Il vulcano siciliano è attivissimo, più di un'eruzione al mese nel 2011
Un gigante brontolone, sonnacchioso a tratti, si è svegliato, improvvisamente, manifestandosi in tutta la sua potenza: ecco a voi l’ Etna. Non è certo uno sconosciuto che ha bisogno di presentazioni , grazie alle sue lontane ”gesta” o alle ben più recenti 18 eruzioni a cui ha dato vita nel solo 2011, ma un opportuno tributo gli è dovuto per lo spettacolo mozzafiato che ha offerto in questa sua prima “performance” del 2012.
Una colonna di cenere, alta più di 5000 metri, si è sviluppata dalla bocca infuocata, evocando uno scenario mefistofelico di dantesca memoria, alla quale si sono aggiunti lapilli, lava e tremolii del suolo, puntualmente registrati dagli apparecchi dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Catania: una esibizione di “luci e suoni” che le immagini, reperibili in rete, possono esaurientemente commentare.
L’evento si è aperto con una prima eruzione, alle 00:50, a cui è seguita un’attività crescente, per tutto il giorno, con un picco intorno alla 22. L’attività di tipo stromboliano, cioè con esplosioni e fontane magmatiche incandescenti, ha interessato il “solito” cratere di sud-est, a circa 3 mila metri di quota e la “solita” Valle del Bove, secondo un cammino precedentemente tracciato, senza dirette conseguenze per cose e persone.
Fin qui la cronaca, ma chi è l’Etna? Nato, 600000 anni fa, nel Quaternario, terzo e ultimo dei tre periodi che compongono l’Era Cenozoica (2,588 milioni di anni e tuttora in corso), il massiccio etneo occupa un’area di circa 1570 kmq e presenta un diametro di 215 km. Salendo su per l’antica “Schiena del Leone”, toponimo oggi scomparso, si giunge a Pizzi Deneri, da cui si domina tutta l’area sommitale del monte: lo sguardo può distendersi lungo la Valle del Leone o calarsi a precipizio nella desertica Valle del Bove, una profonda incisione con pareti alte fino a mille metri che si sono modellate in seguito al collasso di arcaiche formazioni vulcaniche preesistenti.
Rubando l’egemonia al mare, che copriva interamente la piana di Catania, le continue eruzioni hanno portato all’attuale orografia, le cui testimonianze sono visibili nei tanti coni secondari che costellano le pareti di questo “ciclope” irrequieto. Contorte figure di rocce, le “pietre cannone” rendono il paesaggio ancora più inquietante: sono le antiche vestigia di pini laricii i cui tronchi sono stati intrappolati dall’incedere inarrestabile della lava. All’interno di questi gusci sassosi, la pianta ha terminato la sua lenta combustione fino a trasformarsi in cenere che, asportata dal vento, ha lasciato l’incavo vuoto, come una “bocca” d’obice pronta a lanciare il suo grido di morte. Il paesaggio si addolcisce ad est, scendendo a balzi verso Taormina che svetta, lontano, su acque verde-smeraldo o sfuma all’orizzonte dove si intravvede la costa calabra.
Un posto del genere è habitat “naturale” per il fiorire di miti e leggende: nelle viscere della terra, il dio Eolo vi avrebbe imprigionati i venti ma, secondo il poeta Eschilo, era il mostro Tifeo ad agitarsi furioso in questa tetra prigione, similmente al gigante Encelao, entrambi rei di aver sfidato Giove, padre degli dei. Per i greci non poteva che esservi ubicato il Tartaro, il lugubre regno dei morti, mentre per i romani era la fucina di Vulcano, dio del fuoco o quella dei Ciclopi intenti a preparare i “fulmini” per Zeus.
Anche il suo nome evoca scenari apocalittici: passiamo dalla etimologia greca di “aitho” (bruciare) a quella fenicia “ attano ”(fornace), senza dimenticare la romana ”Aetna”, dea greca figlia di Urano e Gea. Anche gli arabi ne rivendicano la paternità con “Jabal al-burkān” o “Jabal Aṭma Ṣiqilliyya” (vulcano o montagna somma della Sicilia) e sarebbero implicati anche in “Mongibello”, antico nome dell’Etna, oggi riservato solo alla parte apicale del monte. Sarebbe nato dal ”matrimonio” tra il latino “mons” con l’araba Jebel (montagna) ma c’è chi sostiene derivi da Mulcibel (qui ignem mulcet=colui che blandisce la fiamma), sinonimo di quel dio Vulcano che, secondo i latini, aveva saputo domare Adranus, demone del fuoco.
Adriana Morando