascino
Genova città di mercanti, Genova città di marinai. Ma i genovesi davvero conoscono il mare, il porto, i mestieri ad esso legati e la realtà che vi gravita attorno? Probabilmente no. Attualmente quale genovese, ad esclusione degli addetti ai lavori, saprebbe davvero descrivere cosa succede in una giornata di lavoro in porto o su una nave? Il rapporto tra la città e il mare, anticamente così naturale, è stato interrotto dalle trasformazioni del progresso, e la maggior parte di noi verosimilmente non sa proprio nulla della vita di un marinaio dei nostri giorni.
Ecco un’occasione per conoscerne e capirne qualcosa di più: il Mu.Ma Galata Museo del Mare ospita fino al 9 marzo la mostra fotografica “Animanauta”, una collezione di immagini scattate da Fabio Parisi, ufficiale di coperta della Marina Mercantile e fotografo. Il mare, insomma, visto attraverso gli occhi di chi quella realtà la conosce, la vive, la respira tutti i giorni e, trovandosi ad avere una propensione innata per l’espressione artistica, cerca di rendere le tante sfaccettature di quella realtà con una macchina fotografica in mano, nonostante «sia molto difficile descrivere e sintetizzare un mondo così complesso e articolato che oltretutto è distantissimo, sia in senso fisico che figurato, dalla vita di terra, e per quanto da anni ci si arrovelli nel cercare una riposta esaustiva, questa non si è ancora trovata».
Dedicatosi per diverso tempo interamente alla musica, Fabio, classe ’79, ha iniziato ad avvicinarsi alla fotografia nel 2004: «nello scatto vedevo la possibilità di ampliare la mia espressività. Le navi sono arrivate qualche anno dopo. Il concept Animanauta ha iniziato a prendere forma nel 2011».
Le foto, scattate per lo più in navigazione tra Oceano Indiano, Mediterraneo, Atlantico e Caraibi, presentano un comune denominatore che conduce il visitatore attraverso l’esposizione: una dominante rossa molto accesa (tramonti, fianchi delle navi…) che si contrappone a fondi plumbei, metallici, con un effetto meravigliosamente stridente.
«Come in un concept album (vedi The Wall dei Pink Floyd tanto per citarne uno a caso) c’è sempre un filo conduttore che lega tutte le canzoni, per Animanauta ho seguito la stessa logica: volevo che ci fosse un filo conduttore che legasse le foto tra di loro. Quando scatto non parto con un’idea precisa, ho un approccio assolutamente istintivo e non credo che potrebbe essere altrimenti. Nella postproduzione invece vengono fuori tutte quelle azioni necessarie ad esaltare le emozioni catturate negli scatti e quello è sicuramente un lavoro più razionale e tecnico».
L’essenza del lavoro della Marina Mercantile è «il trasporto di merci e persone da un punto all’altro del globo. Questo trasporto avviene per mezzo di giganteschi vettori: le navi». Il ruolo che Fabio ricopre è carico di responsabilità tavolta, come ammette lui stesso, pesanti e scomode: «L’ufficiale è il responsabile della vita dei membri dell’equipaggio, della nave e del suo carico nonché dell’ecosistema marino. Nello specifico delle mie competenze, ad oggi sono stato delegato alle pianificazioni dei viaggi in tutti i suoi aspetti, quindi tracciare e calcolare le rotte di volta in volta più sicure e convenienti; la preparazione dei documenti necessari per arrivi e partenze dai vari porti e infine la tenuta della farmacia e dell’ospedale di bordo. Attualmente lavoro su navi reefer che portano ananas e banane; andiamo a prendere i carichi in centro america, nei caraibi e le portiamo in Europa. Il viaggio dura 28 giorni e normalmente faccio 3 viaggi a bordo e tre a casa».
Nella vita quotidiana a bordo i ritmi sono scanditi «dalla tenuta di guardia sul ponte, dove convergono tutti i sistemi di monitoraggio della nave e della navigazione (dai radar ai pannelli d’allarme antincendio). In porto si seguono le operazioni commerciali». Ed è proprio nello spazio limitato della nave che «vive un microcosmo con ruoli e deleghe precise. Ogni componente dell’equipaggio, dal comandante al mozzo, lavora nel comune intento di portare a termine con successo quella che ancor oggi viene chiamata “spedizione”».
Un termine scelto non a caso, che già da solo evoca difficoltà, distanze, intemperie, fatica, dedizione, coraggio. Tutte cose che emergono nei primissimi piani su mani e braccia di uomini al lavoro, con una preferenza per i dettagli che tralascia il volto e concentra tutta l’attenzione sul gesto, astraendolo in qualche modo dal contesto e rendendolo simbolo universale del fatto che il lavoro reca con sé fatica, una fatica nobile, carica di dignità e di una bellezza che si riflette direttamente nelle immagini. Chiunque può immedesimarsi in quelle mani al lavoro, eppure Fabio assicura «non pensavo a quello mentre scattavo. Ero semplicemente affascinato dall’arte marinaresca dei miei colleghi. Fondamentalmente le foto hanno immortalato ciò che in quei momenti attirava la mia attenzione e mi emozionava. È comunque molto gratificante quando una foto (così come una canzone o un quadro) attiva qualcosa nel cervello delle persone, al di là di ciò che passava per la testa dell’esecutore».
Anche per questo le immagini sono mute per scelta dell’autore, che non ha voluto apporre alcuna didascalia: «per quanto aiutino l’autore a portare i terzi nella direzione della sua opera, vincolano o condizionano l’interpretazione che una persona può dare o non dare». Ciò detto, l’intenzione principale era quella di trasmettere «rispetto e ammirazione per i colleghi e per il loro lavoro».
Posto che il fotografo deve avere la capacità di creare un filo di contatto con il soggetto ritratto, le foto suggeriscono un legame più forte del solito, questo perché gli uomini immortalati, intenti a svolgere «per lo più lavori di manutenzione ordinaria, atti a mantenere la nave entro determinati standard di sicurezza ed operatività» sono persone con cui l’autore lavora, con cui quindi esiste grande confidenza. Va ricordato infatti che il mestiere implica la convivenza sulla nave per mesi e la condivisione quindi di ogni momento della giornata: «Non avrei mai potuto fare un lavoro del genere se alla base del rapporto che ho instaurato con alcuni miei colleghi non ci fosse stato un forte rispetto per loro come individui e poi come naviganti. Va anche detto che non imbarco come fotografo, a bordo sono prima di tutto uno che lavora. Confesso che mi piacerebbe fare un imbarco in cui mi dedico fisicamente e mentalmente solo a raccontare con foto, video e musica quello che succede a bordo, ma d’altro canto credo che come “estraneo” potrei non entrare in sintonia con le persone».
Come ultima cosa, Fabio ci racconta un aneddoto carico di poesia sull’origine del titolo della mostra: «Quando ho iniziato a capire che il “progetto” si stava concretizzando ho avuto la necessità di dargli un nome. Dopo parecchio tempo a pensare ad un degno titolo, e quasi deciso a rinunciare, un anziano bevitore mi disse che avrei dovuto usare qualcosa di molto semplice come “vita da marinai”. Ovviamente non mi piaceva affatto, ma mi ha dato lo spunto per andare a vedere che “suono” potesse avere in altre lingue… in latino anima vuol dire “vita” e nauta “marinaio”: Animanauta altro non è che vita da marinaio. Mi piace molto, lo trovo forte, intenso e ampio».
Claudia Baghino