Mario Monti scivola sul posto fisso "monotono", consiglio: meglio abbandonare morali e principi e passare ai fatti
Definire “monotono” il posto fisso è stato il primo vero scivolone mediatico di Mario Monti. C’è da dire che prendere le dichiarazioni di un politico semplicemente per il loro significato sarebbe piuttosto ingenuo. Un vero politico non dice quasi mai ciò che pensa davvero, ma dice piuttosto quello che occorre dire. Non è importante se una cosa sia vera o sia falsa, ma è importante ottenere l’effetto desiderato.
Nella fattispecie è probabile che le parole di Monti rientrino in una più ampia strategia di logoramento contro l’articolo 18. Visto che su questo argomento le dichiarazioni dei vari esponenti del governo si stanno moltiplicando, è probabile che in questo momento sia interesse del governo creare un po’ di polverone mediatico su un tema caldo, con l’obiettivo di compattare un fronte trasversale moderato, andando ad isolare e neutralizzare i sindacati e la sinistra antagonista con la scusa del preconcetto ideologico.
Insomma, si punta a modificare gli equilibri politici per aumentare il margine d’azione del governo, con il rischio calcolato che il PD si spacchi e faccia saltare il banco, prendendosi così anche tutta la responsabilità per la caduta di quel governo Monti che aveva abbassato lo spread. Che siano questi o altri i pensieri che passano per la testa del premier, è chiaro come il sole che al motivo del contendere, cioè alla favoletta dell’abolizione dell’articolo 18 per favorire l’occupazione, non crede nemmeno lui.
O meglio, Monti è sicuramente convinto che sia preferibile un mercato del lavoro senza garanzie innate, ma sa bene anche che, nella situazione in cui versa ora l’Italia, dare facoltà alle imprese sopra i 15 dipendenti di licenziare indiscriminatamente non sortirà assolutamente l’effetto di favorire l’occupazione.
I problemi occupazionali dell’Italia, infatti, dipendono per la gran parte da motivi strutturali che hanno origini lontane e che andrebbero affrontati cominciando addirittura da una seria riforma dell’istruzione. Detto questo, però, non si può concludere che sia un esercizio inutile stigmatizzare la goffa sparata del premier. Ci sono invece ottime ragioni, sia formali che sostanziali, perché l’opinione pubblica faccia sentire il suo dissenso. Innanzitutto sgombriamo il campo dagli equivoci: chiunque ha il diritto di sostenere che la logica del posto fisso sia deleteria, così come chiunque ha il diritto di pensare che laurearsi dopo i 28 anni sia da “sfigati” (copyright sottosegretario Michel Martone) o che siamo troppo legati al “posto fisso vicino a mamma e papà” (copyright ministro Cancellieri). Ma il punto è che da un esponente del governo, sia esso un sottosegretario, un ministro o il presidente del consiglio, queste esternazioni non sono accettabili, perché non è compito del governo farci la morale.
Il governo e il parlamento possono stabilire nuove leggi, perché ciò rientra nella loro prerogative, ma non sta scritto da nessuna parte che siano tenuti a dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare nella nostra vita privata. Se, nel rispetto della legge, ho l’occasione di scegliere tra tenermi il mio attuale posto di lavoro oppure cambiarlo per un altro, quello che deciderò o non deciderò di fare sono solo affari miei. Ecco perché è superfluo e fastidioso che i politici si avventurino in certi terreni, finendo un po’ per trattare i cittadini come bambini.
Non c’è dubbio che tutti i popoli del mondo abbiano tendenze e attitudini che possano essere criticabili; così come è sicuro che tutti i governanti di questa terra, in privato, abbiano avuto di che lamentarsi delle popolazioni che erano chiamati ad amministrare. Ciò non toglie che in pubblico facciano meglio ad evitare di mettere troppo in mostra i loro riserbi, perché ciò esulerebbe dal compito a cui sono preposti, che è quello di migliorare la vita delle persone tramite le leggi e non tramite i moniti.
E se poi ci si riduce a fare questioni di principio, sorge subito il dubbio che non si riescano a fare questioni di fatto. Come accade proprio nel caso che stiamo considerando. Monti si è lanciato nell’impresa di salvare le banche, ma, ammesso che la bolla non gli scoppi tra le mani, lo sta facendo a scapito di tutto il resto. Dato che le banche erano indebitate e dovevano ricapitalizzarsi con molta fatica, lo Stato ha messo la sua (cioè la nostra) garanzia su questi debiti: in questo modo ha alzato la posta e ha scoraggiato parte della speculazione. Questo aiutino è stato dato, ovviamente, gratis.
Nei “comunistissimi” Stati Uniti quando si è dovuto intervenire con i soldi dei cittadini per salvare il sistema finanziario, le banche hanno dovuto accettare pesanti intromissioni da parte dello Stato americano. Da noi invece si mette la garanzia dei soldi pubblici senza chiedere in cambio assolutamente nulla. Anzi, il presidente del consiglio è pure andato dalla BCE, ha ottenuto che le banche prendessero denaro all’1% e ha lasciato che quelle stesse banche utilizzassero questa liquidità per comprare titoli di Stato che rendono anche fino al 6%, realizzando un guadagno facile, in grado di rimetterle in sesto e soprattutto sicuro, visto che, proprio grazie a queste acquisizioni, lo spread è sceso insieme al rischio del fallimento del paese.
Ma se la Germania non allenterà i cordoni del rigore finanziario europeo, a questa sbornia seguirà un risveglio dai postumi amari. Quest’anno, infatti, il paese rischia di avvitarsi in una recessione del 2 o forse anche del 3%. Cioè non cresciamo e anzi ci impoveriamo. Ed è ovvio: non basta salvare le banche, se poi queste fanno speculazioni anziché finanziare l’economia reale.
Se le stime sono così basse, è perché evidentemente gli analisti giudicano insufficienti le misure di questo governo per la crescita. Un po’ di sgravi alle imprese, la sbandierata guerra senza quartiere contro le “corporazioni” dei tassisti e dei farmacisti e altre piccole liberalizzazioni appaiono piuttosto come la foglia di fico per una seria politica economica in un paese che ha problemi strutturali ben più profondi. Quindi, se Monti sicuramente sta operando per la felicità di quell’establishment finanziario da cui proviene, e che a suo tempo spinse per sostituire Berlusconi, altrettanto non si può dire abbia fatto per l’economia italiana e per l’occupazione che sta schizzando a livelli record. Pertanto, a chi non trova lavoro a tempo indeterminato e quindi non riesce ad ottenere un mutuo da quelle stesse banche che beneficiano della cura Monti, sentire il premier decantare le lodi della mobilità deve essere suonato davvero come la beffa suprema: come dire cornuti e mazziati. Insomma, se il premier chiudesse qui la sua avventurosa parentesi mediatica e si preoccupasse di ottenere qualche risultato anche in termini di crescita e occupazione (la fantomatica “fase 2”), magari risulterebbe più simpatico e si toglierebbe da dosso l’etichetta di governo “delle banche, dalle banche e per le banche”.
Andrea Giannini
Commento su “Lo scivolone di Monti e il governo “delle banche per le banche””