Una gita alla scoperta dei castelli dell'antica via del sale in provincia di Genova: il castello Spinola di Isola del Cantone, il castello del Piano e il Castello della Pietra nel Parco dell'Antola
“E’ la Liguria una terra leggiadra.. ombra e sole s’alternano per quelle fondi valli che si celano al mare..”, così recita una poesia di Vincenzo Cardarelli in cui la dirupata orografia della nostra regione, selvaggia ed aspra ma ricca di bellezze naturali, dà conto di paesaggi unici, talora famosi come quelli delle 5 Terre, talora più nascosti che meritano di essere riscoperti insieme alla loro storia.
Quest’oggi vi proponiamo una gita fuori porta alla scoperta dei magnifici castelli lungo la via del sale fra i fiumi Vobbia e Scrivia, in provincia di Genova.
Si imbocca l’autostrada che, in un susseguirsi di curve, giunge ad Isola del Cantone, seguendo un percorso sulle tracce di quell’antica via del sale che dai Giovi giungeva nelle terre dette “Lingua Malaspina”. Da qui, si poteva raggiungere la Pianura Padana, dopo un congruo pedaggio, a fronte di una garanzia di sicurezza, attraverso le valli della Trebbia e quelle della Staffora, percorso obbligato da una legge del 1284 (“per ipsam stratam vallis Stafole et vallis Trebie”).
Queste terre appartenute, dal Medioevo, ai marchesi di Gavi furono teatri di scontri con la vicina Repubblica di Genova, contesa risolta, nel 1218, con l’assegnazione dei territori a sinistra del torrente Scrivia ai liguri, mentre quelle a destra restarono a Tortona. Riunite sotto l’ unico feudo dei Malaspina nel 1235, furono cedute agli Spinola nel 1256. Tracce di queste passate vicende le troviamo, appena usciti dal casello, nel Castello del Cantone e Castello del Piano.
A strapiombo su uno dei rari tratti rettilinei della via, il Castello del Cantone si dice risalga al XIII secolo e se ne ha notizia certa per una Bolla Papale di Innocenzo III, datata 13 aprile 1213. Originariamente a pianta quadrata con torri agli angoli delle mura, fu ceduto alle famiglie Denegri e Zuccarino, nel 1819, e trasformato in abitazione privata. Ripetuti rifacimenti hanno snaturato l’antica l’architettura di cui rimane il ricordo, solo, nel torrione che aggetta sul fiume.
Di difficile datazione è, invece, il secondo maniero, edificato in località “Piano”, a nord della confluenza tra il Vobbia e lo Scrivia. Acquistato dalla famiglia Mignacco, grazie ad una attenta manutenzione, si presenta come una solida costruzione a pianta quadrata, sviluppata su tre livelli, provvista di due torri circolari, unite da spesse mura al cui centro si apre il portale, in arenaria, che da adito alla corte.
Lasciate le vetuste vestigia, una strada tortuosa, scavata nella roccia dell’orrido, ci conduce lungo la cupa e angusta Valle Vobbia in cui scorre il fiume, profondamente incassato tra massi bruni. Solo all’altezza del ponte di Zan, la valle prende respiro per consentirci di ammirare la meta del viaggio. Prima, però, parliamo del ponte e del suo curioso nome: poche notizie storiche ne attribuiscono la costruzione a Giovanni (“Zan”) Malaspina, figlio di Opizzone della Pietra, signore dell’omonimo castello. La tradizione popolare lo vuole, invece, fatto dal diavolo in persona in cambio dell’anima del primo sfortunato passante. Il primo a transitare fu, però, un cane istigato dalla saporita formaggetta che l’astuto Zen vi aveva fatto rotolare. Per vendetta Satana, avendo visto il villano ingannatore seppellire un tesoro nei pressi, lanciò una maledizione per cui immani frane rovinavano a valle, ogni qual volta qualcuno cercava di riprenderlo. Ma il parroco di Vobbia, cospargendo il terreno con acqua benedetta e chiedendo l’intercezione divina, liberò i luoghi dal Maligno e, col tesoro recuperato, fu costruita la chiesa locale.
Dal ponte, come si diceva, si può ammirare le due escrescenze gemelle di puddinga (conglomerati), unite dallo strabiliante Castello della Pietra, eretto nel XIII secolo a guardia della strada del sale. Si può accedere alla rocca attraverso uno dei due viottoli che s’inoltrano nel fitto bosco, il Sentiero dei sette seccherecci (locali in pietra per l’essicazione delle castagne) e il Sentiero dell’acqua pendente.
Dopo una camminata di circa 20 minuti si giunge finalmente al Castello, vera perla del Parco Naturale dell’Antola, la cui datazione (incerta) risale al 1100. Le travagliate vicende legate alla sua storia si possono seguire nel corso di visite guidate che ne rievocano gli splendori e il successivo degrado che toccò il culmine con l’incendio messo in atto dalle truppe francesi e la fusione dei suoi cannoni, il cui bronzo fu utilizzato per le campane della chiesa di S. Croce (Crocefieschi).
Nel 1981 è iniziato il processo di recupero anche se molti tratti sono irrimediabilmente perduti come i motivi ornamentali della volta del salone: rimane l’originalità architettonica dei due corpi dell’edificio, impostati a quote diverse, l’audacia costruttiva dei tre livelli dell’avamposto quasi interamente scavati nella roccia e un quarto piano dove si snodano un susseguirsi di camminamenti dotati di strette feritoie dalle quali si può godere un panorama mozzafiato che vale, da solo, la fatica della salita.
Adriana Morando