Mentre la vecchia Europa soffre il peso dell'austerità, i cittadini americani non se la passano meglio. In termini di uguaglianza di reddito gli Stati Uniti d'America sono sempre più simili alla Russia degli oligarchi
La disoccupazione giovanile nel nostro paese ha ormai sfondato quota 33% e le prospettive sono tutt’altro che positive. Per molti l’unica alternativa è quella di emigrare all’estero in cerca di nuove opportunità. Il problema principale è che la vecchia Europa non se la sta certo passando bene, stretta com’è da questa insensata austerità, e bisogna quindi guardare altrove. E allora perché non pensare di trasferirsi nel paese che rappresenta nell’immaginario collettivo il luogo dove è possibile realizzare i propri sogni partendo da zero? Perché non trasferirsi negli Stati Uniti d’America?
Prima di preparare le valigie e prenotare un volo di sola andata sarebbe meglio sapere che c’è chi ritiene che il cosiddetto “sogno americano” sia in realtà un incubo per la maggior parte dei cittadini statunitensi. Uno dei maggiori esponenti di questa scuola di pensiero è l’economista americano Joseph Stiglitz che, nel libro “Il prezzo della disuguaglianza”, ha sviscerato il problema più grave della società americana: la disparità di condizioni tra i “ricchi” e i “poveri”.
A suffragio di questa tesi l’economista americano riporta alcuni dati che valgono più di mille parole: il reddito dell’1% più ricco degli americani rappresenta circa il 25% di tutta la ricchezza prodotta in un anno, mentre il loro patrimonio ammonta addirittura al 40% della ricchezza totale. Venticinque anni fa queste percentuali erano rispettivamente il 12% e il 33%. Il reddito mediano è minore di quello di quindici anni fa, mentre la ricchezza mediana è pari a quella degli anni ’90. Ci sentiamo spesso ripetere da molti economisti che “se la torta diventa più grande, la fetta che prendiamo è sempre più grossa” o che “l’alta marea solleva tutte le barche”; sembra invece che, nonostante la torta sia cresciuta, le fette per le persone comuni siano sempre più piccole e che l’alta marea abbia inghiottito e non sollevato chi si trovava sulle barche più piccole. In termini di uguaglianza di reddito gli Stati Uniti sono ormai sempre più simili alla Russia degli oligarchi.
Alcuni potrebbero pensare che, dopotutto, c’è chi vince e c’è chi perde e che non è colpa di nessuno se non tutti hanno le stesse possibilità perché le disuguaglianze sono inevitabili e il cercare di appianarle limiterebbe l’efficienza dell’economia. Al contrario l’illustre premio nobel americano, nel suo ultimo libro, smonta queste argomentazioni dimostrando come una maggiore uguaglianza sia non solo moralmente più auspicabile ma porterebbe a un notevole miglioramento dell’economia reale.
Stigliz afferma che, all’aumentare della diseguaglianza, diminuiscono le opportunità delle classi più disagiate per poter migliorare la propria condizione. Questo vuol dire sprecare alcune delle persone più brillanti che, per mancanza di risorse finanziarie, non possono accedere a un’istruzione di livello superiore e quindi non possono dare il proprio contributo alla società mettendo le proprie capacità al servizio della collettività. Perciò più uguaglianza significherebbe avere una società più efficiente.
Inoltre la disuguaglianza rende l’economia più debole: l’1% più ricco della popolazione, che possiede la maggior parte della ricchezza, spende solo una piccola frazione delle proprie risorse. L’aver spostato questa ricchezza dai ceti meno abbienti a quelli più ricchi ha diminuito la domanda aggregata, cioè i consumi, e ha rafforzato la speculazione. Per compensare questa diminuzione si è dovuto creare una domanda fittizia alimentata dal credito facile erogato dalle banche attraverso mutui, carte revolving e altri strumenti finanziari. Questo ha portato l’80% della popolazione più povera a indebitarsi fino a spendere il 110% del proprio reddito portando allo scoppio della crisi dei mutui subprime. Per questo motivo più uguaglianza significherebbe avere un’economia più solida.
Infine Stigliz descrive come spesso i più ricchi ottengano guadagni giganteschi senza dare alcun contributo alla società. Si pensi ad esempio ai banchieri o ai manager che, pur avendo dato origine alla crisi, hanno ottenuto bonus stratosferici. A chi pensa che tassando queste categorie si rischi di limitare la creazione di posti di lavoro Stiglitz risponde che, più che creatori di posti di lavoro, i grandi manager e banchieri ne siano stati piuttosto i distruttori. I soldi ottenuti in questo modo potrebbero essere investiti in ricerca, infrastrutture ed educazione che creerebbero nuove opportunità per i meno abbienti e quindi darebbero un forte contributo all’economia.
Il sogno americano sembra ormai un pallido ricordo e le statistiche descrivono la mobiltà sociale statunitense come una delle più basse dei paesi industrializzati. Pertanto se volete davvero vivere il sogno americano, invece di partire per New York, vi conviene piuttosto prenotare un volo per la Scandinavia. La prossima volta vedremo perché…
Giorgio Avanzino