La situazione di pericolo riguarda oltre 5 milioni di persone, solo in Liguria a rischio 232 comuni (il 99%)
Presentati i dati di “Ecosistema rischio 2011”, indagine realizzata da Legambiente con la collaborazione del Dipartimento della Protezione civile, che ha monitorato le attività di prevenzione realizzate da oltre 1.500 fra le 6.633 amministrazioni comunali italiane classificate a rischio idrogeologico potenziale più elevato.
“Ben 1.121 tra i comuni intervistati (l’85%) rilevano la presenza sul proprio territorio di abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in zone a rischio frana”, si legge nel documento.
Accanto a questi, sono “rilevanti le percentuali dei comuni che dicono di avere in zone a rischio fabbricati industriali (56%), interi quartieri (31%), strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali (20%) e strutture ricettive turistiche o commerciali (26%)”. In Liguria a rischio ci sarebbero ben 232 comuni, ovvero il 99%.
A fronte di una situazione “di forte pericolo, che si stima riguardi oltre 5 milioni di persone”, sono ancora “poche le amministrazioni (29% di quelle interpellate) che affermano di essere intervenute in maniera positiva nella mitigazione del rischio idrogeologico”. In altri termini ci sono “ancora ritardi nella prevenzione e nell’informazione ai cittadini mentre troppo cemento invade fiumi, ruscelli e fiumare, come pure aree a ridosso di versanti franosi e instabili”.
Segnali positivi emergono invece per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile: “L’82% dei comuni intervistati ha dichiarato di avere un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione – scrive Legambiente – anche se soltanto la metà lo ha aggiornato negli ultimi due anni”. Ingenti risorse sono state stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l’alloggiamento e l’assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, ma “è evidente l’urgenza di maggiori investimenti in termini di prevenzione e manutenzione dei corsi d’acqua, di cui avrebbe sempre più bisogno l’Italia”.
Il 69% dei comuni interpellati dichiara di aver svolto regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica mentre il 70% afferma di aver realizzato opere per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o di consolidamento dei versanti franosi. Tuttavia “questi interventi, se non eseguiti adeguatamente e sulla base di attenti studi per valutarne l’impatto su scala di bacino, rischiano in molti casi di accrescere la fragilità del territorio piuttosto che migliorarne la condizione, e di trasformarsi in alibi per continuare a edificare lungo i fiumi e in zone a rischio frana”.
“Le delocalizzazioni procedono a rilento – si legge nel dossier “Ecosistema rischio 2011″ – soltanto 56 comuni intervistati (il 4%) hanno affermato di aver intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 2% dei casi si è provveduto con interventi analoghi su insediamenti o fabbricati industriali”.
Eppure questi interventi rappresentano “una delle principali azioni per rendere sicuro il territorio, anche attraverso interventi di rinaturalizzazione delle aree di esondazione naturale dei corsi d’acqua volti alla mitigazione del rischio”.
Altra nota dolente riguarda l’informazione alla popolazione sui rischi idrogeologici, sui comportamenti da adottare in caso di pericolo, sui contenuti del piano d’emergenza e sulla formazione del personale. Purtroppo, “solo il 33% dei municipi” ha organizzato iniziative rivolte ai cittadini e “il 29% ha predisposto esercitazioni per testare l’efficienza del sistema locale di protezione civile”.