La causa è l'incapacità di programmare e la mancanza di razionalità nell'utilizzo dei finanziamenti
L’Unione Europea stanzia miliardi di euro di fondi strutturali destinati agli stati membri per favorire lo sviluppo di aree svantaggiate, dare impulso alle infrastrutture, promuovere l’occupazione giovanile, dare ossigeno a piccole e medie imprese grazie alle commesse dei progetti finanziati.
Ma di queste risorse quante davvero ogni singolo stato riesce ad utilizzare?
La media europea si attesta sul 30% di sfruttamento dei finanziamenti disponibili.
Ebbene sui fondi stanziati per il periodo 2007-2013, l’Italia finora è riuscita a spendere solo il 18% di quanto avrebbe potuto.
Peggio di noi in tutta Eurolandia è riuscita a fare solo la Romania.
Considerando che i paesi più virtuosi Germania e Gran Bretagna sono rispettivamente al 38 e al 37%, si comprende alla perfezione il divario che si è venuto a creare fra l’Italia ed il resto d’Europa. E quale opportunità siamo riusciti a gettare al vento in questi anni.
“Si dovrà operare senza indugio per un uso efficace dei fondi strutturali dell’Unione Europea”, ha ricordato anche il premier Mario Monti quando ha chiesto la fiducia al Senato.
Ma quali sono le cause di questa pratica masochista?
Innanzitutto i problemi legati allo sfruttamento delle risorse comunitarie vanno ricercati nell’eccessiva frammentazione degli interventi, nella confusione fra gestione e programmazione, nel dirottamento dei fondi comunitari su programmi poco strategici.
Insomma in poche parole non c’è la necessaria razionalità nell’utilizzo dei finanziamenti. E soprattutto siamo penalizzati dall’incapacità di programmare nel medio e lungo periodo. La colpa va ricercata inevitabilmente nell’inefficenza della nostra pubblica amministrazione.
“Troppo lenta la macchina e inadeguate le procedure – spiega Mario Calderini, docente al politecnico di Torino e consulente di molte pubblice amministrazioni nei rapporti con le istituzioni europee – Non c’è armonia né tra i ministeri né tra i vari livelli istituzionali: Stato, Regioni, Province, Comuni. I paesi più virtuosi invece hanno saputo scegliere. Francia e Regno Unito hanno accentrato fortemente sui ministeri, la Spagna ha privilegiato il piano locale”.
Ifel, fondazione sulla finanza locale dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), in uno studio di qualche mese fa spiegava che i Comuni sono destinatari di quasi un quarto dei fondi Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) 2007-2013 pari ad oltre 30 miliardi di euro.
A luglio 2011 un comune su 5 aveva un progetto finanziato. E solo 61 progetti, il 2%, superano i 5 milioni di euro. Mentre il 43% è rappresentato da progetti che non superano i 150 mila euro.
Piccole operazioni che difficilmente potranno avere l’effetto di creare valore aggiunto o di rispondere alle istanze di crescita strutturale.
Inoltre in una situazione tanto parcellizzata seguire la realizzazione di ogni singolo progetto, monitorarne i progressi e quindi elargire le tranche del finanziamenti è un impresa improba.
Diventa un’urgenza improcratinabile studiare qualche forma efficace di coordinamento. La soluzione c’è ed altri Paesi l’hanno adottata: creare un ente ad hoc per sostenere chi deve presentare un progetto all’Europa.
Matteo Quadrone