Una discarica in orbita a 25mila km di altezza, mentre la compagnia giapponese Nitto Seimo progetta la prima rete spaziale per proteggere la Terra
Anche i rifiuti spaziali hanno un loro cimitero ovvero una “discarica a cielo aperto” dove, in mancanza di un galattico inceneritore, vengono parcheggiati tutti i corpi rotanti ormai desueti che, esaurita la loro vita, potrebbero rappresentare un serio pericolo sia per le nostre teste che per scontri frontali con altre entità spaziali.
Sono 22mila i rottami cosmici che gravitano sopra di noi ed hanno, già, creato qualche serio allarme di collisione come quello occorso, l’estate scorsa, alla Stazione Spaziale Internazionale che si è vista sfiorare da un “proiettile” lanciato alla velocità di 7,5 km al secondo. Non proprio un gioco da Luna Park che ha confinato, per 30 minuti, l’equipaggio nelle capsule Soyuz di emergenza.
Paragonabile ad una necessaria “raccolta differenziata”, si è deciso di creare una necropoli, su un’orbita sita a circa 25mila km di altezza, dove i relitti astrali possano godersi il meritato riposo eterno.
Tutto ciò è attuabile, solo, con satelliti, vetusti ma ancora rispondenti, a cui impartire un comando da terra con le coordinate per la nuova orbita. Il problema più impellente, però, è rappresentato da quell’insieme, tra satelliti e scorie di vario genere ivi comprese le polveri che data la loro elevatissima velocità sono assimilabili a veri proiettili, che orbitano ad un’altezza tra i 200 e 600km.
Qui il traffico si fa caotico e il pericolo di collisioni è all’ordine del giorno, il che potrebbe innescare una reazione a catena, la cosiddetta Sindrome di Kessler, con incremento esponenziale del volume dei detriti stessi e quindi del rischio di ulteriori impatti. Non solo, questa è la zona che più incrementa la caduta di oggetti volanti, magari grandi come autobus, come riportato dai recenti fatti di cronaca.
Sono state proposte alcune soluzioni, talora molto stravaganti tra le quali quella di utilizzare speciali raccoglitori magnetici, novelli operatori ecologici dello spazio, o come il progetto della compagnia giapponese Nitto Seimo che prevede l’uso di vere e proprie reti, per una pesca d’altura veramente originale (l’Agenzia spaziale gisapponese ha annunciato per il 2014 il lancio in orbita con il satellite della prima rete…) ed ancora perchè non pensare ad una specie di caccia alla balena con sistemi di aggancio quali arpioni per recuperare i materiali in circolo e rilanciarli verso orbite più alte o verso la Terra sperando che l’inceneritore biologico dell’attrito li polverizzi prima che atterrino sul terrazzino di casa.
Il problema tuttora sussiste e si è ancora lontani da possibili soluzioni anche perchè le strategie da adottare sono complicate da pastoie legali che obbligano i vari Paesi a recuperare solo oggetti di loro pertinenza, molti dei quali legati allo spionaggio industriale e militare, atavico retaggio della Guerra Fredda.
Per adesso l’unico rimedio sono i tanti occhi telescopici che osservano lo spazio come quello attivato recentemente (Space Surveillance Telescope) e pregare che quello che scende dal cielo sia solo pioggia.
Adriana Morando