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Il lotto ha origine nella Genova del 1617, quando la pratica dell'azzardo era così diffusa da spingere i governanti genovesi a vietare le scommesse sul Papa...
Lo confesso: con saltuarietà e uno spreco di capitale parsimonioso, talora, mi lascio tentare ed esco dalla ricevitoria stringendo quel pezzo di carta che racchiude in se il 99% delle mie vane speranze per una vincita da nababbo e la stessa percentuale di assoluta certezza di aver contribuito, a fondo perduto, alle finanze dell’erario, entrando a far parte della nutrita schiera che pagano la “tassa sugli imbecilli”, così definita dallo statistico Bruno de Finetti, riferendosi al denaro speso per lotto e per giochi affidati al caso.
La genesi del lemma “lotto”, che incarna il progenitore degli attuali sistemi per tentare la fortuna, si fa risalire al vocabolo francese “lot” (sorte) e al corrispettivo verbo “lotir” (dividere o assegnare la sorte). Un’altra ipotesi lo connette all’antico “Hleut” tedesco, un oggetto in pietra che veniva lanciato in aria (gesto che noi ripetiamo con le monete) per dirimere le controversie all’interno delle tribù e da cui deriverebbe, poi, il ”lote” spagnolo, il “loto” portoghese, i moderni “los” tedesco o il “lot” danese ed, ancora, l’antico inglese ”hlot”.
La passione per il gioco, del resto, ha origini antichissime essendo presente già tra gli Egizi così come tra i Caldei e non ne erano immuni i Romani i quali, durante i Saturnali, distribuivano tavolette numerate che poi venivano estratte a sorte, una specie di “nonno” della Tombola o del Bingo. L’idea di abbinare il gioco a dei “lotti” sembra essere nata ad Amersfoort, paese non lontano da Amsterdam, nel 1500, ad opera di cittadini che, sfruttando questa passione, assegnavano proprietà non altrimenti divisibili ed era noto come “Lotto di Olanda”.
In Italia, pre-avi di questo gioco erano presenti già dal 1448, a Milano, dove nelle cosiddette “Borse di Avventura” si assegnavano, per estrazione, sette “borse” contenenti, rispettivamente 300, 100, 75, 50, 30, 25, 20 ducati. Con un ducato, si poteva inserire un biglietto col proprio nome in un cesto di vimini, mentre in un analogo contenitore si metteva un numero corrispondente di foglietti bianchi ad eccezione dei sette su cui era indicato l’ammontare del premio. Si procedeva all’estrazione contemporanea dai due cesti, ed all’abbinamento nome-biglietto che se risultava bianco, ovviamente, non dava diritto ad alcuna vincita.
IL LOTTO NASCE A GENOVA?
La culla del lotto Italiano, però, pare essere stata Genova, covo pullulante di “bische” dove si puntava su tutto come si evince da uno “Statuto” con cui le autorità proibivano giocate che avessero come oggetto la vita di personaggi eminenti quali il Papa, l’Imperatore, i Cardinali ma anche la sorte di eserciti, di matrimoni o eventi terribili come la peste. In questo panorama frenetico di scommesse, nel 1617, anno in cui il 29 aprile veniva eletto doge Gian Giacomo Imperiale, un gruppo di privati cittadini, capeggiati da Benedetto Gentile, si inventò il “Gioco del Seminario“.
Ogni 6 mesi, 5 dei 120 membri dei “Serenissimi Collegi” venivano rinnovati mediante una specie di lotteria: i nomi dei candidati erano indicati su biglietti progressivamente numerati ed inseriti in un urna di sorteggio chiamata, appunto, “seminario”. Da qui l’idea di “azzardare” quali sarebbero stati i designati e quindi quali numeri sarebbero usciti. Dopo un primo tentativo di contrastare tale pratica, nel 1643, l’animo “mercantile” genovese prevalse e si pensò di trarne profitto demandandone la regolamentazione allo stato, naturalmente, con l’aggiunta di una tassa di accompagnamento. Il successo enorme di questa prassi, spinse le autorità, sempre a caccia di “palanche”, ad aumentare le estrazioni, staccandole dal rinnovo semestrale dei Collegi, ed ad estendere i numeri fino a 90, associando ad essi i nomi di fanciulle bisognose che, se vincitrici, ricevevano una cospicua somma da usare quale dote.
Questa lotteria chiamata “Lotto della Zitella” si diffuse presto, con le stesse modalità, a Napoli mentre a Venezia, dove una parte dei proventi venivano usati per la pubblica illuminazione, verso la metà del ‘600, il Consiglio dei Pregadi istituì il “Lotto del Ponte di Rialto” che prevedeva, quale premio, l’’assegnazione di immobili di valore fino a centomila ducati.
Nello Stato Pontificio il gioco, ovviamente, fu osteggiato a tal punto che il Papa Benedetto XIV, nel 1728, arrivò a minacciare la scomunica ma, solo 3 anni più tardi, con Clemente XII, tornò ad essere un sostegno insperato per umili donzelle, fino al 1785, anno in cui Pio VI destinò le vincite alle Opere Pie. Il 23 settembre 1863 la gestione del “lotto Genovese”, così era conosciuto, passò al giovane Regno d’Italia e diventò, da allora, una voce di bilancio talmente consistente che qualcuno ha auspicato una versione “europea” di un suo stretto parente il “Superenalotto”.
Adriana Morando