Se, da un lato, le nuove norme imposte dal Comune di Genova stanno dando frutti positivi nel tentativo di porre un freno alla movida alcolica e chiassosa dei “vicoli”, dall’altro molti piccoli imprenditori sono entrati in forte crisi, costretti in alcuni casi anche a chiudere i locali. Era Superba ha ascoltato la “difesa” di chi sta dall’altra parte della barricata
Dall’entrata in vigore della nuova ordinanza “anti-Movida” sono già circa 200 le multe che i vigili del Comune di Genova hanno notificato agli esercenti che non hanno rispettato le regole varate dalla giunta Doria lo scorso aprile ed entrate in vigore a fine maggio. Gli accorgimenti addottati dall’amministrazione per porre un freno alla cosiddetta “movida alcolica” – che caratterizza, seppur in maniera diversa, i quartieri del centro storico e di Sampierdarena – stanno dando i primi frutti. Dopo un periodo di prova caratterizzato da una capillare campagna informativa che ha portato i vigili urbani a recarsi personalmente con opuscoli esplicativi in ogni locale dei quartieri interessati dall’ordinanza, da fine maggio sono cominciati i controlli serrati che non hanno risparmiato i trasgressori. Per una valutazione complessiva di questa operazione, i tempi non sono ancora maturi: bisognerà aspettare qualche mese e, soprattutto, il ritorno dalle ferie estive, per verificare quanto sia stato incisivo il giro di vite imposto a chi vende alcolici fino a notte inoltrata. Ma l’obiettivo del Comune di Genova è chiaro: creare il giusto equilibrio tra chi vuole vivere la movida notturna e chi ha il diritto di riposare senza essere molestato da schiamazzi e altri comportamenti poco consoni derivanti da un massiccio consumo di alcol (e non solo).
Come ogni provvedimento che mira a regolare una consuetudine ben radicata nel panorama sociale di una città, la nuova ordinanza sulla movida ha creato una divisione tra chi vede di buon occhio l’iter intrapreso dal Comune (in questo caso, gli abitanti) e chi si sente colpito, soprattutto nel portafoglio. Tra questi ultimi, possiamo annoverare il titolare di un bar e piccolo imprenditore del centro storico genovese che, a tre mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme, si trova a tirare le somme. E il risultato che ha per le mani non gli piace affatto.
«Noi apriamo alle 17 – ci racconta – e fino alle 21 non entra nessuno; il vero lavoro inizia alle 23. Con le nuove regole del Comune che ci impongono di chiudere alle 2, siamo praticamente costretti a chiudere non appena la gente comincia a consumare. In questo modo, i miei incassi si sono dimezzati». Il nostro interlocutore non è italiano e, anche per questo, preferisce rimanere anonimo: si tratta di uno dei tanti lavoratori extracomunitari che ha provato a svoltare aprendo diverse attività commerciali nella zona di San Donato, cuore della movida genovese. Gli affari per il piccolo imprenditore sono andati bene fino a che i minimarket e i bar come il suo, che offrono cocktail e birre a prezzi inferiori alla media, sono finiti sotto i riflettori mediatici per essere stati identificati quali cause principali cause del degrado serale dei vicoli di Genova.
«Noi lavoriamo come tutti gli altri – si difende – paghiamo le tesse e chiediamo i documenti ai clienti che entrano nel bar prima di servirgli da bere. Nonostante questo, quando sui giornali si parla di emergenza alcool tra i giovani e di degrado del centro storico, le fotografie che accompagnano gli articoli ritraggono sempre locali come il nostro e non quelli che applicano i nostri stessi prezzi ma sono italiani. Noi chiediamo solo di poter lavorare come tutti gli altri».
Il principale indiziato dell’attacco ai locali come quello della nostra fonte è il basso prezzo a cui vengono venduti gli alcolici: si parte dal famoso chupito a 1 euro passando per la birra in bottiglia a meno di 3 euro e arrivando ai cocktail a 3,5 euro. Solo questione di concorrenza? «Tengo i prezzi più bassi per essere competitivo – sostiene il nostro interlocutore – ma se il Comune obbligasse i bar ad adottare un tariffario uguale per tutti, non avrei problemi a rispettarlo». Se questa può essere considerata una misura da fanta finanza poiché l’amministrazione pubblica non può imporre un tariffario obbligatorio, è altrettanto vero che chi offre un servizio in maniera legale, dovrebbe poter operare al pari di tutti gli altri, guadagnando quello che reputa opportuno, probabilmente a discapito della qualità…ma questo è un altro discorso.
L’origine dell’emergenza e dell’abuso di alcool tra i giovani non va ricercata solo nei bassi prezzi offerti da questo tipo di locali. «Noi lavoriamo all’interno di un quartiere frequentato prevalentemente da ragazzi che spesso si fermano davanti al nostro locale e consumano diverse bottiglie di super alcolici o di birra che si sono portati da casa – ricorda l’imprenditore – o che hanno acquistato in qualche supermercato. Non riesco a capire perché non ci sono controlli in questo senso, visto che dopo le 22 è proibito girare con bottiglie di vetro per il centro storico».
A causa della nuove normative, il nostro interlocutore racconta di essere già stato costretto a chiudere una panineria e un minimarket aperti da poco e ora rischia di tirare definitivamente giù la serranda anche del bar che ha visto la luce solo nel 2015. «Non so che cosa vogliono ottenere con questa nuova normativa – si sfoga – forse vogliono farci chiudere tutti o forse vogliono colpire i minimarket che si sono diffusi per il centro storico negli ultimi anni. Quello che so, però, è che i locali al Porto Antico non sono soggetti all’ordinanza pur trovandosi a pochi metri dal centro storico e così il problema degli schiamazzi notturni non si risolve. L’ordinanza colpisce chi ha un locale nei vicoli favorendo chi ne ha uno al Porto Antico: non capisco il perché».
Andrea Carozzi