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Monti e i “ministri tecnici”, il bilancio dopo un anno di governo

C'era davvero bisogno di un economista di caratura internazionale per spostare di qualche anno l'età della pensione, tassare gli immobili e operare qualche taglio? Il suo insediamento è stato politico, non tecnico...


16 Novembre 2012Rubriche > "Polis" Critica Politica

Mario MontiVedere i candidati del centrosinistra illustrare i loro programmi negli studi di X Factor non ha prezzo. Eppure, anche se questa primizia nel menù dell’informazione italiana avrebbe meritato un commento appropriato, ho dovuto decidermi – con molta fatica – a dedicare questo spazio ad un altro argomento: il governo Monti ha spento la sua prima candelina, ed in effetti la ricorrenza merita qualche considerazione.

Ad un anno di distanza possiamo dire dunque che Monti ha fatto bene quello per cui era stato chiamato, ciononostante (anzi, proprio per questo) l’Italia sta peggio dell’anno scorso e andrà a stare sempre peggio. Il paradosso è solo apparente. Monti ha effettivamente centrato un obiettivo: ha evitato il crack del debito pubblico italiano, seguendo l’obiettivo contabile di un riequilibrio tra entrate e uscite. Questo è l’unico motivo per cui era stato chiamato al governo dall’asse Roma-Berlino, cioè Napolitano-Merkel, sempre che siano veri i retroscena. Quel che è certo è che noi dovevamo evitare il commissariamento da parte della Troika, mentre le cancellerie europee dovevano evitare di ritrovarsi fra le mani una seconda Grecia ancora più pericolosa (il che avrebbe significato la fine dell’euro).

Cosi è arrivato Monti a “risolvere problemi”, un po’ come il signor Wolf di Pulp Fiction: ed in effetti le pressioni sul nostro debito pubblico (il famigerato spread) si sono allentate. Come è riuscito il premier a ottenere questo risultato? Ci ha spiegato che avevamo mancato in “disciplina di bilancio” e che avevamo vissuto “sopra le nostre possibilità”. Quindi ha fatto approvare qualche riforma decisiva, come quella sulle pensioni, ha introdotto nuove tasse e ha tagliato un po’ la spesa: ma soprattutto lo ha fatto in modo strutturale, garantendo cioè che i benefici per i conti pubblici non fossero occasionali ma, per quanto possibile, permanenti.

Mi chiedo però, a questo punto, se l’adozione di questa semplice ricetta giustificasse davvero l’avvicendamento di governo a cui abbiamo assistito un anno fa. C’era davvero bisogno di un economista di caratura internazionale per spostare di qualche anno l’età della pensione, tassare gli immobili e operare qualche taglio? Non posso credere che Tremonti non fosse in grado di concepire un calcolo ragionieristico così scontato. E d’altra parte il governo dei tecnici non si è dimostrato immune da errori grossolani, come la vicenda degli esodati sta lì a ricordare. Non è la competenza, quindi, il motivo per cui Berlusconi se ne è tornato a casa. Il motivo è politico.

Anche se il precedente governo fosse stato in grado di concepire la soluzione, comunque non sarebbe stato in grado di sopportarne le conseguenze: perché se fosse stato un governo politico a presentarsi a queste elezioni, con lo stato in cui versa attualmente la nostra economia non sarebbe mai stato rieletto. Monti non ha questo problema: non essendo mai stato eletto da nessuno, non deve preoccuparsi di cosa pensino di lui i suoi elettori. Deve stare attento unicamente a non perdere l’appoggio della maggioranza del Parlamento che gli approva le leggi. Le forze politiche, dal canto loro, sono state ben contente di affidare ad altri la patata bollente, con la promessa – beninteso – che i loro interessi non sarebbero stati toccati: ecco perché non abbiamo assistito a quella sferzata anti-casta che un po’ tutta l’opinione pubblica si attendeva. Anzi, in questo modo si è creato un clima di sintonia istituzionale che ha coinvolto Quirinale, Palazzo Chigi e Parlamento (a parte qualche occasionale rigurgito di ostilità e l’opposizione di partiti minori). Di conseguenza i mezzi di informazione, sempre attenti alla distribuzione del potere, si sono allineati: l’opera e il pensiero di Mario Monti sono diventati l’indiscutibile buona novella da annunciare al mondo intero.

Gli Italiani hanno finito così per convincersi della assoluta bontà dell’operato del governo, aiutati in questo anche dal paragone impietoso con quello che si erano appena lasciati alle spalle. Se Berlusconi, infatti, era “diversamente slanciato”, con i tacchi sotto le scarpe e la pelata rinfoltita periodicamente, Monti appare alto, distinto e vestito in loden. Berlusconi frequentava prostitute, si sospetta anche minorenni, e raccontava barzellette farcite con bestemmie; Monti è monogamo, serio e sobrio. In Europa il solo nome di Berlusconi evocava risolini eloquenti; Monti invece è rispettato, considerato e ammirato. Insomma, i cittadini non potevano non concedergli fiducia. Ma la benevolenza del mondo politico, dell’informazione e di una parte consistente dell’opinione pubblica non deve far dimenticare quale sia il vero spread, la vera distanza tra questo governo tecnico e un altro qualsivoglia governo politico: che questo governo ha portato avanti un programma di risanamento che pochi cittadini avrebbero votato. E non l’avrebbero votato, perché è un programma che deprime l’economia e quindi li danneggia. Ecco perché si è resa necessaria una figura in qualche modo esterna, calata dall’alto – ci dicono – per fare il nostro bene. Certo, l’idea è fastidiosamente paternalista e anche marcatamente anti-democratica. Gli Italiani sarebbero un po’ come il bambino che fa i capricci e non vuole andare dal dentista, perché ha paura di sentire male: allora il papà lo prende in braccio e ce le porta di peso. Ma davvero è così? Davvero in passato siamo stati cattivi e abbiamo speso troppo? Davvero ora dobbiamo affidarci alla cura di papà-Monti, che taglia la spesa pubblica, alza le tasse e persegue obiettivi contabili per il nostro esclusivo interesse? In realtà questa favoletta è contraddetta da almeno un dato evidentissimo: non è vero che in passato abbiamo speso troppo.

Anche se nel dibattito televisivo sembra che il debito pubblico sia la causa della crisi, in realtà per qualsiasi economista un minimo preparato è l’effetto. Cioè la crisi che viviamo non dipende da un eccesso di spesa pubblica, ma dagli squilibri del credito privato. Se il problema fosse stato il debito pubblico, come mai è andata in crisi l’Irlanda, che aveva meno della metà del debito del Giappone, paese dimenticato dalla speculazione? In realtà da quando è entrato in vigore l’euro fino al deflagrare della crisi dei mutui subprime il debito pubblico italiano è sceso. E non lo dico io: lo dice il Fondo Monetario Internazionale.

Dal ’94 al 2007, con governi di destra e di sinistra, il nostro debito pubblico ha conosciuto una lieve ma costante flessione, passando dal 121% al 103%. Come si concilia questo dato con l’idea che la spesa pubblica sia l’origine di tutti i problemi e che vada abbattuta con ogni mezzo? Evidentemente non si concilia. Tanto più che un altro dato rende ancora meno credibile la teoria. Dai primi anni ’90 l’indebitamento dei privati (famiglie e imprese) è praticamente raddoppiato. E questo canovaccio si ritrova pari pari in tutti i paesi europei che poi sono andati in crisi: l’indebitamento pubblico cala proprio per il fatto che l’indebitamento privato (grazie ai capitali esteri) esplode; e quando poi scoppia la crisi finanziaria e crolla la fiducia, i capitali privati si ritirano e il sistema finanziario va in sofferenza. Con l’euro non si può fare inflazione stampando moneta, e così per salvare le banche deve intervenire lo Stato. Dalla crisi in poi, infatti, il debito pubblico ha ripreso a galoppare (è notizia di ieri che si prevede che presto toccheremo la cifra record di 2000 miliardi di euro di debito). Insomma, lo Stato si indebita per coprire i debiti delle banche. E quel che è peggio, lo fa gratis, senza chiedere nulla in cambio e scaricando i costi sui cittadini.

Se Monti fosse preoccupato davvero di fare gli interessi dell’Italia, dove per la crisi la gente si suicida o riempe le piazze, avrebbe fatto due cose: avrebbe fatto pagare al sistema creditizio privato i suoi errori e sarebbe andato a Bruxelles con gli altri paesi minacciando di uscire, se le politica di rigore e contenimento dell’inflazione non fosse cambiata. Invece fa di tutto per salvare una moneta unica costruita apposta per consentire ai capitali di circolare liberamente al riparo dalle svalutazioni, e ci racconta che la soluzione – vedi mai la novità! – è tagliare un po’ le spese dello Stato sociale. Insomma, la tipica ricetta di quel mondo operaio da cui vengono gli esponenti di questo governo: quando la disoccupazione avrà abbattuto il costo del lavoro e i capitali saranno liberi di spostarsi per l’Europa alla ricerca degli investimenti con i profitti più alti, si potrà ricominciare a crescere (per i sopravvissuti, s’intende). Eppure Monti certe idee le ammette e le rivendica pubblicamente: quindi non possiamo nemmeno rimproverarlo più di tanto. Certo, se qualcuno magari lo spiegasse anche ai concorrenti di X-Factor…

Andrea Giannini


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