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Voci di piazza e sensazioni dalla celebrazione conclusiva in piazzale Kennedy. Al timore e all’indifferenza prevalgono la curiosità e la voglia di condividere un evento "di massa" e di Chiesa
Per un credente con più dubbi che certezze partecipare alla messa del Congresso eucaristico che si è tenuto in questi giorni nella nostra città è stato un atto non solo di fede ma, soprattutto, di curiosità.
Parcheggiate le moto, prescelte per muoversi nel prevedibile traffico, a debita distanza da Piazzale Kennedy io e alcuni miei amici abbiamo proseguito a piedi. Camminare al centro delle corsie di via Brigate Partigiane era una strana sensazione, che rievocava le grandi manifestazioni a cui partecipai in passato. Le camionette delle forze dell’ordine e la presenza costante di uniformi contribuivano a rendere l’atmosfera ancora più surreale, soprattutto per lo stridente accostamento alle musiche religiose lanciate dagli altoparlanti.
All’ingresso del piazzale ancora polizia, ma passiamo senza che ci vengano controllati gli zaini; a stemperare ulteriormente la tensione, numerosi volontari in pettorine gialle e membri della protezione civile distribuiscono, con un sorriso, bottigliette d’acqua.
Quando arriviamo, nello spiazzo ci sono già molte persone che attendono pazienti oltre le transenne che conducono a quella navata a cielo aperto che è stata resa la piazza, con centinaia di file di sedie ben disposte e l’altare su un grande palco, in fondo. Sono presenti rappresentanti di tutta la realtà genovese, cittadini di tutte le etnie, esponenti dei militari e delle forze dell’ordine sotto il palco, rappresentanti degli alpini e dei cavalieri di Malta, scout, associazioni cattoliche e tanti altri. La presenza di carabinieri e polizia è massiccia, inquietante e rassicurante al tempo stesso. Coi tempi che corrono, non sono in pochi a ritenere che un simile evento possa essere a rischio. Maddalena, del reparto scout Genova XV, mi risponde senza esitazioni quando le chiedo se ha paura: «Si, assolutamente. Vedere i cecchini, le persone che ti controllano lo zaino [evidentemente controlli a campione dato che io e i miei amici ne siamo passati indenni, ndr]…». Altrettanto senza ombra di dubbio mi risponde alla domanda logicamente conseguente: allora perché sei venuta? «Perché non vedo il motivo per cui una paura latente debba fermare una cosa del genere».
Stimolato dall’interessante risposta di questa giovane ragazza, decido di raccogliere ancora più pareri. Serena, altra ragazza genovese, ad esempio, non ha alcun timore: «No, non ho paura. Sono qui perché sono molto credente, ho partecipato anche alla Giornata mondiale della gioventù ma questa è un’esperienza molto diversa. Mi piacciono questi eventi in cui incontro molta gente che sente molto quello a cui partecipa; c’è molto raccoglimento». Nel mio girare mi imbatto in un gruppo di donne raccolte in preghiera con alcuni rosari in mano; noto che una si interrompe e mi guarda e colgo l’occasione, scusandomi per il disturbo, per sentire anche loro. È un gruppo di badanti ucraine che lavorano a Genova. «Abbiamo una chiesa qui, siamo cattoliche ma con rito bizantino. Quando eravamo sotto l’Unione Sovietica la nostra chiesa era perseguitata», mi spiega Marilia motivando la gioia di partecipare a un incontro simile. «Ora abbiamo la guerra e dobbiamo pregare per i nostri famigliari». Neanche loro hanno paura, come mi rispondono in coro: «Siamo con Dio». Forse questa è la vera bellezza di simili eventi, incontrare tante persone e le loro storie che si intrecciano per qualcosa in cui credono. «È bello perché è incontrarsi, conoscersi, è un’occasione di comunione» mi conferma Andrea, che sta facendo il volontario.
Prima che inizi la funzione faccio appena in tempo a sentire ancora un gruppetto di donne, dai tratti orientali: «Siamo filippine, viviamo qui a Genova. Sono orgogliosa di essere qui, è la prima volta che partecipo a questo evento…». Chiedo anche ad Avelina, la portavoce di questo gruppetto, se ha paura: «Non ho paura, siamo con Dio. Poi se è il tuo destino, anche a casa…», lascia in sospeso la frase con un sorriso a metà tra il divertito e il sornione.
Inizia la celebrazione, prendiamo posto. Le voci di 700 cantori della diocesi e la musica dell’orchestra incorniciano magistralmente la Messa, amplificati da un impianto audio da far impallidire un concerto. «Si sente la passione dell’ecclesia genovese per l’antico» mi sussurra un amico, sorridendo al primo canto gregoriano. Quattro maxischermi consentono anche a chi è lontano dal palco di osservare ogni ritualità della funzione. La protezione civile continua a distribuire acqua tra le file di sedie, ma il tempo è clemente, il sole mitigato dalla brezza marina; con grande sollievo, molto probabilmente, soprattutto dei due carabinieri che per tutta la messa montano ligia e immobile guardia all’altare in uniforme da cerimonia.
L’omelia di Bagnasco è “raffinata”, elaborata nella forma, non proprio accessibile a tutti e non così facilmente traducibile nella concretezza dei problemi quotidiani. Ma, il cardinale non manca di riservare un pensiero e una preghiera a disoccupati, migranti, giovani, famiglie, consacrati, laici, politici e, naturalmente, ai terremotati del centro Italia. Toccante è soprattutto il momento di silenzio immediatamente seguente alla predica; l’intero piazzale è muto, tanto che si sente il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli della Foce, a centinaia di metri dal mio posto.
La messa prosegue, con l’unico intoppo di una troppo anticipata conclusione (tempi televisivi?) che fa sì che molti fedeli siano ancora in coda per ricevere la comunione quando è già in atto la benedizione finale. Lasciamo in ordine e senza ressa il piazzale. Riesco a sentire ancora un gruppo di giovani dell’azione cattolica della chiesa del Sacro Cuore di Genova. «È una bella esperienza per la città, vedere così tanta gente a questi eventi» mi dice Emanuele, un adolescente. Alla fatidica domanda sorride un po’ incerto: «Un po’ di ansia c’è, ma a un certo punto ti fidi– aggiunge divertito- anche di una protezione dall’alto».