Aree agricole e orti urbani, una opportunità di rilancio per la città? Nuove regole per l’assegnazione di terreni pubblici e maggiore tutela del territorio. Intanto, la Regione lancia l’iniziativa “Banca della Terra”. L'inchiesta integrale sul numero #58 di Era Superba
Per fare il quadro generale delle normative che regolamenteranno nei prossimi anni l’accesso alla terra e il suo utilizzo, dobbiamo avventurarci fra le pieghe non semplici del nuovo Piano Urbanistico. Le aree entro i confini genovesi che il Puc (Piano Urbanistico Comunale) definisce “agricole” o di “protezione ambientale” si estendono per circa 13 mila ettari. Zone in cui solo gli agricoltori possono fare interventi edilizi e che corrispondo ad una parte preponderante del territorio comunale. Tuttavia, se si escludono le aree dedicate alla pastorizia e alla silvicoltura, nelle aree di protezione ambientale è in realtà molto difficile introdurre un’attività agricola in grado di mantenere una famiglia. Ecco, allora, comparire nel Puc le aree propriamente definite “agricole”. «Si tratta delle zone – spiega il vicesindaco Stefano Bernini – in cui abbiamo già verificato l’esistenza di un’attività di questo genere o che, sulla base di un’analisi georeferenziata, vi si possono prestare per qualità del terreno, esposizione, tipo di pendio, estensione. In questa seconda categoria è permessa attività residenziale solo ai contadini professionali, a quelli cioè che rispecchiano le caratteristiche previste dalla classificazione regionale».
Fin qui, dunque, sembrerebbe esserci poco margine di manovra per chi si dà all’agricoltura solo per passione o, stretto dalla morsa della crisi e della disoccupazione, vorrebbe improvvisarsi contadino per provvedere autonomamente al proprio sostentamento alimentare.
Per venire incontro a chi ha riscoperto un’innata passione per la vita nei campi, troviamo le aree di “presidio ambientale”, piccoli polmoni incastrati tra le aree agricole vere e proprie e il limitare della città. «Con queste aree – continua nella sua illustrazione il vicesindaco nonché assessore all’Urbanistica – proviamo a rispondere alla nuova tendenza di andare a vivere in campagna per essere circondati dal verde e avere a disposizione un piccolo terreno, orto, vigna, in cui realizzare una produzione agricola propria. Si tratta di zone cuscinetto, in cui l’attività edilizia sempre legata a quella agricola è fortemente limitata». Non si tratta di un’invenzione del nuovo Piano urbanistico perché questi spazi erano già previsti nel Piano regolatore di Sansa e, seppure con maglie più larghe, anche in quello licenziato dalla giunta Vincenzi. Tali presidi ambientali saranno di due tipologie, a seconda delle concessioni edilizie previste. La prima categoria, più “permissiva”, consentirà di realizzare in ogni terreno anche l’0,01% di abitativo: ciò significa che per costruire una casa di 100 metri quadrati, sarà necessario avere terre almeno per 10 mila mq. Più restrittiva, invece, la seconda categoria: qui l’abitativo concesso scende allo 0,005%, ossia ogni 50 mila metri quadrati di terreno è possibile realizzare una casa di 100 metri quadrati. E per arrivare a 200 mq di costruzioni edilizie si dovrà possedere una certificazione di avvenuto abbattimento di altri fabbricati.
Ma finiscono veramente qui le possibilità di intervento edilizio nelle aree verdi, più o meno protette? No, non siamo stati di colpo catapultati nel magico mondo di Oz. Resiste, ad esempio, la norma che consente di ricostruire rustici diroccati e che può dare il via libera a piccole speculazioni edilizie. «Chi recupera vecchi rustici con la logica della ricostruzione storica del manufatto – illustra il vicesindaco – ha la possibilità di costruire l’equivalente in termine volumetrico in un nuovo edificio in area limitrofa». In altre parole: nel tuo terreno c’è un fienile diroccato? Se lo ricostruisci, ridando al paesaggio il suo aspetto originario, potrai ampliare la tua casa degli stessi volumi che hai restaurato.
Ci concentriamo ora sugli spazi verdi pubblici che cercano di farsi largo tra asfalto e cemento: gli orti urbani, ovvero quegli appezzamenti di terreno che si insidiano nei sempre troppo pochi spazi verdi nel cuore della città e che possono essere assegnati in concessione ad alcuni cittadini per la realizzazione di piccole coltivazioni. Con picchi particolarmente consistenti nei Municipi Medio Ponente, Ponente e Valpolcevera, Genova ha superato la quota di 310 orti urbani ed è in fase di approvazione il nuovo regolamento cittadino che dovrebbe consentire, da un lato di ampliare questi spazi a disposizione nei vari Municipi, dall’altro di renderli accessibili a una fetta più larga della popolazione. La regia di questi spazi e dei relativi bandi per l’assegnazione resterebbe sempre in mano ai Municipi, ma il Comune tiene a sottolineare la strategicità dell’orto urbano nella visione cittadina del Verde: con il nuovo regolamento, i Municipi avranno la possibilità di assegnare gli spazi a fasce più ampie della popolazione, senza dimenticare il valore di progetti sperimentali come gli orti didattici o gli orti innovativi. La richiesta dell’utilizzo di orti urbani pubblici è, infatti, in continua crescita.
È tuttavia importante sottolineare che gli appezzamenti disponibili nei 9 Municipi non sono sufficienti a soddisfare una domanda sempre più crescente grazie un ritrovato amore per la natura e un senso di attaccamento al territorio dovuto anche alla tenaglia della crisi economica che ci massacra da anni. «Quando si è pensato di creare queste realtà – ricorda l’assessore ai Lavori Pubblici Gianni Crivello – ci si era rivolti soprattutto alla terza età e ai pensionati. Ora il target è radicalmente cambiato. Per questo motivo, con il nuovo regolamento, cercheremo di coinvolgere fette più ampie delle cittadinanza, abbassando i limiti di età e puntando a categorie sociali particolarmente disagiate come potrebbe essere quella dei cassintegrati».
Più spazio sembra esserci anche per i giovani, soprattutto under 30. Nel nuovo regolamento, per l’assegnazione dei terreni ad uso orto urbano, in risposta ai bandi lanciati dai Municipi, i richiedenti devono essere in possesso di domicilio nel Comune di Genova, non disporre nel territorio comunale di fondi di proprietà o appartenenti a familiari conviventi destinati alla coltivazione, provvedere personalmente alla coltivazione dell’appezzamento assegnato, non aver avuto condanne penali per reati contro l’ambiente. Le graduatorie per l’assegnazione vengono predisposte tenendo presente una serie di criteri di priorità come reddito, età del richiedente favorendo le fasce superiori ai 65 anni e inferiori ai 30, eventuale situazione di disabilità del richiedente o di persona appartenente nucleo famigliare, residenza nel Municipio in cui si trova l’orto urbano, numero di componenti il nucleo familiare.
Il passo successivo deve neccessariamente essere quello di moltiplicare le terre a disposizione, puntando forte su spazi come la Valletta Carbonara, le pendici della collina degli Erzelli, Ca’ di Ventura in Valbisagno, alcuni spazi a Teglia che potrebbero essere resi disponibili in seguito a nuove operazioni edilizie e relativi oneri di urbanizzazione. Ma non si tratta di una questione che può essere risolta solo attraverso la pianificazione urbanistica e le norme di carattere generale inserite nel nuovo Puc.
La Banca della Terra è un espediente attraverso cui la Regione Liguria sta cercando di aumentare la superficie destinata all’agricoltura recuperando aree agricole e forestali abbandonate, incolte o sottoutilizzate, il cui stato di degrado rappresenta, tra l’altro, un grande fattore di rischio per l’integrità del territorio. Più nel dettaglio, si tratta di una banca dati nella quale i proprietari mettono a disposizione i propri terreni a chiunque li voglia acquistare o affittare. La Regione funziona da tramite e facilitatore e, nell’ultimo anno, ha investito 800 mila euro come contributi all’acquisto di nuovi terreni da parte di operatori agricoli.
«Partiamo da tanti terreni pubblici – spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Giovanni Barbagallo – grazie ad esempio alla collaborazione del Comune di Genova che metterà a disposizione una serie di terre non strategiche per funzioni comunali. Ma iniziano ad arrivare segnalazioni di terreni di privati: particolarmente interessanti sono i terreni abbandonati e dismessi perché non più utili alle aziende o perché pericolosi per l’incolumità delle stesse o del patrimonio pubblico». La banca regionale della terra, dunque, da un lato aiuta a livello finanziario gli operatori agricoli a iniziare o ampliare (il 70% delle aziende vitivinicole e vinicole regionali ha a disposizione meno un di ettaro di terreno) la propria attività, dall’altro aumenta la superficie utile agricola perché vincola le terre vendute o concesse a questa finalità. La Conferenza regionale dell’agricoltura, infatti, ha individuato tra i problemi più gravi proprio la diminuzione della superficie utile agricola che si è ridotta al 10% del territorio ligure: negli ultimi 60 anni abbiamo perso da Imperia a La Spezia l’80% di terreno agricolo mentre abbiamo assistito all’aumento della boscosità a monte (i terreni boschivi negli ultimi 120 anni sono aumentati del 60% a causa dell’imboschimento selvaggio di prati, pascoli e terrazzamenti abbandonati) e delle infrastrutture e del cemento a valle. «Abbiamo già fatto due bandi (a giugno e ottobre 2014, NdR) – dice con soddisfazione l’assessore – per cui sono giunte in Regione circa 130 domande per l’assegnazione di contributi agli imprenditori agricoli per l’acquisto di nuovi terreni».
Ma l’aspetto indubbiamente più interessante della Banca delle Terra, lato domanda, è che per accedervi non è necessario essere registrati come contadini professionali ma si aprono le porte a molti giovani disoccupati e inoccupati e a chiunque volesse sporcarsi le mani e tornare a sudare un po’ sulla terra. Per accedere ai finanziamenti regionali, tuttavia, è necessario costituirsi azienda agricola.
Sembrerebbe ancora una volta tutto perfetto, se non fosse che spesso a mancare sia proprio la disponibilità della terra da coltivare. «Se è vero che non ci sono masse plaudenti di persone che vogliono andare a lavorare faticosamente in campagna – ammette Barbagallo – è altrettanto vero che spesso gli interlocutori saltano fuori ma a mancare è la materia prima. È evidente come siano strategici in questo senso le intenzioni dei vari enti locali e dei relativi piani regolatori. Ovviamente ci devono essere delle scelte urbanistiche di programmazione ma non basta vincolare un terreno per far sì che diventi agricolo: bisogna coltivarlo e presidiarlo costantemente e per questo servono degli incentivi che, però, non mancano grazie ai 313 milioni del PSR. Ovvio che se gli enti locali iniziano a mettere a disposizione i propri terreni, cominciamo ad andare nella giusta direzione».
Simone D’Ambrosio
L’inchiesta integrale su Era Superba #58
“provvedere autonomamente al proprio sostentamento alimentare”
Il diritto fondamentale ed inalienabile di ogni essere vivente negato per legge.
carissimo vicesindaco io sono alla ricerca di un terreno di 4 HA per allevamento vorrei sapere se lei mi può aiutare attraverso la contorta burocrazia che discrimina le persone che hanno lavorato per 30 anni. attendo una sua risposta con fervore