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Finire come la Grecia: tagliare la spesa pubblica per aggravare la crisi

"Finire come la Grecia" è la frase ripetuta alla nausea da tv e giornali a indicare il pericolo povertà che minaccia l'Italia. Ma che cosa sta accadendo realmente ad Atene? E che cosa significa davvero "finire come la Grecia"?


22 Febbraio 2013Rubriche > Penna sagace Banny

grecia2“Rischiamo di finire come la Grecia”. È questo lo spauracchio che il precedente governo ha utilizzato per convincerci di come le politiche di austerità fossero necessarie per uscire dalla crisi. Per la maggior parte di noi la Grecia rappresenta quindi il pericolo dell’arrivo della povertà a casa nostra, ma, a parte questo, sappiamo concretamente cosa sta succedendo laggiù?

Purtroppo, come spesso accade, non è facile ottenere informazioni affidabili in rete dove spesso si incappa in elaborazioni fantasiose della realtà o addirittura in vere e proprie bufale. In questo caso è sufficiente limitarsi alle fonti ufficiali per capire che la situazione greca è purtroppo drammatica, tanto che si è arrivati a parlare addirittura di crisi umanitaria. Siamo abituati a sentire parlare di crisi umanitaria all’indomani di una catastrofe naturale o di una guerra, ma forse nessuno di noi era preparato a sentirne parlare in seguito a una crisi economica e tanto meno in un paese europeo.

Le statistiche parlano chiaro: nel 2011 più del 30% della popolazione è a rischio povertà e, pur non essendo ancora disponibili i dati aggiornati, ci si aspetta un peggioramento di queste percentuali per il 2012. Il tasso di disoccupazione è arrivato al 27%, mentre quella giovanile ha sfondato quota 50%. Il rapporto debito PIL, seppur in discesa, è ancora oltre la soglia del 150%.

Tra le molte manifestazioni di protesta del popolo greco, ha provocato particolare scalpore quella degli agricoltori greci che, in agitazione da quindici giorni consecutivi, l’11 febbraio hanno respinto  le concessioni proposte dal governo di coalizione per proseguire la loro battaglia contro gli aumenti delle tasse sui carburanti. Il blocco stradale organizzato a Lamia, nella Grecia centrale, è degenerato in scontri con la polizia che hanno portato a 11 arresti tra i manifestanti, mentre due agenti e tre dimostranti sono rimasti feriti. L’aumento delle tasse sui carburanti si somma agli aumenti dell’IVA e delle imposte sul reddito e patrimoni, ma, nonostante tutti questi sacrifici, la situazione delle finanze pubbliche greca non sta migliorando. Come è possibile?

La ragione principale è che purtroppo quest’incredibile stretta fiscale sta uccidendo l’economia reale del paese e, nonostante l’aumento dell’imposizione fiscale, a gennaio si è avuto una diminuzione del gettito fiscale del 16%. Più le tasse aumentano, meno soldi hanno da spendere le famiglie. Le aziende, strette tra minore domanda di beni e tasse crescenti chiudono una dopo l’altra lasciando a casa i lavoratori che vanno a ingrossare le file dei disoccupati. Maggiore disoccupazione significa minori consumi e, di conseguenza, minore gettito. Per queste ragioni gli obiettivi di rientro del rapporto deficit-Pil vengono costantemente sforati e, per cercare di compensarli, si aumenta ancora di più l’imposizione fiscale creando un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.

Non è certo per pigrizia o per lassismo fiscale se la Grecia non riesce a raggiungere gli obiettivi previsti dalla Troika, è proprio la cura a base di austerità che sta uccidendo il paese. È stato addirittura lo stesso Fondo Monetario Internazionale a pubblicare uno studio che afferma che troppa austerità può portare allo strangolamento dell’economia di un paese, soprattutto se gli anche altri paesi attuano contemporaneamente le stesse politiche. In passato, la maggior parte dei modelli utilizzati per prevedere l’impatto delle politiche di austerità sulla crescita (fra cui quello utilizzato dalla Commissione europea) indicava il moltiplicatore fiscale a 0,5: cioè a ogni punto percentuale di taglio del deficit corrisponderebbe mezzo punto di minor crescita. Secondo questo nuovo studio realizzato sotto la guida del capo economista Olivier Blanchard il valore del moltiplicatore si collocherebbe invece tra lo 0,9 e l’1,7.

Questo significa che ad ogni punto percentuale di minore spesa pubblica il prodotto interno lordo può diminuire, nel caso peggiore, di quasi due volte. La diminuzione del PIL causa, a sua volta, una diminuzione del gettito fiscale e quindi un peggioramento dei conti pubblici. Il paradosso è: più si taglia spesa pubblica più peggiorano i conti dello stato. Per questo motivo abbiamo assistito a forti recessioni in tutti i paesi dove sono state applicate le politiche di austerità e, in modo particolarmente violento, in Grecia.

Per uscire da questa situazione sarebbe necessario cambiare rotta, ma i governi di tutta Europa stanno dando segnali tutt’altro che incoraggianti. Il non farlo significherebbe condannare non solo la Grecia, ma anche tutti quei paesi, come il nostro, dove l’austerità da opportunità di salvezza si è trasformata in incubo da cui sembra impossibile svegliarsi.

 

Giorgio Avanzino


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