La situazione cipriota dimostra la profonda crisi della moneta unica. L'idea di tassare i conti correnti, con conseguente chiusura bancaria forzata, preconizza un futuro in cui potrebbero tornare d'attualità le corse agli sportelli. Vediamo cosa è accaduto
Quando l’attualità conferma l’analisi che fai appena la settimana prima, dovresti essere contento di portare a casa, se non altro, almeno una piccola soddisfazione intellettuale. Il problema è che qui si esagera: siamo al punto che rincorrere tutte le conferme che clamorosamente arrivano sta diventando una faticaccia.
Neanche il tempo di registrare il parere del premio nobel Joseph Stiglitz, con il quale l’euro sale senza appello sul banco degli imputati, che a Bruxelles si rimettono alacremente a fabbricare nuove argomentazioni per i detrattori della moneta unica.
Il pasticciaccio di Cipro, infatti, non è che l’ultimo capitolo dell’epica saga di decisioni tremende che costituiscono la crisi dell’euro-zona; ma è utile, quantomeno, per capire dove stiamo andando e per sfatare i luoghi comuni.
Le banche della Repubblica di Cipro – come è noto – erano in sofferenza già da qualche tempo a causa – si dice – dei titoli di Stato greci, ma più in profondità – si sa benissimo – per il solito meccanismo perverso di indebitamento privato estero. In sintesi: la moneta unica azzera il rischio di cambio, arrivano i capitali esteri, l’indebitamento privato sale mentre quello pubblico, per la gioia degli osservatori di Bruxelles, diminuisce; poi arriva lo shock esterno, i capitali esteri si ritirano, le banche vanno in crisi, lo Stato deve intervenire per sostenerle e il debito pubblico riprende a salire.
E’ interessante notare come questo canovaccio, una volta di più, sia stato seguito alla lettera, con la notevole eccezione che la Repubblica di Cipro – essendo in buona sostanza un piccolo paradiso fiscale (cosa che ci ricorda da vicino, con rispetto parlando, l’Irlanda) – non ha smesso di esercitare un certo fascino su certi correntisti esteri, provenienti sopratutto dall’est.
A parte questo, per il resto si tratta di un film già visto, compresa la manfrina sugli aiuti europei, che poi aiuti veri e propri non sono, ma prestiti. Si doveva tirare fuori solo una dozzina di miliardi (robetta per i bilanci comunitari) e, piuttosto che accollarli tutti al contribuente, si è pensato bene di prendere l’ennesima decisione suicida: prelievo forzoso sui conti correnti, una cosa che in Europa aveva osato solo Amato nel 1992, quando ancora eravamo con la lira.
E’ pur vero che Cipro è piccola e lontana, ma nemmeno la Grecia è la Francia: eppure la tragedia greca s’è diffusa lo stesso in tutta Europa. E’ evidente, dunque, che per i mercati è il principio che conta: e i messaggi che l’Europa sta lanciando, da qualche anno a questa parte, raccontano una storia ben precisa, una storia fatta di campane che suonano a morto per la moneta unica.
C’era un tempo in cui chi possedeva titoli di Stato europei se ne camminava tranquillo per strada, sicuro di avere in tasca un pezzo di carta dal valore certo e incontestabile. Poi i rischi di una bancarotta greca a fine 2009 hanno spinto Berlino a convincere l’Europa che era necessario “to share the burden”, cioè condividere il peso della ristrutturazione del debito: morale, quel pezzo di carta non era più tanto sicuro. Fu così che scoppiò la crisi dei debiti sovrani (che da noi segnò la fine del governo Berlusconi IV) e i possessori di titoli greci furono costretti ad accettare il famoso haircut.
Il mese scorso ne è successa un’altra, sfuggita all’attenzione del grande pubblico ma non a quella del mondo finanziario: l’olandese SNS è stata nazionalizzata e le obbligazioni subordinate espropriate. Dunque nemmeno le banche, neppure di un paese “rigorista” che si supponeva solido come l’Olanda, sono del tutto a riparo in questa Europa.
E arriviamo così all’epilogo dell’altro giorno, l’ultimo colpo inferto alle già scosse certezze dei risparmiatori: la garanzia di Stato sui depositi bancari non esiste più. Questo ha detto, nella sostanza, l’Unione Europea, condizionando gli aiuti ad un prelievo del 6,75% sui conti correnti sotto ai 100.000 €.
Così, se anche nel frattempo il Parlamento cipriota, a causa della protesta della gente, ha deciso di bocciare questa concessione fatta a Bruxelles, il sasso ormai è stato scagliato, perché, come ha scritto acutamente Wolfgang Münchau su Der Spiegel: «A Cipro e ovunque nella zona Euro i depositi fino a 100.000 Euro sono assicurati. Se ora arriva lo stato e dice: scusateci, con un escamotage brillante vi prendiamo i soldi, di fatto una tassa sui patrimoni, viene meno la fiducia».
Secondo Münchau, dopo questa brillante trovata, l’atteggiamento più coerente è la corsa agli sportelli. L’editorialista tedesco cita al riguardo Sir Mervin King, governatore della Banca d’Inghilterra: “Non è razionale incominciare una corsa agli sportelli, ma è razionale parteciparvi una volta che è iniziata”. E in effetti il prossimo paese dell’euro-zona che entra o ripiomba in una vorticosa crisi dello spread non potrà più essere sicuro di niente: i titoli di Stato non sono garantiti, le obbligazioni bancarie neppure e, da lunedì, nemmeno i conti correnti. E, per inciso, il famoso “whatever it takes” di Mario Draghi (qualunque cosa serva per salvare l’euro la faremo), che tanto era servito a gettare acqua sul fuoco della speculazione, ne esce seriamente ridimensionato.
Ma ci sono due punti ancora del dramma cipriota su cui conviene soffermarsi. Il primo riguarda le modalità dell’annuncio del via libera agli aiuti, dato a mercati chiusi, anzi chiusissimi. Si è avuto il buon senso, infatti, di attendere un week-end lungo, con un lunedì di festa nazionale e un martedì di chiusura bancaria forzata (con eventuale prolungamento, se necessario).
Il che dimostra, allora, che quando si vuole queste cose si possono fare: si possono chiudere gli sportelli per prevenire il panico, si possono dare annunci scioccanti e si possono gestire. Dunque lo si potrebbe fare anche in caso di uscita dall’euro; mentre questi sacrifici, questi furti alle spalle dei correntisti anche più poveri, li stiamo discutendo – è bene ricordarlo – solo per l’ostinazione di rimanerci a tutti costi.
Il secondo punto – se permettete – è il più gustoso. La Repubblica di Cipro formalmente ha giurisdizione su tutta l’isola, ma nella pratica la zona nord a influenza turca è indipendente e molto vicina ad Ankara: tant’è che vi circola in prevalenza la lira turca. Neanche a dirlo, il nord cresce vorticosamente e la crisi non si è vista nemmeno in cartolina. Dunque, stessa isola con due monete diverse, legate a due economie diverse: una cresce l’altra no. Che c’entri qualcosa la moneta? Non lo sapremo mai. Fatto sta che il buon Münchau, uno che non ha mai fatto mistero di sostenere con convinzione l’euro, concludeva il suo editoriale con queste parole: «Si avvicina il giorno in cui l’Euro potrà essere difeso solo con i panzer. E allora non varrà più la pena difenderlo».
Andrea Giannini