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Si avvicina la fine dell'Euro, lo spread ha superato il livello tragico che aveva raggiunto prima delle dimissioni di Berlusconi. L'ex premier rimane uno dei principali responsabili, ma da Monti era lecito aspettarsi di più
Come era prevedibile, è ritornata l’emergenza spread e il crack dell’euro è sempre più vicino. Ma non c’è niente di nuovo sotto il sole. Dei fattori che determinano in larga parte questa situazione se ne è già parlato ampiamente (anche in questa rubrica ne ho scritto e riscritto). Per questo sentire di nuovo il ritornello dei giornali di centro-destra, secondo i quali uno spread a 537 punti dimostrerebbe che Berlusconi non era un problema, farebbe sorridere, se non ci fosse da piangere. E’ ovvio invece che Berlusconi è stato un problema e lo è tuttora: lo è stato perché ha rivestito il ruolo di principale attore politico della seconda repubblica, e quindi di principale responsabile per gli errori e le mancate riforme di quegli anni; lo è stato perché a fine 2011 nelle cancellerie di tutta Europa nessuno lo considerava più un interlocutore affidabile; e lo è tuttora perché tiene in ostaggio con i suoi desiderata la maggioranza di Monti, avendo contribuito, per esempio, ad azzoppare la legge anti-corruzione (che è diventata una legge pro-corruzione) e ad impedire la messa all’asta delle frequenze digitali. Il fatto che queste ed altre responsabilità possano essere condivise (anche se in misura minore) con vari governi e politici di centro-sinistra non significa – se esiste un minimo di logica a questo mondo – che Berlusconi ridiventi per magia un candidato premier serio ed affidabile: se mai, significa che questa sinistra ha bisogno di una classe dirigente totalmente nuova, sempre che sia ancora in tempo per questa ristrutturazione. Ma dovrebbe restare fermo un banalissimo principio di alternanza per cui, se qualche grossa responsabilità spetta anche a chi ci ha governato per il fatto che oggi siamo sull’orlo del precipizio, allora forse conviene puntare su un altro cavallo. Il che è più o meno quello che ha scritto recentemente anche il Financial Times.
Eppure, detto questo, è innegabile che l’effetto Monti non ci sia stato. Il livello di spread a cui ha chiuso la borsa ieri sera è superiore a quello del giorno delle dimissioni di Berlusconi nel novembre del 2011. E, sebbene in valore assoluto (quello che più conta) i tassi a cui ci indebitiamo restino in realtà inferiori, perché lo spread è indicatore che non evidenzia la diminuzione dei tassi tedeschi che nel frattempo sono scesi ulteriormente facendo quindi salire il differenziale con i nostri BTP, ciononostante non si può negare che l’effetto psicologico sia forte: e anche sostanziale, perché certo ci si aspettava di più dall’approdo a Palazzo Chigi di una persona seria e competente come Mario Monti.
E’ accaduto però quello che era logico prevedere che accadesse, a meno di non avere gli occhi foderati di prosciutto. Monti ha pure cercato di applicare le indicazioni contenute nella lettera della BCE: ma la maggioranza che lo sostiene non ha per questo smesso di fare i calcoli elettorali e di convenienza che era solita fare. Come avevo scritto, mi sarebbe piaciuto che Monti cogliesse l’eccezionalità dell’occasione per una sferzata contro i partiti, per costringerli, con la forza dell’urgenza, a misure che riducessero il loro potere e li costringessero a un processo di rinnovamento interno. Avevo ammesso che la cosa era difficile e rischiosa. Ma l’alternativa ce l’abbiamo ora davanti. Monti ha preferito porsi come il garante dell’establishment partitico, facendo sperare alle forze politiche che, dopo un breve interregno di misure impopolari coordinate da lui, destra e sinistra sarebbero potute ritornare a spartirsi il paese come prima e più di prima.
E’ per questo motivo che i partiti si sono sentiti autorizzati a continuare a pensare al dopo, ai loro elettori e a quello che veniva comodo ai loro dirigenti. Di conseguenza molte ciambelle non sono venute col buco. E se rileggiamo oggi la famosa lettera che la BCE ci mandò l’anno scorso, dobbiamo ammettere che è stato in effetti raggiunto un numero relativamente basso di obiettivi. Infatti dopo quasi nove mesi scopriamo che il debito pubblico italiano, considerato la madre di tutti i problemi, non solo non è diminuito, ma è aumentato. L’Eurostat certifica che la percentuale tra il nostro debito e il PIL ha raggiunto il 123,3%. In realtà è ipotizzabile che nemmeno una velocissima ed integrale realizzazione di tutti i punti della lettera della BCE ci avrebbe salvato dai problemi dello spread: per l’ovvio motivo che questi problemi sono di tutt’altra natura. Mentre in Europa ci suggerivano cosa fare per aggiustare i fondamentali della nostra economia, i mercati attaccavano l’euro e nessuno pensava di porvi rimedio. I fondamentali dell’economia italiana, d’altronde, non sono granché cambiati negli ultimi anni.
Cosa giustifica dunque la fuga da (e la speculazione su) i titoli di Stato dei paesi periferici della zona euro? Il fatto che da un certo punto in avanti (quando la crisi dei mutui subprime si è estesa in Europa, svelando bolle e trucchi contabili che stavano dietro alle economie di alcuni paesi) i mercati hanno realizzato che essere dentro l’euro non era una garanzia eterna di solvibilità. E hanno cominciato una scommessa contro la moneta unica, che si è rivelata finora vincente. Senza una misura europea per ristabilire la fiducia, vale a dire una qualche forma di condivisione del debito, non si risolverà nulla. La triste realtà è che siamo appesi non solo all’Europa, nel senso delle istituzioni europee, ma anche agli altri paesi europei, nel senso delle politiche adottate dai governi dei nostri vicini. La Spagna, ad esempio, è in condizioni disastrose: a breve sarà costretta a un sostanziale default, chiedendo l’intervento del Fondo Monetario Internazionale. E non è un mistero che nella testa dei mercati il destino della Spagna è strettamente legato al nostro, perché si pensa: “se cade un paese grande come la Spagna, allora può cadere anche l’Italia”.
In queste condizioni c’è veramente poco che si possa fare: andare alle elezioni anticipate, magari per rivotare un nuovo governo Monti, difficilmente impressionerà gli operatori finanziari. Ecco perché dico che la fine dell’euro è ormai vicina. Certo, resta sempre la solita opzione aperta: basterebbe un si della Germania agli Eurobond, almeno per invertire la tendenza. Ma cosa ne pensino a proposto i Tedeschi lo sappiamo già. Tobias Piller, un giornalista del Frankfurter Allgemeine Zeitung, ieri sera ospite ad “In Onda” su LA7, è stato piuttosto esplicito: se alla Germania venisse chiesto di scegliere tra inflazione o uscita dall’euro, sceglierebbe senza dubbio la seconda ipotesi. I Tedeschi pensano che, affinché l’UE funzioni economicamente, ogni paese debba reggersi solo su sé stesso ed avviare una ristrutturazione profonda della propria economia, come innegabilmente ha fatto la Germania dal 1999 al 2010.
Peccato solo che noi non abbiamo mai avuto tutto questo tempo. Ammesso e non concesso che sarebbe bastato, è chiaro che non si può pretendere dagli Italiani, che non hanno né la classe politica, né la coesione sociale, né l’organizzazione dei Tedeschi, di fare in pochi mesi quello per cui gli stessi Tedeschi hanno impiegato anni (anni, tra l’altro, in cui l’economia mondiale cresceva bene). Gli Italiani possono essere biasimati per non aver fatto nulla prima: ma non si può neanche chiedere ad un fumatore di 170 kg. di correre la maratona di New York. E comunque è opinabile che la ricetta tedesca (la deflazione salariale) funzioni per tutti, come giustamente faceva notare Vladimiro Giacché. Invece si è continuato a tagliare la spesa, deprimendo l’economia e contribuendo a tenere alto, in percentuale sul PIL, il debito. Quindi, riassumendo, stanti gli errori passati nostri e dei nostri politici, da quando è arrivato, Monti si è mosso poco e nella direzione sbagliata: tutto per fare colpo sulla Merkel, purtroppo senza successo.
Morale: è sempre più probabile che quando chiuderemo gli ombrelloni toneremo a lavorare in lire. Con tutti i problemi che questo comporterà.
Andrea Giannini
[foto di Diego Arbore]
Commento su “Spread alle stelle, l’effetto Monti non è bastato: ma guai a nominare Silvio…”