Lovejoy, la stella cometa di questo Natale, ha resistito alle elevate temperature della corona solare, ma ha perso la coda luminosa...
Compare puntualmente a Natale tra le statuine del presepe, foriera di un evento eccezionale: è la stella cometa, sorella di cartapesta di quella ben più reale che si è presentata, agli occhi telescopici del satellite NASA SDO, nel nostro sistema solare, su un’ orbita talmente vicina al nostro astro (140000 km) da far temere di vederla sparire per sempre.
La “Lovejoy”, questo è il nome del corpo celeste, che è balzato agli onori della cronaca in questi giorni prefestivi, è stata scoperta dall’astrofilo australiano, Terry Lovejoy, il 27 Novembre scorso, con un telescopio Schmidt-Cassegrain C8 (20 cm di diametro). Si tratta di un grosso vetusto masso di circa 200-500m di diametro a cui è stato dato il nome ufficiale di C/2011 W3 (Lovejoy), ma è diventata una novella diva grazie al fatto che nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza, destinata come era, a transitare in quella zona chiamata corona solare, dove le temperature raggiungono i 2 milioni di gradi.
Con grande stupore degli astronomi , dopo un restyle forzoso, che le ha fatto perdere la sua luminosa chioma, è ricomparsa per riprendere il suo errabondo viaggio nelle vie dell’universo. Le spiegazioni per questa “dolorosa perdita” potrebbero essere sia di tipo prospettico, che ne impedirebbero la visualizzazione, sia di tipo fisico che avrebbero portato, per le elevatissime temperature, alla evaporazione delle componenti gassose.
Nessuno sa dove e quando sia nata, ma come tutte le comete della famiglia Kreutz o sungrazing comets (comete radenti al sole), a cui anche questa appartiene, si ipotizza che esse siano i residui della cosiddetta “Grande Cometa” osservata da Aristotele e da Eforo di Cuma nel 371 a.C. che, frammentatasi, ha dato origine a corpi celesti più piccoli come quella del 1843 (C/1843 D1), del 1882 (C/1882 R1), e la Cometa Ikeya-Seki (C/1965 S1) del 1965.
L’ipotesi è supportata dal fatto che tutti i componenti di questa famiglia seguono all’incirca la stessa orbita e per dare l’idea dell’entità numerica del fenomeno basti pensare che, dal 1995, grazie a SOHO, si sono scoperti ben 528 esponenti assimilabili a questo gruppo. Avendo un perielio (punto più vicino al sole) compreso in un intervallo di 0.005 U.A. (~750.000 Km), non possono sottrarsi all’interazione gravitazionale del nostro astro e sono destinate a ridursi fino a scomparire definitivamente.
Prima del funereo evento, quale canto di un cigno morente, esibiscono il loro miglior repertorio in fatto di luminescenza, sfoggiando code lunghe diversi milioni di chilometri: uno spettacolo affascinante, in questo caso, destinato ai soli addetti ai lavori che si ripresenterà tra altri 400 anni.
A noi rimane l’inquietante interrogativo di cosa succederebbe se qualcuno di questi “sassolini vaganti” decidesse di venirci a trovare: scenari apocalittici come quelli evocati da certi film di fantascienza o annientamento totale della terra come “aficionados” cultori della civiltà Maya ci propinano, con un tormentone che ci seguirà per tutto il 2012 fino alla fatidica data del 12 dicembre?
Rassereniamoci al pensiero che occhi tecnologici eseguono un totale monitoraggio di ogni più piccolo spicchio di cielo, pronti a segnalarci qualsiasi tipo di UFO in avvicinamento. A noi rimane il rammarico di non poter vedere brillare nel cielo di Natale, un astro che con una magnitudine pari a quasi quella di Venere, avrebbe potuto rendere ancora più magica l’atmosfera delle prossime feste.
Adriana Morando