I mercati non si fidano dell'accordo europeo di dicembre, ma in Italia si continua a discutere se è meglio Monti o se si preferiva Berlusconi...
Nell’ultimo appuntamento del 2011 parliamo ancora una volta di spread. Ormai anche l’uomo della strada ha capito di cosa si tratta (differenza di rendimento fra Btp italiani e Bund tedeschi) e cosa comporta quando sale troppo (la caduta di fiducia degli investitori sui nostri titoli pubblici e la conseguente bancarotta del paese).
L’ultima volta che avevo toccato l’argomento (il 6 dicembre) eravamo scesi sotto quota 400. Avevo dato atto a Monti di aver fatto qualcosa di concreto per diminuire un pericoloso indicatore, che aveva toccato il suo record con gli ultimi giorni del governo Berlusconi. Mentre scrivo, siamo tornati di nuovo sopra quota 500: non ancora ai massimi storici, ma ad un valore di nuovo altissimo e sempre più preoccupante. Dunque non era vero niente? Monti non sta facendo bene? Berlusconi non era il problema?
E’ una chiave di lettura che circola in questi giorni: ma è una chiave di lettura estremamente superficiale e interessata. Ho già scritto cosa penso dei provvedimenti adottati dal governo Monti, che per molti versi non mi piacciono: ma si dovevano garantire dei saldi e questo è stato fatto, garantendo anche un provvisorio allentarsi della tensione sui nostri titoli di Stato. Avevo anche scritto, però, che dopo il varo della manovra la partita vera si sarebbe giocata in Europa. Ed è proprio da lì che sono venuti segnali non particolarmente positivi per i mercati.
Monti ha assolto il suo compitino: dimostrare che i conti dell’Italia sono in ordine e che non accumuliamo nuovo debito ogni anno. Ma questo serviva anche per poter andare in Europa a trattare con Francia e Germania alla pari. Stringere la cinghia è stato importante anche per dimostrare che l’Italia volesse risolvere la crisi internazionale del debito non per accumularne di nuovo, ma per salvare l’economia europea. Ma poi, appunto, sarebbe stato cruciale trovare delle misure condivise come UE, dato che abbiamo un mercato e una moneta unica. Senza una soluzione comune non bastano le misure che possano adottare singoli Stati: non solo l’Italia ma anche l’Euro è a rischio.
Peccato che questa importantissima partita internazionale sia stata affrontata dai leader europei in un modo che non ha convinto i mercati. Questo è il nodo del problema. L’accordo europeo di dicembre non è stato accolto come una soluzione definitiva, ma come un compromesso che può ancora portare di qua o di là: pertanto i mercati restano a guardare, reagendo bene a notizie positive e male a notizie negative, come le recenti stime sulla crescita del nostro paese. E la tensione sui mercati per ora non scende.
Come andrà a finire? Staremo a vedere. Intanto da questa analisi potremmo ricavare una triplice lezione per il futuro.
Primo: liberarsi dal provincialismo del nostro dibattito politico. Spesso in Italia siamo troppo occupati a guardarci l’ombelico: a livello mediatico “buca” di più un bel dibattito sulla pillola anticoncezionale, che i problemi internazionali nei quali siamo coinvolti, e che poi magari ci capitano fra capo e collo trovandoci impreparati e spingendoci a beccarci tra di noi come i polli di Renzo. Magari può servire a qualcosa stare attenti agli equilibri di potere geopolitici, alla finanza internazionale, agli andamenti della produzione mondiale o alle guerre e alle rivolte in paesi che si potevano definire distanti solo prima della nascita del villaggio globale.
Seconda lezione: volete capire come sta andando l’economia? Andatevi a informare leggendo l’economia, non la politica. A volte le due cose si intrecciano: ma a volte no. Su Berlusconi, Monti e lo spread sono state dette cose assurde. Forse se vogliamo capire perché lo spread sale o scende, magari troviamo qualche informazione utile andando a vedere cosa è successo nelle borse, o ascoltando gli analisti. Certo, può sempre capitare che noi non riusciamo a capire i dettagli tecnici oppure che gli esperti si sbaglino. Ma è pur sempre un approccio migliore che farsi rifilare una versione precotta da Cicchitto o da Fassino.
Terza lezione: per quello che riguarda casa nostra, critichiamo pure Monti per quello che ancora non sta facendo (per esempio provvedimenti per la crescita, leggi dure contro la corruzione o l’asta delle frequenze digitali televisive), ma non facciamoci raccontare che Berlusconi non era un problema. Capire gli errori che abbiamo fatto è la prima condizione per non ripeterli. E in questo caso le responsabilità sono chiare, a meno di non volersi prendere in giro. Il valore dello spread era praticamente irrilevante quando il Cavaliere andò al governo nel 2008: infatti all’epoca nessuno, a meno che non fosse uno specialista, aveva mai sentito la parola “spread”.
E’ pur vero che tutto ha origine dallo scoppio della crisi bancaria internazionale, che certo non è dipesa dal Cavaliere; ma è un dato di fatto che, se oggi siamo più a rischio di quasi tutti gli altri Stati europei, la colpa è delle condizioni di partenza già pregiudicate del nostro paese e della maldestra gestione dell’emergenza. E chi è responsabile di tutto questo? Sulla gestione della crisi c’è poco da dire: Berlusconi dapprima ha perso tempo prezioso negandola, e dopo in extremis ha annunciato provvedimenti-spot a cui nessuno ha dato credito.
Sulle condizioni di partenza, poi, l’analisi è ancora più impietosa. Se i primi responsabili del nostro grande debito pubblico sono stati i governi della Prima Repubblica, che ora non ci sono più, perché tutta questa devozione nel PDL per la figura di Bettino Craxi? Perché Brunetta si tenne il pregiudicato De Michelis come consulente? E comunque nella Seconda Repubblica si sarebbe potuto benissimo risolvere molte cose. Ora, dal maggio del ’94 al 16 novembre scorso, in 17 anni e mezzo, Berlusconi ha governato per più di 9 anni, intervallato da 7 anni di centro-sinistra (in cui comunque il Cavaliere manteneva un’opposizione numericamente rilevante) più 1 anno abbondante di governo tecnico Dini. Se non è stato risolto nulla e anzi la situazione è peggiorata (il debito ad esempio è aumentato), di chi sarà mai la colpa? Certo, le responsabilità non sono tutte solo dei governi di Berlusconi: ci sono anche gli altri. Ma è comunque assurdo che ora si cerchi di attribuire delle responsabilità a chi è venuto dopo per i danni fatti da chi ci ha governato prima. Proprio per questo, pur con tutte le sue contraddizioni, non si può non dar ragione a Beppe Grillo quando scrive: «è necessaria una Norimberga pubblica della classe politica con un calcio in culo al posto delle forche».
Andrea Giannini