Ecco perché la Germania e il suo sistema economico "mercantilista" non sono un modello da seguire. Il deficit di paesi come Italia, Grecia e Spagna è figlio del surplus tedesco raggiunto grazie all'entrata in vigore dell'Euro
La Germania è presa come esempio di sviluppo virtuoso da molti economisti e politici nostrani. Certamente potremmo imparare molto dai nostri cugini tedeschi in quanto a politiche sociali ed efficienza, ma siamo proprio sicuri che la loro ricetta per lo sviluppo economico sia sostenibile e applicabile in generale a tutti i paesi?
A questa domanda ha risposto il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz durante la conferenza di Berlino “Ripensare economia e politica”. L’economista americano si sofferma sulle caratteristiche del modello economico “mercantilista” che è una politica basata sul perseguimento del surplus nella bilancia commerciale, vale a dire sulla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni. Questo è il paradigma sul quale non solo Germania, ma anche Giappone e Cina hanno basato il proprio sviluppo.
Germania e Giappone sono tra i paesi più ricchi del mondo e la Cina sta crescendo a ritmi vertiginosi. Perché allora non replicare le politiche di questi paesi ed entrare così nel magico circolo di coloro che esportano più di quanto importano? La spiegazione è semplice: la somma globale delle esportazioni deve necessariamente essere uguale alla somma delle importazioni, a meno che non si cominci a commerciare con la Luna e Marte. Questo concetto piuttosto banale implica una conseguenza che dovrebbe essere altrettanto banale ma che sembra non esserlo per tutti: se un paese è in surplus nella bilancia commerciale, qualche altro paese deve essere in deficit.
La Germania non ha sempre avuto un surplus, è proprio con l’introduzione dell’Euro che ha visto un’impressionante espansione dell’export e quindi, applicando la formuletta che abbiamo appena visto, qualcun altro deve essere andato in deficit. Indovinate chi? Bravi! Avete indovinato! Proprio il nostro Bel Paese! Purtroppo però non siamo stati i soli, questa è la sorte che ha accomunato i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
Questo è quello che è accaduto: la ricchezza di un paese (PIL) è data dalla somma di consumi, investimenti, spesa pubblica e esportazioni nette (differenza tra esportazioni e importazioni). Se si importano più beni di quanti se ne esportino le esportazioni nette sono negative e la ricchezza del paese diminuisce. Se la spesa pubblica non aumenta per compensare questa diminuzione, si produce meno ricchezza e ci sono meno opportunità di lavoro e pertanto il settore privato (famiglie e imprese) ha meno soldi da spendere ed è costretto a intaccare i propri risparmi e infine a indebitarsi. E con chi ci siamo indebitati? Sono state soprattutto le banche tedesche a dare in prestito questi soldi, avendo una grande liquidità derivante dal surplus commerciale tedesco.
In poche parole è dall’entrata in vigore dell’Euro che noi compriamo merci tedesche coi i soldi che prendiamo a prestito proprio dalle banche teutoniche, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Per uscire da questa situazione la soluzione che ci viene proposta proprio dalla Germania è, in sintesi, quella di trovare qualche altro paese verso cui esportare le nostre merci così il problema sarebbe di qualcun altro. È per questo che Stiglitz definisce il deficit nella bilancia commerciale una “patata bollente”. Ma, invece di spostare il problema altrove, è possibile trovare un rimedio per porre fine a questi squilibri?
L’economista americano riprende una proposta di Warren Buffett che, prendendo spunto da una teoria già formulata da Keynes, auspica l’introduzione di un sistema di certificati che avrebbero lo scopo di riequilibrare la bilancia commerciale degli Stati Uniti e, in generale, di tutti i paesi in deficit commerciale. Questi certificati sarebbero emessi dal governo agli esportatori per un valore pari a quello delle merci esportate e potrebbero essere liberamente scambiati con gli importatori che, per poter importare legalmente merci dall’estero, sarebbero obbligati a possederne per un valore pari alle merci importate. Il prezzo di scambio verrebbe lasciato libero di fluttuare secondo la legge della domanda e dell’offerta rendendo tanto meno convenienti le importazioni quanto più il paese si trova in deficit, portando quindi a un rapido riequilibrio della bilancia commerciale.
Vediamo un esempio: un agricoltore esporta mele per un valore di mille dollari e lo Stato gli rilascia un certificato che dà il diritto di importare merci per mille dollari. L’agricoltore può utilizzare questo certificato per importare una motozappa dall’estero per lo stesso valore, oppure può cedere questo diritto dietro compenso a qualcun altro, ad esempio un pizzaiolo di New York che vuole importare mozzarella di bufala dalla Campania. Nel caso in cui la bilancia commerciale sia in equilibrio ci saranno grossomodo tanti venditori di certificati quanti acquirenti e di conseguenza il valore dei certificati sarà basso. Se invece la bilancia commerciale fosse tendenzialmente in deficit, ci sarebbero molti acquirenti e pochi venditori e il prezzo dei certificati salirebbe vertiginosamente. Questo renderebbe molto costoso importare merci dall’estero e il saldo netto delle esportazioni ritornerebbe in equilibrio.
Purtroppo da quest’idea non è nato alcun disegno di legge e gli Stati Uniti rappresentato ancora il paese con il più alto deficit commerciale del mondo. In Europa, con la situazione attuale, non sarebbe possibile introdurre misure di questo genere e l’alternativa più rapida ed efficace sarebbe quella di diminuire il disavanzo nei paesi in surplus, in primis la Germania, rilanciando la propria domanda interna e diventando una fonte di domanda per i beni del sud Europa.
È una questione di volontà politica: i tedeschi dovranno scegliere tra il perseverare questa condizione per loro vantaggiosa, ma distruttiva per altri, e il rinunciare a una parte dei vantaggi accumulati in questi anni per tenere in vita l’Unione Europea. Purtroppo i segnali fin qui osservati non sono incoraggianti…
Giorgio Avanzino
[foto di Diego Arbore]
3 commenti su “Sviluppo e crisi europea: le gravi responsabilità della Germania”